SPERANZA SALDA IN UN MONDO LIQUIDO

02.08.2025

DOMENICA 03 AGOSTO 2025

XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Quello che hai preparato, di chi sarà? Lc 12,13-21


La Domenica odierna apre al cuore degli ascoltatori orizzonti enigmatici, apparentemente oscuri e talvolta dai tratti pessimisti. Parliamo del libro del Qoèlet, che fa da prologo a tutta la liturgia della Parola. Un tempo noto come "Ecclesiaste", questo testo è di non facile interpretazione per gli esegeti, proprio per la sua novità e peculiarità, tendente a un realismo estremo che lascia i credenti, a primo acchito, attoniti, confusi e spauriti. In particolare, la pericope in questione sembra cadenzare in modo monotono e scoraggiante un leitmotiv che accompagna la lettura di tutto il libro: "Vanità delle vanità, tutto è vanità" (Qo 1,2).

Il termine in lingua ebraica (הֶבֶל, hèvel) è un superlativo che, tradotto letteralmente, significa "soffio dei soffi", vapore, vento, fumo. La traduzione greca dei Settanta lo traduce con κενός (kenos), cioè "vuoto", "inutile", "vano". Vi è un'interpretazione molto interessante e attuale che traduce il termine come "nullità".

Questa interpretazione richiama le teorie di Zygmunt Bauman (1925-2017), sociologo polacco noto per il concetto di "società liquida". Bauman definisce la modernità come una "società liquida", caratterizzata da incertezza, volatilità e individualismo, in contrasto con le società più stabili del passato. La liquidità descrive l'erosione della sicurezza nelle relazioni e nel lavoro, ormai precari e digitalizzati. Questo modello spiega le attuali sfide sociali e la frammentazione della vita contemporanea. Tutto, dunque, è divenuto caduco, inconsistente, nullo e liquido, così come ci ricorda l'autore del libro del Qoèlet: "Il vento soffia dove vuole e tu ne senti il suono, ma non sai da dove venga né dove vada" (Gv 3,8).

Questa apparente visione sconcertante della vita, tuttavia, è condizionata da rapidi mutamenti e stravolgimenti epocali, religiosi, politici ed economici. Ecco perché il leitmotiv di tutto il discorso è il seguente: la vita, la storia e la quotidianità sono un grande enigma che spesso sfugge alla comprensione dell'uomo e, d'altro canto, sfugge alla volontà di dominio e di possesso delle cose e degli affetti, senza garantire nulla di duraturo e certo (il nulla o la liquidità). La quotidianità diviene così un duro e pesante fardello da portare e sopportare.

Ma in tutto questo contesto di indecifrabilità del futuro e dell'orizzonte umano, c'è un'unica certezza che non muta e non cambia, resiste a ogni movimento di liquidità: la presenza costante di Dio nella nostra vita. Come ci ricorda il Salmo 46,1: "Dio è il nostro rifugio e la nostra forza, un aiuto sempre pronto nella difficoltà". Seppur circondati da un mondo incerto, possiamo trovare nella fede e nella sua grazia un motivo di rinascita e di speranza. Il teologo contemporaneo Henri Nouwen afferma che "la vera forza non sta nel potere, ma nella vulnerabilità". In questo senso, possiamo vivere la nostra quotidianità con gratitudine, consapevoli che, anche nei momenti di crisi, il Signore è la nostra roccia e la nostra salvezza (Sal 62, 7-8).

Come infatti il libro del Qoèlet si conclude con un'esortazione che punta sul timore del Signore (che non è paura) e sull'osservanza dei suoi comandamenti, che per il credente è il tutto nell'inutilità del tutto (Qo 12,13). L'autentica stabilità dell'uomo consiste nell'affidamento totale nelle mani del Signore, che regge e conduce ogni cosa al suo ultimo destino. La Sapienza di Dio è scudo e corazza in tempi caduchi. Essa rappresenta l'unica certezza in un mondo in continua trasformazione. Ecco perché siamo esortati oggi a "cercare le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio" (Col 3,1), e non a pensare alle cose della terra.

Questo concetto non è assolutamente un invito a sradicarsi dalle cose del mondo per rifugiarsi in uno spiritualismo disincarnato, ma piuttosto ad abitare il mondo con lo stile dei poveri di spirito, senza sposarne la mondanità. È uno stimolo a liberare il cuore dalle ricchezze, dall'accumulo e dalla smania di fare soldi a tutti i costi, per farsi riempire dallo Spirito Santo di Dio, che ci spinge a vivere tutto con grande libertà, condivisione, saggezza e carità.

Intendiamoci: la parabola di Gesù, dell'accumulatore seriale di beni e ricchezze e costruttore di nuovi depositi, non è tesa alla condanna della ricchezza in sé o di uno stato di vita benestante. Non vi è alcuna ideologia marxista sottesa; né condanna alla proprietà privata né disprezzo per i beni della terra. Come annota Sant'Ambrogio: "Non è la ricchezza in sé che è un male, ma l'amore smisurato per essa" (De Officiis Ministrorum).

Gesù condanna invece quell'atteggiamento del cuore che si esprime come legame estremista al danaro e alle ricchezze, quel comportamento di accumulatore seriale o idolatra di nuovi vitelli d'oro (Es 32,4) che non permette agli occhi dello spirito di vedere le povertà degli altri e che porta a un agire sclerotizzato, privo di compassione e condivisione. Bruno Forte, in merito, sottolinea che la vera ricchezza si trova nel dono di sé e nella relazione con Dio e con gli altri. Siamo chiamati, invece, ad arricchirci agli occhi di Dio realizzando depositi per l'eternità. Tali rimesse sono tutti i poveri che il Signore avrà posto sulla nostra via e dove si è celato perché spezzassimo il pane della verità e della carità con essi.

O Maria, Donna povera, umile e mite, ricca soltanto della grazia del Dio onnipotente, del Figlio incarnato e dello Spirito Santo amore, fai di noi strumenti di condivisione e compassione, uomini e donne liberi da ogni mondanità per portare al mondo la carità del Figlio tuo Gesù.

don Nicola De Luca