SPERANZA NELLA MISERICORDIA: L’INCONTRO CON IL PROSSIMO SUL CIGLIO DELLA STRADA

12.07.2025

DOMENICA 13 LUGLIO 2025

XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

"Chi è il mio prossimo?" Lc 10, 25-37


Se non ripartiamo dalla Parola di Dio e dall'obbedienza alla sua voce, ai suoi comandi d'amore (cf. Dt 30, 10-14), sarà difficile riconoscere in chi ci sta accanto un nostro simile: una persona impastata della nostra medesima umanità, che vive i nostri stessi drammi, le nostre incertezze, le fatiche e le angosce del vivere quotidiano. Tanto più arduo è individuare nell'altro l'immagine e somiglianza con Dio; un essere creato con sostanza divina per un atto creatore di Dio, dotato delle medesime qualità divine di cui siamo anche noi improntati: libertà, volontà, razionalità, amore, capacità di relazione, spiritualità e immortalità. Questa è la visione teologica dell'umanità. Tuttavia, è ancor più difficile misurarsi con la consapevolezza che "l'altro da me è mio prossimo", e anzi, che devo farmi prossimo a lui, soprattutto se è ferito, percosso, abbandonato, devastato nel cuore e nel corpo, lasciato sul ciglio della strada, mezzo morto (cf. Lc 10, 30-37).

Pertanto, dobbiamo ancor di più ricorrere a Gesù, Signore e vero maestro di umanità. Solo Lui può insegnarci la via per uscire dal nostro squallido egoismo e cominciare ad amare come a Lui si conviene. Egli è il vero e unico docente che ci offre dei fratelli e delle sorelle una chiave ermeneutica squisitamente cristologica. "Egli è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura" (Col 1, 15), colui che ci riconcilia e ci offre la pienezza della verità. L'autenticità del cristiano si misura dalla sua capacità di amare come ha amato Cristo: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15, 13).

Ecco perché le letture di questa domenica gettano luce su questa grande verità, che dovrebbe divenire il nostro stile quotidiano di vita. Un dottore della legge chiede a Gesù cosa deve fare per ereditare la vita eterna. Il Signore rimanda alla sua intelligenza e alla conoscenza del cuore della legge: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso" (Lc 10, 27). Tuttavia, la questione posta è solo un modo per mettere alla prova Gesù, ostacolarlo e cercare qualche capo d'accusa nei suoi riguardi. Questa prassi è tipica di chi non cerca la verità e non possiede nel suo cuore Dio, come dimostra l'intento peccaminoso del dottore della legge, il quale, volendo giustificarsi, chiede chi sia il suo prossimo.

Gesù, con infinita sapienza e con un linguaggio parabolico, ci offre la visione cristologica del prossimo, che diverrà regola perenne per tutti coloro che vorranno amare come Lui ha amato, svuotandosi dall'egoismo di cui sono costituiti e così entrare nella vita eterna. Come affermava Sant'Agostino: "Ama e fai ciò che vuoi", perché l'amore, se autentico, ci guiderà sempre sulla via della verità e della carità. Inoltre, il teologo contemporaneo Hans Urs von Balthasar sottolinea che "l'amore supera ogni limite" e ci spinge a varcare le barriere del nostro egoismo per abbracciare il prossimo in tutte le sue dimensioni.

La storia narrata è semplice, fruibile per tutti, ma di portata cosmica. L'uomo che incontra i briganti, percosso a sangue, lasciato mezzo morto e derubato dei suoi beni, viene visto tre volte da tre personaggi specifici: un sacerdote, un levita e un samaritano. Tre volti, ma con occhi e cuori molto differenti. Ciò che colpisce è che i primi due, indistintamente, vedono quel malcapitato, ma non fanno nulla. Forse troppo presi dal culto divino che andavano a svolgere, passano oltre, come se nulla fosse, completamente ignari dello sventurato. Questo è l'esempio dell'indifferenza e del cinismo più spietato e gretto che possa esistere. Nel nome di Dio si «passa oltre». Nel nome di Dio non ci si può fermare. Nel nome di Dio si può lasciar tranquillamente morire una persona per strada. Questo è il grande insegnamento farisaico: annullare l'uomo in nome di Dio.

Il samaritano, invece, possiede un cuore diverso perché vede con occhi differenti. Egli guarda a quell'uomo steso per terra con occhi compassionevoli. Non passa oltre. Va oltre l'indifferenza e l'egoismo e si china su quel misero, curandone le ferite aperte e sanguinanti. E come se ciò non bastasse, lo conduce in un albergo e si prende cura di lui. Ma va ancora oltre: il giorno seguente lascia due denari all'albergatore, raccomandandogli di prendersi cura di quell'uomo, quasi fosse un fratello, un amico, un parente, e aggiunge che tutto ciò che spenderà in più glielo restituirà al suo ritorno. Per giunta, questo personaggio che incarna la misericordia è un samaritano, cioè uno che non appartiene alla religione ufficiale di Israele. Il peggiore insulto che si potesse rivolgere a un giudeo era "cane" o "pagano"; il secondo era "samaritano" che equivaleva a "bastardo, rinnegato, eretico!" (Gv 8,48)

A conclusione della parabola, la dichiarazione di Gesù è perentoria: "Va' e anche tu fa lo stesso" (Lc 10, 37). Ma non è forse Cristo stesso che si cela dietro quella persona ricca di compassione e misericordia? Non è Lui che entra nel mondo non per passare oltre l'uomo, ma per chinarsi sulle sue ferite, fasciandole amorevolmente, curandole e sanandole? Non è forse Lui colui che non è riconosciuto come il rabbì ed è ritenuto lontano dagli usi e costumi della religione ufficiale, ma che, di fatto, è venuto a prendersi cura dell'umanità affranta e smarrita? Non è forse Lui l'antitesi dell'egoismo puro e cinico, colui che si presenta a noi come amore donante e liberante?

Di certo, quell'uomo è Lui. In una società che vive secondo l'asserto hobbesiano "homo homini lupus", Cristo Signore ci insegna ancora una volta come essere compassione e misericordia di Dio nel mondo. L'altro da me non è un antagonista, un nemico, o una persona da sfruttare fino alla resa della sua vita. Non è un anonimo su cui passare tranquillamente oltre, ma è un uomo da servire, custodire, salvare e curare in tutte le dimensioni che lo individuano come tale.

Come affermava San Giovanni Crisostomo: "Nessuno è tanto povero da non poter donare qualcosa", e San Gregorio Magno sottolinea che "la vera carità non ha limiti e non conosce frontiere". Questa chiamata a una comprensione più profonda e a un amore attivo verso il prossimo è condivisa anche da teologi contemporanei come Henri Nouwen, il quale scrive: "La vera compassione ci chiede di entrare in relazione con coloro che soffrono, non per salvare, ma per essere al loro fianco". Se ci lasciamo ispirare da questi esempi di amore e misericordia, possiamo diventare referti viventi dell'amore di Dio nel mondo, impegnandoci tutti a rispondere all'urgenza dei bisogni dei nostri simili.

Mi piace concludere questa breve meditazione con le parole di un prefazio che il Messale romano ci propone nelle domeniche del tempo ordinario e che ha per titolo: Gesù buon samaritano.

È veramente giusto lodarti e ringraziarti,

Padre santo, Dio onnipotente ed eterno,

in ogni momento della nostra vita,

nella salute e nella malattia

nella sofferenza e nella gioia,

per Cristo tuo servo e nostro Redentore.

Nella sua vita mortale

egli passò beneficando

e sanando tutti coloro

che erano prigionieri del male.

Ancor oggi come buon samaritano

viene accanto a ogni uomo

piagato nel corpo e nello spirito

e versa sulle sue ferite

l'olio della consolazione e il vino della speranza.

Per questo dono della tua grazia, anche la notte del dolore

si apre alla luce pasquale del tuo Figlio crocifisso e risorto.

don Nicola De Luca