VEGLIATE: LA SPERANZA È GIÀ IN CAMMINO

DOMENICA 30 NOVEMBRE 2025
I DOMENICA DI AVVENTO - ANNO A
Vegliate, per essere pronti al suo arrivo.Mt 24,37-44
Introduzione
L'Avvento che oggi si apre è un tempo in cui la Chiesa si lascia raggiungere da una Parola (דָּבָר, davar in ebraico biblico) che non si limita ad annunciare, ma opera, trasforma e risveglia. "Avvento", adventus, era il termine latino usato per l'arrivo solenne di un re, e la liturgia cristiana lo ha assunto per indicare la venuta del Signore nella carne a Betlemme, la sua venuta quotidiana attraverso la grazia (χάρις, kháris in greco), la Parola e i sacramenti, e la sua venuta finale nella gloria, la parusía (παρουσία), quando Dio sarà tutto in tutti.
Approfondendo, si può dire che il termine "adventus" richiama non solo un arrivo, ma una presenza (παρουσία, parousía in greco) che trasforma: come l'ingresso di un sovrano cambiava il volto di una città, così l'Avvento trasfigura la storia umana. Ogni "venuta" di Dio porta con sé una novità radicale, un ribaltamento delle attese, uno squarcio di luce (אוֹר, 'or in ebraico biblico) dove regnava l'ombra. Nella tradizione della Chiesa, l'Avvento è anche il tempo dell'attesa fiduciosa e insieme operosa: attendere non significa restare immobili, ma prepararsi, vegliare, disporre il cuore come terra pronta ad accogliere il seme. L'Avvento è la stagione in cui il credente impara a vivere nell'inquietudine buona di chi sa che il Signore passa, talora in modo discreto, e che ogni giorno può essere un nuovo Betlemme.
Per questo l'Avvento non è un semplice ricordo, né un'attesa vaga, ma la consapevolezza che Dio (אֱלוֹהִים, Elohim in ebraico biblico) è già in cammino verso di noi, che avanza nella storia e nella nostra vita come Colui che non smette di visitare il suo popolo. Le prime comunità cristiane vivevano questo dinamismo con ardore e pregavano con la formula più intensa: Maranathà (מָרַנָא תָּא) – Vieni, Signore Gesù! Un grido che resta il cuore della fede: ogni venuta del Signore genera una nascita nuova dentro la nostra storia.
Non è un'attesa passiva, dunque, ma un'attesa gravida di speranza (ἐλπίς, elpís in greco), che si lascia inquietare e sorprendere: "Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà" (Mt 24,42). L'Avvento ci insegna a cogliere i segni della presenza di Dio nei piccoli eventi, a riconoscere che ogni giorno può essere l'inizio di qualcosa di inatteso. La preghiera "Maranathà" non è solo un'invocazione, ma anche un programma di vita: mantenere il cuore aperto, senza lasciarsi addormentare dall'abitudine o dall'indifferenza. Come dice un proverbio italiano, "La speranza è l'ultima a morire", e nell'Avvento questa speranza si fa certezza di un Dio che non si stanca di noi, ma continua a venire, a rinnovare, a far fiorire il deserto.
Così l'Avvento diventa un tempo privilegiato per rimettere al centro la Parola, la preghiera, l'ascolto profondo. È un invito a rientrare in se stessi, a fare silenzio (שָׁלוֹם, shalom in ebraico biblico) per accogliere la voce di Dio che, come un sussurro, si fa spazio tra i rumori del mondo. In questo senso, l'Avvento è davvero un cammino, una strada da percorrere insieme – come popolo in attesa – ma anche una soglia personale, un'occasione per ricominciare e lasciarsi sorprendere dalla fedeltà di Dio.
Avvento: tempo di ascoltare fra i tanti frastuoni del mondo
il vagito di un bambino.
Così uguale al nostro.
Così diverso.
Il vagito vivificante dell'uomo-Dio.
- Un tempo "kairotico": quando Dio passa e invita alla decisione
L'Avvento è un kairós (καιρός), un tempo qualitativo, un momento in cui la grazia (χάρις, kháris in greco) tocca il presente e apre un varco nella vita. Il kairós non è semplice successione cronologica (chrónos, χρόνος), ma il tempo in cui Dio (אֱלוֹהִים, Elohim in ebraico biblico) si avvicina e chiede risposta. Giovanni Paolo II parlava dei "kairói dello Spirito" come stagioni decisive per la vita della Chiesa; Benedetto XVI definiva l'Avvento "l'arte di vivere nell'oggi di Dio", cioè nella realtà concreta in cui il Signore desidera incontrarci. Ed è proprio questo: un tempo che non ci lascia uguali, che scuote, provoca e invita a prendere sul serio la grazia che passa. Come se il Signore ci dicesse nel silenzio: «Adesso, non più tardi. Questo è il tuo tempo». Il kairós è sempre un invito: rinnovare, rialzarsi, riprendere il cammino, tornare alla verità del Vangelo.
Come scriveva sant'Agostino, «Temi il Signore che passa e non ritorna» (Sermone 169), a sottolineare la preziosità di ogni momento di grazia. Nella Scrittura, san Paolo esorta: «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza» (2 Cor 6,2), che richiama proprio la natura del kairós come tempo privilegiato dell'incontro. Anche Charles Péguy, in una delle sue Mystères, suggerisce: «Tutto comincia con un atto di coraggio e di fiducia». L'Avvento è dunque quel coraggio di accogliere il presente come luogo della visita di Dio (יְהוָה, YHWH in ebraico biblico), senza rimandare, senza lasciarsi sfuggire l'opportunità di essere trasformati.
- L'Èscaton: non la fine, ma il fine verso cui tutto cammina
Il Vangelo di questa domenica ci pone davanti all'Èscaton (ἔσχατον, "ultimo" in greco), il traguardo ultimo della storia. Gesù non intende spaventarci, ma ricordarci che la storia ha un senso, un compimento, una meta luminosa. Origene affermava che «il mondo non corre verso il nulla (אֶפֶס, 'efes' in ebraico biblico), ma verso il suo compimento in Cristo». E Paolo conferma: «La notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13,12). Il giorno che avanza è la vicinanza del Signore, la sua venuta che porta pace (שָׁלוֹם, shalom) e pienezza. Non viviamo in un mondo abbandonato, ma in una storia che va verso un incontro. Sant'Ireneo di Lione ricorda: «La gloria di Dio (כָּבוֹד יְהוָה, kavod YHWH) è l'uomo vivente, e la vita dell'uomo è la visione di Dio», sottolineando come il compimento sia relazione, non annientamento. L'Avvento ci educa così a guardare oltre le apparenze: dentro le fatiche, le contraddizioni e le oscurità, Dio sta preparando il suo giorno. Come scrive san Giovanni della Croce: «Alla sera della vita saremo giudicati sull'amore (ἀγάπη, agápē)». Il cristiano non teme il compimento: lo attende come l'alba attende la luce. E come proclama l'Apocalisse: «Sì, vengo presto!» (Ap 22,20). Maranathà (מָרָנָא תָּא): Vieni, Signore Gesù.
- Vigilanza: la postura del cuore che ama
Gesù ci invita: «Vegliate» (γρηγορεῖτε, gregoreíte in greco; שָׁמַר, shamar in ebraico biblico). La vigilanza non è ansia, non è sospetto, non è paura; è l'attenzione amorosa di chi non vuole perdere l'arrivo di una persona amata. Come ricorda san Giovanni Crisostomo: «La vigilanza è la salvaguardia della mente, la custodia del cuore» (Homiliae in Matthaeum). Evagrio Pontico sintetizza in modo folgorante: «Veglia chi ama». Chi ama è desto, sensibile, pronto, capace di riconoscere i passi di Dio nella quotidianità.
Viviamo nel tempo del già e non ancora: Cristo è venuto, viene ora nella nostra vita e verrà nella gloria. E noi siamo chiamati a non addormentarci nella routine, nella stanchezza, nella rassegnazione. Come dice la Lettera ai Romani: «È ormai tempo di svegliarvi dal sonno» (Rm 13,11). T. S. Eliot scriveva che «è nel silenzio che nasce l'attesa»: e l'Avvento restituisce al cuore proprio questo silenzio fecondo, capace di ascoltare (שָׁמַע, shama' in ebraico biblico) e di riconoscere la visita del Signore. Sant'Ambrogio ci esorta: «Sta' attento a te stesso, non lasciarti sorprendere dal sonno della negligenza» (Expositio Evangelii secundum Lucam).
- Isaia e la visione della pace: spade spezzate e cuori rinnovati
La visione di Isaia (Is 2,1-5) è tra le più alte della Scrittura. Egli vede un mondo trasformato dalla venuta di Dio: «Spezzeranno le spade (חֶרֶב, cherev) e ne faranno aratri (אֵת, et)». La pace (שָׁלוֹם, shalom) non nasce dagli uomini, ma dalla visita del Dio della pace (Θεός τῆς εἰρήνης, Theós tēs eirēnēs). Come scrive il salmista: «Amore e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno» (Sal 85,11). Le guerre, le devastazioni, le violenze nascono da un'umanità che ha smarrito il volto del Padre; Dio, invece, viene a ricostruire, a guarire, a generare speranza. Non viene a distruggere, ma a pacificare. Sant'Ireneo di Lione affermava: «Dove c'è Dio, là c'è pace» (Adversus haereses, IV, 20, 7). Paul Claudel diceva: «Dio non è venuto a togliere la sofferenza, ma a riempirla della sua presenza (παρουσία, parousía)». È proprio la presenza del Signore a cambiare la storia. E come scrive Dostoevskij: «La bellezza salverà il mondo», perché dove Dio entra, la bellezza della pace rifiorisce nel cuore dell'uomo.
Le armi della luce: rivestirsi di Cristo nella vita quotidiana
San Paolo ci invita a prendere una decisione concreta: «Gettiamo via le opere delle tenebre (ἔργα τοῦ σκότους, erga tou skótous; מַעֲשֵׂי חֹשֶׁךְ, ma'asei choshekh) e indossiamo le armi della luce (ὅπλα τοῦ φωτός, hopla tou photós; כְּלֵי אוֹר, klei or)» (Rm 13,12). Le "armi della luce" non sono strumenti di forza, ma atteggiamenti evangelici: la misericordia, la verità, la giustizia, la carità, la tenerezza forte e la fermezza buona della fede. «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo» (Rm 13,14): è Lui la nostra veste, la nostra identità più vera. Come scrive san Massimo il Confessore, «l'uomo vigilante non porta armi, porta luce (φῶς, phōs; אוֹר, or)». L'Avvento allora diventa un cammino in cui lasciamo cadere ciò che appesantisce e indossiamo ciò che illumina. Come affermava sant'Ignazio di Antiochia: «Lasciate che io sia luce di Dio» (Lettera ai Romani), ricordandoci che la vera forza del cristiano è la trasparenza della luce di Cristo nella vita quotidiana. Il venerabile don Tonino Bello scriveva: «In Avvento il cristiano tiene accesa una lampada: è la speranza (ἐλπίς, elpis; תִּקְוָה, tikvah) che non permette alla notte di vincere.» E, come diceva anche Emily Dickinson, «La speranza è quella cosa piumata che si posa sull'anima e canta la melodia senza parole e non si ferma mai».
Maria, Donna dell'Attesa e Madre del Kairós
In questo cammino ci accompagna Maria, la più grande icona dell'Avvento. Lei è la Donna dell'attesa (προσδοκία, tiqvah), del silenzio fecondo (σιωπή, שֶׁקֶט), della docilità allo Spirito, del "sì" (ναί) che apre il cielo. Quando gli occhi del nostro cuore si chiudono per stanchezza, confusione o dolore, è Lei che li riapre. Come dice il Vangelo: «Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19), mostrando una fede (πίστις, אֱמוּנָה) che sa attendere e custodire. Quando la fede si assopisce, è Lei che ci ridesta. Sant'Agostino afferma: «Maria concepì prima nel cuore che nel corpo» (Sermo 215), sottolineando la profondità della sua adesione a Dio. Quando il desiderio di Dio si indebolisce, è Lei che lo ravviva. Dante la descrive come «Vergine Madre… in te misericordia (ἔλεος), in te pietate», e davvero in Lei la misericordia di Dio ha preso un volto. San Bernardo di Chiaravalle scriveva: «Nel pericolo, nell'angoscia, nell'incertezza, pensa a Maria, invoca Maria» (Homilia super Missus est), ricordandoci come la sua presenza sia luce (φῶς, אוֹר) nelle notti della vita.
A Lei affidiamo il nostro cammino:
Vergine Maria, Donna dell'attesa,
ridesta in noi occhi capaci di speranza
e cuori pronti alla vigilanza.
Accendi il desiderio di Cristo tuo Figlio
che viene e rendici strumenti
della sua luce e della sua pace.
don Nicola De Luca
