«TU, CHIESA, MIA SPERANZA» PIETRO E PAOLO, TESTIMONI DI UNA BELLEZZA FEDELE

28.06.2025

DOMENICA 29 GIUGNO 2025

SANTI PIETRO E PAOLO, APOSTOLI – MESSA DEL GIORNO – SOLENNITÀ

Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del regno dei cieli. Mt 16,13-19


Nella solennità di oggi, contempliamo in unità due figure differenti e complementari: Pietro, la roccia su cui poggia la comunione, e Paolo, il fuoco missionario che attraversa i confini per annunciare Cristo ai popoli. Due volti, un'unica fede. Due storie, un solo Signore.

A partire dal III secolo, in concomitanza con la festa dei fondatori di Roma, si celebra in questo giorno il martirio dei santi Pietro e Paolo. Questa data è stata rapidamente inserita nel calendario di tutte le Chiese. Nei sacramentari più antichi, i due pilastri della Chiesa universale sono commemorati in un'unica festività, mentre celebrazioni specifiche sono dedicate alla "cattedra di san Pietro" il 22 febbraio e alla "conversione di san Paolo" il 25 gennaio. Benedetto XVI osserva come "La tradizione cristiana da sempre considera san Pietro e san Paolo inseparabili: in effetti, insieme, essi rappresentano tutto il Vangelo di Cristo. A Roma, poi, il loro legame come fratelli nella fede ha acquistato un significato particolare. Infatti, la comunità cristiana di questa Città li considerò come una specie di contraltare dei mitici Romolo e Remo, la coppia di fratelli, a cui si faceva risalire la fondazione di Roma.

"Si potrebbe pensare anche a un altro parallelismo oppositivo, sempre sul tema della fratellanza: mentre, cioè, la prima coppia biblica di fratelli ci mostra l'effetto del peccato, per cui Caino uccide Abele, Pietro e Paolo, benché assai differenti umanamente l'uno dall'altro e malgrado nel loro rapporto non siano mancati conflitti, hanno realizzato un modo nuovo di essere fratelli, vissuto secondo il Vangelo, un modo autentico reso possibile proprio dalla grazia del Vangelo di Cristo operante in loro. Solo la sequela di Gesù conduce alla nuova fraternità" (Santa Messa e imposizione del pallio ai nuovi metropoliti, 29 giugno 2012).

Nel Nuovo Testamento, Pietro ha un ruolo di primo piano. Nato a Betsaida di Galilea, insieme al fratello Andrea, fu discepolo di Giovanni Battista fino a quando incontrò Gesù, che lo nominò capo degli apostoli. Nei primi capitoli degli Atti degli Apostoli (cc. 1-12), Pietro si manifesta come fondamento e portavoce visibile del collegio dell'unità apostolica , indicato come "Pietro con gli altri Undici" (2,14). La posizione di Pietro si basa sulle parole di Cristo, come riportato nelle tradizioni evangeliche (Mt 16, 17-19; Lc 22,31-32; Gv 21,15-19; 1 Cor 15,5). La tradizione antica associa Pietro a due grandi sedi dell'epoca apostolica: Antiochia, dove fu probabilmente il primo vescovo, e Roma, dove subì il martirio sotto l'imperatore Nerone, crocifisso – secondo la tradizione – con la testa rivolta verso il basso sul colle Vaticano (67 d.C.?).

Paolo, nato all'inizio dell'era cristiana a Tarso, un vivace centro cosmopolita, ricevette un'educazione rabbinica che completò a Gerusalemme presso la scuola di Gamaliele, familiarizzandosi anche con la cultura ellenistica. Dalla visione di Damasco, che segnò la sua conversione a Gesù Cristo, fino al martirio a Roma, Paolo dedicò la sua vita a diffondere il Vangelo di Gesù, crocifisso e risorto, inizialmente tra i giudei e successivamente, su scala globale, ai popoli pagani. Gli Atti degli Apostoli descrivono queste attività missionarie in tre grandi viaggi.

L'ultimo viaggio, probabilmente avvenuto dopo la sua liberazione dal carcere romano, non è descritto dettagliatamente, ma vi sono indizi nelle sue lettere. Secondo una tradizione consolidata, Paolo fu decapitato alle porte di Roma "ad Aquas Salvias", vicino alla via Ostiense, contemporaneamente al martirio di Pietro. Per entrambe le figure principali della Chiesa, è significativo notare come la loro debolezza metta in risalto la potenza di Dio e della sua grazia, piuttosto che titoli di prestigio o qualità personali.

«Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). Questo versetto e i seguenti costituiscono un famoso complemento ecclesiologico alle parole di Pietro. Le parole rivolte da Gesù a Simone diventano fondamento visibile di un mistero che attraversa i secoli: la Chiesa, Corpo vivente di Cristo, reso stabile dalla testimonianza e dal sangue degli apostoli. Tale mandato da parte di Gesù a Pietro nasce dalla confessione di fede di quest'ultimo, parole la cui provenienza non è umana, bensì divina: ispirata. Nel vangelo di Matteo a differenza di quello marciano, l'evangelista fa risaltare sulla bocca di Pietro sua unica ed esclusiva figliolanza tra il Figlio e il Padre. Ovviamente Matteo lo fa perché nessuno possa pensare o interpretare male la figura di Gesù come Messia politico. 

Le stesse parole di Gesù che seguono immediatamente spingono il credente a guardare a Pietro come guida autorevole e sicura nell'assemblea del nuovo Israele. A seguire vi è un gioco di parole: Pietro o petra in aramaico sono entrambe equivalenti a "kèfa. Tu sei Pietra e su questa pietra edificherò. Nel cuore del dialogo con i suoi discepoli, a Cesarea di Filippo, Gesù rivolge a Simone un gesto profetico e fondativo: gli cambia il nome, chiamandolo non più Simone, ma "Kèfa" — cioè "roccia". Non si tratta soltanto di un nuovo appellativo, ma della rivelazione di una vocazione e di una missione. Pietro sarà la pietra scelta da Cristo stesso, il fondamento visibile sul quale Egli intende edificare la sua Chiesa, che non è semplicemente una realtà umana, ma il mistero del Popolo di Dio convocato nella fede, vivificato dallo Spirito e generato dal mistero pasquale.

In quel gesto, Cristo manifesta la sua intenzione di dare alla comunità dei credenti una stabilità storica e spirituale: Pietro diventa segno e strumento di unità, custode dell'autenticità della fede e pastore della comunione ecclesiale. La Chiesa, costruita su questa roccia, non poggia sulle fragilità umane, ma sulla fedeltà di Dio che agisce nella storia attraverso strumenti scelti, pur nella loro debolezza. Sono parole impegnative e di rilevante importanza poiché donano al pescatore di Galilea un'autorità che funga da intermediario tra la Chiesa e il Regno di Dio: "legare e sciogliere".

Il primato di Pietro nel Nuovo Testamento è un dato oggettivo e innegabile. Proprio lì, a Cesarea di Filippo, come frutto della sua confessione di fede in Cristo Gesù, Pietro riceve un mandato unico ed esclusivo di servizio alla Chiesa. Non un privilegio o un primate di potere e di onore mondani, ma una missione d'amore in primo luogo verso Cristo Gesù e della universale (Cattolica) ἐκκλησία (ekklēsíā – termine usato nei vangeli solo qui). Un nuovo Mosè chiamato per una vocazione particolarissima con carisma unico per confermare tutto il nuovo Israele (il Popolo santo di Dio) nella fede e condurlo alle sorgenti della verità piena e della grazia.

Paolo, invece, è l'apostolo carismatico, evangelizzatore, il mistico. Colui che a suo dire, indegnamente, fu scelto come apostolo per una missione altrettanto delicata, impegnativa e responsabile: portare il vangelo ai lontani. Nato alla fede come un aborto. Lui il persecutore della Chiesa di Cristo, il violento, il bestemmiatore intransigente della legge farisaica. Eppure lo Spirito, che soffia dove e quando vuole, lo sospinge verso Cristo fino a renderlo conforme a Cristo in tutto. Se volessimo usare tre icone per sintetizzare il suo ministero dovremmo approdare a ciò:

  • Icona cultuale.

Paolo usa il termine libagione riferendolo a se stesso per indicare alle comunità che la sua vita è stata e sarà un sacrificio vivente a Cristo per il bene della Chiesa.

  • Icona militare

Paolo paragona la missione evangelizzatrice ad una buona battaglia a cui si è dedicato interamente, senza risparmiarsi in nulla.

  • Icona sportiva.

Sentendo ormai prossima la fine della vita considera tutta la sua esistenza e il servizio a Cristo e alla Chiesa come una gara lì dove ha corso per raggiungere la corona della gloria. E cioè l'unione intima ed eterna con il Cristo annunciato, confessato e vissuto. Nelle sue tredici lettere, San Paolo lascia intravedere il fascino profondo e la bellezza di un'esistenza totalmente offerta a Cristo. Il suo è un annuncio ardente e universale di salvezza, rivolto a tutti coloro che si lasciano raggiungere dall'amore misericordioso e tenero di Dio Padre.

Particolarmente toccante è la seconda lettera a Timoteo, dove l'Apostolo delle Genti affida quello che possiamo considerare il suo "testamento spirituale": un passaggio unico in cui parla direttamente di sé, con l'intensità di chi sente vicina la fine e desidera trasmettere l'essenziale della propria fede e missione. Ecco il tuo brano arricchito con citazioni bibliche appropriate:

Paolo è il conquistato da Cristo, il sedotto dal suo amore che ritiene il basamento più importante per la vita dei credenti e per l'intera Chiesa. Conversione e vocazione in lui sono equivalenti. Proprio lì, sulla via di Damasco, il risorto gli si manifesta accecandolo prima per poi ridonargli la vista. "Mentre era in cammino, si trovò nei pressi di Damasco; all'improvviso, una luce dal cielo brillò attorno a lui. E cadendo a terra udì una voce che gli diceva: 'Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?'" (At 9:3-5). Nasce l'uomo nuovo: Saulo non c'è più. Esiste Paolo convertito a Cristo Signore e chiamato ad avviarsi fino ai confini estremi della terra per recare "la potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede"(Rm 1:16) attraverso il Vangelo.

Da qui possiamo tracciare semplici riflessioni ecclesiologiche. La Chiesa non deve cercare una nuova immagine di sé come chi desidera il vestito più "alla moda" per apparire, né vivere nella spasmodica ricerca del "novus" per fare audience. La sua vera novità nasce da una rinnovata effusione dello Spirito Santo, che la rende sempre più vera, più giovane, più fedele al suo Signore. È lo Spirito, non il marketing, a renderla bella. È lo Spirito, non le strategie, a rivelarne l'essenza. La sua natura è missionaria: essa esiste solo per evangelizzare. Per portare Cristo agli uomini e gli uomini a Cristo in un mondo che cambia sempre più rapidamente. Non c'è sintesi migliore del significato profondo della festa odierna di quella proposta nel prefazio liturgico.:

Tu hai voluto unire in gioiosa fraternità i due santi apostoli:
Pietro, che per primo confessò la fede nel Cristo,
Paolo, che illuminò le profondità del mistero;
il pescatore di Galilea,
che costituì la prima comunità con i giusti di Israele,
il maestro e dottore, che annunziò la salvezza a tutte le genti.
Così, con diversi doni, hanno edificato l'unica Chiesa,
e associati nella venerazione del popolo cristiano
condividono la stessa corona di gloria.

Scriveva san Leone Magno: «La dignità di Pietro non si spegne nemmeno nel successore: ciò che fu dato a lui, permane». È nella fedeltà al mandato ricevuto – «Pasci le mie pecorelle» – che la Chiesa trova la sua continua sorgente di martirio, di rifiuto, ma anche di salvezza. Non una passerella, ma un altare. Non un talk show, ma un grembo che genera alla vita divina. Confesso una certezza interiore che mi abita e mi riempie di pace: la Chiesa può, in qualsiasi momento, fare a meno di me. Ma io non potrei mai fare a meno della Chiesa. Non saprei dove, come, se salvarmi. Chiesa di Cristo Risorto, presieduta nella carità da Pietro e profetizzata da Paolo, tu mi sei necessaria.

Il tuo splendore, Chiesa santa, mi rapisce e mi seduce. Se talvolta la tua bellezza appare offuscata a causa delle nostre incoerenze, non ti condannerò, non ti rinnegherò. Tu sei la Sposa dell'Agnello, il suo tempio, la sua dimora, il suo strumento di salvezza nel mondo. Sei mia madre. Non fisserò lo sguardo sulle storture che ti abbiamo inflitto, ma mi lascerò incantare dalla tua trascendenza, cercando, a partire da me, di renderti più bella.

Scrive Luigi Giussani: «La Chiesa non è un insieme di norme, ma un fatto: è la presenza di Cristo nel tempo». E Romano Guardini affermava: «La Chiesa si desta nelle anime», perché è in esse che si rinnova il sì alla missione, alla fedeltà, al martirio.
Pietro, il pescatore impetuoso, liberato dalle catene per mano di un angelo (At 12,1-11), ci ricorda che la Chiesa non è immune dalle prove, ma custodita nella preghiera. Paolo, l'atleta della fede che può dire «ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede» (2 Tm 4,6-8), ci insegna che il Vangelo è forza che spinge a uscire da sé per donarsi.
Entrambi ci chiamano a vivere la fede non come adesione teorica, ma come offerta totale. Anche oggi la Chiesa ha bisogno di pietre vive, di cuori innamorati, di testimoni disposti a offrire la propria vita per il Vangelo.

E allora preghiamo:
O Chiesa di Cristo,
non ti rinnegherò.
Anche se ferita, anche se derisa,
ti amerò.
Perché tu sei la Sposa dell'Amato,
la mia casa, la mia madre,
la mia speranza.
Pietro, confermaci nella fede.
Paolo, infiamma il nostro annuncio.
E a noi, umili credenti, donate
l'audacia di restare
e la gioia di servire.
Amen.

don Nicola De Luca