SPERANZA ILLUMINATA DALL'AMORE: UN COMANDAMENTO PER I TEMPI DI OSCURITÀ"
DOMENICA 18 MAGGIO 2025
V DOMENICA DI PASQUA - ANNO C
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri.Gv 13,31-33a.34-35
La pericope giovannea che oggi la Chiesa sottopone alla nostra meditazione e al nostro cuore pensante fa parte di un discorso che l'evangelista redige e che viene comunemente chiamato il "discorso dell'addio di Gesù" o il suo "testamento spirituale". Ci troviamo quindi a ritroso nel tempo, nel cenacolo, durante l'ultima cena; prima che si compiano gli eventi salvifici della passione, morte e risurrezione di Cristo. È importante notare che ciò che accade immediatamente prima di questo discorso è fondamentale per cogliere il senso pieno del testo in questione. Mentre i sinottici presentano l'istituzione dell'Eucaristia, Giovanni propone un gesto rivoluzionario di Dio: la lavanda dei piedi, ponendola come modello di servizio per ogni uomo e per ogni tempo. Tuttavia, a questo meraviglioso "segno" segue immediatamente l'ultima cena e la fuga di Giuda dal cenacolo in piena notte; questo gesto è simbolo di un'oscurità non tanto esteriore quanto interiore. Il cuore di Giuda è ormai immerso nelle tenebre più profonde e fitte della perdizione e del male.
Il discorso intenso e profondo di Gesù, il suo vero lascito, avviene in questo contesto. Per prima cosa, possiamo riconoscere un duplice movimento di glorificazione: da parte di Gesù verso il Padre e del Padre nei riguardi di Gesù. Di quale gloria si parla? Non certo di quella mondana. Il Figlio glorifica il Padre con la sua perfetta obbedienza d'amore, offrendosi senza riserva alcuna per la salvezza di ogni uomo. E il Padre glorifica il Figlio in quanto Figlio obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Nel Vangelo di Giovanni, il viaggio verso il Golgota ha un significato regale, trionfante e glorioso. Sofferenza, crudeltà, violenza e odio fanno da sottofondo, ma principalmente questa "ora" tanto decantata dall'evangelista fin dagli albori del suo scritto, è l'"ora" della δόξα – doxa, ovvero la rivelazione più significativa della potenza e della gloria di Dio.
Paradossalmente, è nel totale annientamento, nel suo svuotarsi e perdere i privilegi divini che Cristo glorifica il Padre. Ciò che Paolo, nel suo inno cristologico ai Filippesi, definisce κένωσις - "kenosi" (spogliazione di sé). In Fil 2,7-8, si legge: "Si spogliò di se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini". Gesù dà gloria al Padre suo attraverso il dono di sé. Lo ripetiamo ogni giorno anche nelle parole della preghiera consacratoria: "Egli, consegnandosi volontariamente alla sua passione…" È in questa offerta volontaria di sé alla passione che Cristo Gesù glorifica il Padre e il Padre glorificherà il Figlio con la potenza della risurrezione.
Per il mondo, la croce è abominio, fallimento, tortura, maledizione e follia, ma per Cristo Signore e il Padre suo, è un evento dossologico; un momento di glorificazione. Tramite essa, infatti, Dio redime l'umanità; la riscatta dal potere della morte e del peccato, compiendo un nuovo esodo verso la risurrezione gloriosa. In questo contesto, è interessante richiamare la riflessione del teologo contemporaneo Hans Urs von Balthasar, il quale osserva che "la gloria di Dio è rivelata nell'amore crocifisso" e suggerisce che "la croce è il luogo della saturazione di ogni dolcezza e potenza divina" (Balthasar, "La gloria e la croce"). La croce, quindi, diventa il segno tangibile della pienezza di vita che Dio desidera offrirci attraverso il sacrificio di suo Figlio.
A questo punto viene introdotto il tema del comandamento dell'amore, il "comandamento nuovo". Nuovo non perchè si aggiunga a tutti gli altri, ma perché ne è la sintesi e il compimento pieno. Non si tratta più di amare il prossimo come se stessi, ma di amarsi vicendevolmente come Gesù ci ha amati. Come è scritto in Gv 13,34: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri." D'ora in poi, per i discepoli e per la Chiesa pellegrina nel tempo, il metro di misura sul quale regolare il nostro amore sarà quello del cuore di Cristo. Un amore universale, cosmico, senza limiti, a senso unico, costi quel che costi. Questo amore sarà segno di appartenenza a Cristo e distintivo di ogni discepolo e di ogni comunità.
Ciò potrà avvenire non con le nostre sole forze. Non ne saremmo capaci. Ma è un dono che va attinto direttamente dall'amore di Cristo nella Parola, nell'Eucaristia e nella preghiera. Come afferma Sant'Agostino: "Nessuno ama se non ama per mezzo dell'Amore" ("De Trinitate", VIII). Si ama amando, attingendo alla sorgente dell'amore. E lì dove l'amore è vissuto senza se e senza ma, si accende una luce potente di speranza che si irradia nel mondo.
Oggi è tempo di amare. Dinanzi ai tanti conflitti che feriscono l'umanità, particolarmente quella più fragile e debole, il rimedio è l'amore discendente dal cuore di Gesù in noi e da noi verso tutti. La nostra credibilità e la nostra forza si misurano dalla capacità di amare come Lui ci ha amati fino alla fine. Come scrisse il teologo contemporaneo Henri Nouwen, "Il rispetto e l'amore reciproci possono apparire come un gesto tanto fragile, ma sono il segno di una vita che si basa su un profondo senso di appartenenza a Dio" ("The Wounded Healer").
Vergine Maria, amata da Dio e amante dell'umanità intera, poniti al nostro fianco e sussurraci parole e gesti d'amore cristiano, affinché questa nostra storia così tormentata, incupita e assetata di violenza riscopra la capacità e il coraggio di far esplodere l'unica arma che ci è consentito usare: la speranza. Come asseriva Papa Francesco: "La speranza è l'audacia di vivere e di affrontare il futuro con gioia."
don Nicola De Luca

