VEGLIARE NELLA SPERANZA: LA PERSEVERANZA CHE SALVA

15.11.2025

DOMENICA 16 NOVEMBRE 2025

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita Lc 21,19


Introduzione

La pagina evangelica di questa XXXIII Domenica del Tempo Ordinario si inserisce in un passaggio fondamentale del Vangelo di Luca: il discorso sulle "realtà ultime" che danno senso al cammino dell'umanità. L'escatologia (dal greco ἔσχατον) riguarda il destino finale della persona e del mondo. Gesù, usando immagini forti e simboli tipici dei racconti biblici sui tempi ultimi, non vuole infondere paura, ma guidare la comunità credente a riconoscere la presenza di Dio anche quando la storia sembra attraversata da oscurità e difficoltà. Il termine "apocalisse" – qui mantenuto per il suo valore centrale – non si riferisce solo a catastrofi, ma significa "rivelazione": Dio si manifesta anche dove sembrerebbe regnare il caos. In mezzo a guerre, persecuzioni e prove, la Scrittura ci invita a guardare oltre la superficie degli eventi per scorgere una presenza che salva. Questo sguardo di fede ci libera dalla paura, riconoscendo che ciò che è terreno è destinato a passare — proprio come il termine ebraico hevel (הֶבֶל, "soffio", "vanità") suggerisce — mentre solo Dio resta "roccia eterna", fondamento sicuro e speranza che non tradisce.

L'attesa cristiana delle "cose ultime" non è evasione dalla realtà, né disinteresse per il mondo. Al contrario, è invito a vivere con i piedi per terra (humus), ma con il cuore rivolto al cielo. Questa tensione si traduce concretamente nello stile delle beatitudini evangeliche: essere umili, miti, operatori di pace e assetati di giustizia significa già ora trasformare la storia, lasciando che la forza silenziosa del Regno agisca nella vita quotidiana. Così, i cristiani sono chiamati a essere "sentinelle del mattino", capaci di riconoscere i segni dei tempi e di testimoniare, anche nelle prove, una speranza che non delude. La "pienezza" (plḗrōma, πλήρωμα) a cui siamo chiamati non è qualcosa di remoto, ma comincia ogni volta che scegliamo di vivere secondo il Vangelo. Il cristiano non fugge dal mondo, ma lo abita con uno sguardo nuovo, consapevole che ogni cosa trova senso e compimento in Cristo, Signore della storia e della vita.

2. Tutto passa

Gesù si trova nel Tempio di Gerusalemme, poco prima della sua Passione. Con uno sguardo che penetra oltre l'apparenza, Egli osserva le folle rapite dalla magnificenza delle pietre e dalle decorazioni sfolgoranti del santuario. Eppure, come scrive Romano Guardini, "la fede non consiste nell'ammirare le cose grandi, ma nel riconoscere la presenza di Dio nell'umile e nel nascosto". Gesù, perciò, si fa profeta tra i profeti: con tono solenne, smaschera l'illusione di una religiosità che si ferma alla maestosità esteriore, dimenticando la fedeltà e la conversione del cuore. Come ammonisce Isaia: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me" (Is 29,13). Annuncia allora senza timore la distruzione del Tempio: "Verranno giorni in cui, di ciò che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra" (Lc 21,6). Queste parole, destinate a compiersi nel 70 d.C., incarnano la profonda coerenza tra la sua missione e la voce profetica dell'Antico Testamento, come sottolinea anche Origene: "La rovina del Tempio terreno apre la via al mistero del vero Tempio, che è il Cristo".

La prima lettura odierna, con la forza del linguaggio di Malachia, mette in guardia contro un culto ipocrita e sterile: "Ecco, sta per venire il giorno rovente come un forno" (Ml 3,19). In questo "giorno del Signore", la storia subisce una prova che non è solo giudizio, ma anche purificazione: "Il Signore tuo Dio è un fuoco divoratore" (Dt 4,24), capace di separare ciò che è autentico da ciò che è falso.

Anche la letteratura contemporanea ci ricorda come ogni sicurezza umana possa crollare, invitando a cercare un fondamento più saldo. Nelle parole di una celebre canzone di Ligabue: "Si cade, si sbaglia, si cambia direzione, ma la vita va avanti comunque". Così, Gesù preannuncia la fine di un'epoca e l'inizio di una nuova alleanza: il Tempio non è più la dimora esclusiva di Dio, ma rischia di diventare, come Egli stesso denuncia con parole dure, "una spelonca di ladri" (Lc 19,46), richiamando Geremia (Ger 7,11) e ponendosi in continuità con l'intera storia profetica d'Israele.

Eppure, la rovina del luogo sacro non segna la fine di tutto, ma l'inizio di un novum pneumaticum, un nuovo modo di adorare e di vivere la presenza di Dio. Come afferma Sant'Agostino: "Non cercare fuori di te il tempio di Dio, poiché tu stesso sei divenuto il suo tempio, se vivi secondo lo Spirito". Così la liturgia si trasforma in esistenza vissuta, la fede si fa cammino quotidiano, e il cuore umano diventa la vera casa di Dio. In questo senso, il canto di speranza di Fabrizio De André risuona attuale: "Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior": anche dalla distruzione può germogliare nuova vita, se ci si lascia trasformare dalla forza dello Spirito. "I veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità" (en pneumati kai alētheia - ἐν πνεύματι καὶ ἀληθείᾳ, Gv 4,23). Il nuovo Tempio è ora il corpo stesso di Cristo (naòs tou sōmatos autou, ναὸς τοῦ σώματος αὐτοῦ, Gv 2,21), morto e risorto. In Lui, il culto antico si trasfigura in una liturgia spirituale (logiké latreía, λογικὴ λατρεία, logikḗ latreía, Rm 12,1): ogni credente diventa pietra viva di un edificio animato dallo Spirito (1Pt 2,5). San Gregorio Magno, commentando l'attesa del Regno, scrive: "Il mondo viene scosso perché il cuore dell'uomo si purifichi dal suo amore per esso." (Hom. in Ev., I,1)

3. Dal segno storico all'orizzonte escatologico

Luca scrive il suo Vangelo verso l'80–90 d.C., quando la distruzione di Gerusalemme è già avvenuta. Da quell'evento egli trae una riflessione teologica universale: la storia è il luogo in cui si manifesta la tensione tra il "già" (hēdē, ἤδη) e il "non ancora" (oupo, οὔπω), tra il Regno inaugurato e la sua piena manifestazione nella Parusía (παρουσία, "presenza" o "venuta gloriosa"). Questa dinamica è ben espressa da Origene, che scrive: "La storia della salvezza si svolge tra ciò che è stato compiuto in Cristo e ciò che ancora deve compiersi in noi" (In Lucam Homiliae XVII,1). Gesù non vuole alimentare ansie apocalittiche (apokálypsis, ἀποκάλυψις, "rivelazione"), ma purificare la fede dei discepoli. Come ricorda sant'Agostino: "Non dobbiamo amare il mondo come se non dovesse finire, né temerlo come se dovesse finire oggi, ma vivere ogni giorno nell'attesa del Signore" (Sermo 361,12). Molti, dice, si presenteranno nel suo nome proclamando: "Il tempo è vicino!" (ὁ καιρὸς ἤγγικεν, ho kairòs ēggiken; Lc 21,8). Ma Egli ammonisce: "Non andate dietro a loro."

Questi falsi profeti (pseudoprophētai, ψευδοπροφῆται) approfitteranno di ogni sconvolgimento politico, sociale o naturale per suscitare paura e disorientamento. Questo fenomeno era già stato preannunciato da Geremia: "Non ascoltate le parole dei profeti che vi profetizzano: vi illudono, espongono visioni del loro cuore, non ciò che proviene dalla bocca del Signore" (Ger 23,16). Ratzinger/Benedetto XVI sottolinea: "L'escatologia cristiana non è una fuga nel terrore, ma l'attesa fiduciosa del compimento in Cristo" (Escatologia. Morte e vita eterna, 1977). Ma la fede cristiana non si nutre di terrore: essa è fiducia perseverante (hypomonḗ, ὑπομονή) in Colui che ha vinto la morte. Come afferma il Salmo: "Anche se camminassi in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me" (Sal 23,4). E nella lettera agli Ebrei si legge: "La fede è fondamento (hypostasis, ὑπόστασις) delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono" (Eb 11,1). In chiave letteraria, il verso di Ungaretti "Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie" richiama la precarietà della condizione umana, ma la speranza cristiana apre all'orizzonte della vita nuova.

Joseph Ratzinger osserva: "L'escatologia cristiana non annuncia la fine del mondo, ma la fine del peccato; non la dissoluzione del creato, ma il suo compimento in Cristo." (Escatologia. Morte e vita eterna, 1977) Il Signore non risponde alla curiosità sul futuro, ma educa a leggere il tempo presente alla luce del télos (τέλος, compimento), non della fine come catastrofe, ma del fine come realizzazione in Dio. L'escatologia cristiana è la ricapitolazione(ἀνακεφαλαίωσις) di tutte le cose in Cristo (Ef 1,10).

4. Perseveranza e testimonianza nel tempo intermedio

Nel tempo che intercorre tra la distruzione del Tempio e il ritorno glorioso del Signore, i credenti sono chiamati a una fede perseverante. "Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita" (Lc 21,19). Il termine greco hypomonḗ(ὑπομονή) indica non una resistenza passiva, ma una costanza fiduciosa, una fermezza interiore che si radica nella speranza. È la virtù dei martiri e dei testimoni (martýrion), coloro che, sostenuti dallo Spirito, rimangono saldi anche nella prova. Gesù promette: "Io vi darò parola e sapienza" (Lc 21,15). È lo Spirito della verità (Pneuma tēs alētheías, Gv 16,13) a rendere ogni discepolo segno vivente del Vangelo. Ogni epoca conosce le proprie "tribolazioni" (thlípseis), ma esse diventano banco di prova della perseveranza e occasione di testimonianza (martyría). Nella seconda lettura, Paolo esorta i Tessalonicesi a non cedere all'inerzia, ma a vivere il tempo presente nella fede operosa e nella carità attiva.

La perseveranza cristiana, posta tra la tribolazione e la testimonianza, rappresenta un cammino attivo di fede durante il tempo che intercorre tra la distruzione del Tempio e il ritorno del Signore. Non si tratta di una semplice attesa passiva, ma di una fermezza fiduciosa radicata nella speranza. Nella Bibbia, la perseveranza (hypomonḗ, ὑπομονή) nasce proprio dalla tribolazione e diventa sorgente di speranza e virtù: "La tribolazione produce perseveranza, la perseveranza una virtù provata, e la virtù provata la speranza" (Rm 5,3-4). Gesù promette ai suoi discepoli la sapienza e lo Spirito della verità, che rende possibile una testimonianza viva del Vangelo anche nei momenti difficili. I Padri della Chiesa, come Tertulliano e Sant'Agostino, ricordano che la perseveranza è la virtù dei martiri e dei testimoni: il sangue dei martiri diventa seme di nuovi cristiani e la fedeltà nel bene non viene mai abbandonata da Dio. In epoca contemporanea, Benedetto XVI sottolinea che la vera perseveranza non è attesa passiva, ma fiducia attiva nella grazia divina, mentre Rahner evidenzia il valore della fedeltà quotidiana come forma di martirio silenzioso.

La letteratura e la musica offrono ulteriori spunti: Ungaretti ricorda la fragilità della vita, ma la speranza cristiana trasforma questa precarietà in apertura alla vita nuova. De André canta che anche dalla sofferenza può nascere qualcosa di buono, mentre T.S. Eliot sottolinea il valore infinito dell'umiltà.In sintesi, la perseveranza cristiana è una testimonianza viva che si alimenta di speranza e si esprime nella carità quotidiana, permettendo al credente di attraversare le prove della storia con fiducia nel compimento del disegno di Dio.

Conclusione

La perseveranza cristiana, dunque, non si limita a una mera resistenza passiva di fronte alle difficoltà e alle tribolazioni della vita, ma diventa una testimonianza viva (martyría) della fede. Essa è alimentata dalla speranza, che sostiene il credente anche nei momenti più bui, e si concretizza nella carità quotidiana, ovvero nella capacità di amare e di servire anche quando tutto sembra avverso. In questo percorso, è la forza dello Spirito (Pneuma, πνεῦμα; Ruach, רוּחַ) a sostenere il cristiano, trasformando il tempo della prova in un tempo di grazia, di crescita e di rinnovamento interiore. Lo Spirito rende possibile che ogni fedele diventi, secondo le parole della Prima Lettera di Pietro, una "pietra viva" (lithos zōntes, λίθος ζῶντες; 1Pt 2,5), un elemento portante e attivo nell'edificio spirituale della Chiesa, chiamato a edificare con la propria testimonianza la comunità dei credenti. Così, anche nel crogiuolo della storia, tra crisi e incertezze, il cristiano può attingere al coraggio e alla fiducia espressi dal Salmo: "Anche se camminassi in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me" (Sal 23,4), certo che "Deus non derelinquit" – Dio non abbandona mai i suoi figli, ma li accompagna e li sostiene lungo tutto il cammino della vita. La storia non è un labirinto di catastrofi, ma un cammino di gestazione del Regno. Gli sconvolgimenti non sono segni della fine, ma segni dei tempi (sēmeia tōn kairōn, Mt 16,3) che preparano il compimento. Il credente, illuminato dalla speranza, sa che Cristo è l'Alfa e l'Omega (Ap 1,8), il Principium et Finis della storia, colui che tiene in mano le chiavi del tempo e dell'eternità. E mentre il mondo passa (transit figura huius mundi, 1Cor 7,31), il discepolo persevera nella fede, servendo, amando e testimoniando. La perseveranza diventa così la forma concreta della speranza (spes contra spem, Rm 4,18): la certezza che, nonostante tutto, Dio compirà il suo disegno di salvezza. T.S. Eliot scriveva nei Quattro Quartetti: "L'unica saggezza che possiamo sperare di acquistare è la saggezza dell'umiltà; l'umiltà è infinita." "Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita" (Lc 21,19). È il sigillo del Vangelo di oggi: non una promessa facile, ma un cammino di fedeltà. È la fiducia che, nel crogiuolo della storia, Deus non derelinquit — Dio non abbandona.

Vergine Maria, Donna della Speranza,

fa' che possiamo vivere questo tempo travagliato che passa

con la fiducia dei bambini che si stringono al petto della madre.

Donaci di lavorare con impegno e serenità

per il Regno del tuo Figlio Gesù,

sapendo che Tu ci precedi e ci accompagni lungo il cammino,

nell'attesa del giorno beato,

quando sorgeranno cieli nuovi e terra nuova (καινοὺς οὐρανοὺς καὶ γῆν καινήν),

e Dio sarà tutto in tutti (omnia in omnibus, 1Cor 15,28).

Amen

don Nicola De Luca