QUANDO LA SPERANZA ENTRA IN CASA

XXXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
Oggi per questa casa è venuta la salvezza" (Lc 19,1-10)
Introduzione
L'incontro tra Gesù e Zaccheo, narrato nel Vangelo secondo Luca, si distingue per la sua profondità esistenziale e il suo messaggio rivoluzionario. Questo episodio non è soltanto il racconto di una conversione personale, ma un vero e proprio paradigma della misericordia e dell'iniziativa divina.
Zaccheo, uomo arricchito attraverso la professione di pubblicano e quindi disprezzato dalla sua gente, vive una condizione di isolamento interiore. La sua ricchezza, anziché appagare il cuore, lo lascia inquieto e assetato di senso. La sua è una vita apparentemente di successo, ma segnata da una profonda solitudine morale e spirituale.
Gesù, entrando a Gerico, non si limita a osservare la folla, ma alza lo sguardo e cerca proprio Zaccheo, colui che tutti evitano. Qui si manifesta la "grazia preveniente": Dio prende l'iniziativa, si fa vicino, entra nelle pieghe più oscure dell'esistenza umana senza temere il giudizio o la contaminazione. Il gesto di Gesù di voler fermarsi a casa di Zaccheo è scandaloso, ma rivela il vero volto di Dio: un Padre che si fa prossimo a chi è lontano e offre una possibilità di riscatto a chiunque si lasci toccare dal suo sguardo.
L'incontro genera un movimento interiore in Zaccheo: il desiderio di vedere Gesù si trasforma in un incontro personale che cambia la sua vita. La libertà umana non viene forzata, ma accolta e valorizzata: Zaccheo risponde all'invito con prontezza, apre la sua casa e soprattutto il suo cuore, lasciando che la luce della grazia entri e lo trasformi. Si compie così il percorso della salvezza: dalla curiosità nasce la ricerca, dalla ricerca la disponibilità, dalla disponibilità la conversione, dalla conversione la gioia di una vita nuova.
Infine, questo episodio insegna che nessuno è escluso dalla possibilità di rinascita. La salvezza non è una ricompensa per chi si ritiene perfetto, ma un dono gratuito per chi riconosce il proprio bisogno e si lascia amare. La casa di Zaccheo, simbolo della nostra interiorità spesso chiusa e impaurita, diventa il luogo in cui la speranza trova dimora e la gioia rinasce. È un invito, per ogni credente, a lasciarsi sorprendere da uno sguardo che salva e a non temere di aprire le porte a Colui che viene per portare pace e misericordia.
1. Zaccheo: l'uomo che crede di possedere, ma è posseduto
Zaccheo, capo dei pubblicani di Gerico, è un uomo che ha tutto, tranne la pace. Il suo nome, Ζακχαῖος (Zakkaios), deriva dall'ebraico זַכַּי (zakkay), "puro", "giusto", ma la sua esistenza è segnata da una profonda impurità morale e da un'inquietudine che non gli dà tregua. Egli incarna la parabola dell'uomo moderno che, pur avendo raggiunto il successo materiale, resta prigioniero di una sete di senso che nessuna ricchezza può placare. Come ricorda il salmista: «Se le ricchezze abbondano, non vi attaccate il cuore» (Sal 62,11), perché l'idolatria del possesso genera schiavitù interiore.
La figura di Zaccheo è emblematica di chi crede di dominare il mondo, ma in realtà è dominato da esso. Il Vangelo ammonisce: «Ὁ δὲ Θεὸς εἶπεν αὐτῷ· Ἄφρων, ταύτῃ τῇ νυκτὶ τὴν ψυχήν σου ἀπαιτοῦσιν ἀπὸ σοῦ· ἃ δὲ ἡτοίμασας, τίνι ἔσται;» ("Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita; e quello che hai preparato, di chi sarà?" Lc 12,20). La ricchezza, come insegna san Giovanni Crisostomo, «non è male in sé, ma quando si fa padrona del cuore, lo rende prigioniero» (Omelie su Matteo, 63,4). L'idolo del denaro diventa una catena invisibile, che soffoca la libertà e la capacità di amare.
Sant'Agostino, in una delle sue pagine più celebri, scrive: «Fecisti nos ad Te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te» ("Ci hai fatti per Te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te", Confessioni I,1). Questa inquietudine, che abita Zaccheo, è il primo segno della grazia che bussa alla porta: «Ecce sto ad ostium et pulso» ("Ecco, sto alla porta e busso", Ap 3,20). Anche nel cuore più lontano, Dio lascia un seme di nostalgia, una fame di verità che nessun bene terreno può saziare. Origene commenta: «L'anima che cerca Dio è come Zaccheo: si eleva sopra la folla della mondanità per vedere il Signore» (Commento a Luca, PG 13,1844).
La conversione di Zaccheo non è solo un evento privato, ma una rivelazione dell'iniziativa misericordiosa di Dio. Karl Barth afferma: «La grazia precede sempre il desiderio umano; Dio ci cerca prima che noi lo cerchiamo» (Commentario alla Lettera ai Romani, II, p. 322). Zaccheo, dunque, è il simbolo di ogni uomo che, pur immerso nelle sue contraddizioni, resta aperto all'irruzione della misericordia. In lui si compie la parola del profeta: «Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo» (Ez 36,26).
Così, la storia di Zaccheo diventa un invito per ogni lettore a non temere la propria inquietudine, ma a riconoscerla come il luogo in cui Dio semina la sua promessa di salvezza. «Non si vive senza una nostalgia che ci spinge oltre» (Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, 1999). Zaccheo ci insegna che la vera ricchezza è lasciarsi incontrare dalla misericordia e accogliere lo sguardo che salva, per ritrovare quella pace che nessun tesoro terreno può offrire.
2. Il desiderio che nasce: la grazia preveniente
Zaccheo "cercava di vedere chi era Gesù" (Lc 19,3): in questa semplice espressione si racchiude la tensione di ogni cuore umano che si affaccia sul mistero. Il desiderio di Zaccheo non è ancora fede piena, ma è già movimento verso il bene, segno di una inquietudine che supera la mera curiosità. Nel contesto sociale di Gerico, Zaccheo è emarginato, eppure la sua ricerca lo distingue dalla folla: «Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio» (Sal 42,2). La sua motivazione interiore nasce da una fame di senso che neppure la ricchezza può colmare, una nostalgia che, secondo sant'Agostino, «inquieta il cuore finché non riposa in Dio» (Confessioni I,1: "Fecisti nos ad Te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te").
Dietro il desiderio di Zaccheo si cela la grazia preveniente, quella forza misteriosa che precede ogni iniziativa umana. Gesù afferma: «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre» (Gv 6,44), sottolineando che ogni moto verso il bene è già opera dello Spirito. In greco, "ἑλκύσῃ" (helkysē) indica un'attrazione che non forza, ma invita. Karl Barth, nella sua Epistola ai Romani, ribadisce: «La grazia precede sempre il desiderio umano; Dio ci cerca prima che noi lo cerchiamo». Questa dinamica è ben illustrata da Origene: «L'anima che cerca Dio è come Zaccheo: si eleva sopra la folla della mondanità per vedere il Signore» (Commento a Luca, PG 13,1844).
Salire sul sicomoro è più che un semplice atto fisico: è il segno di chi decide di separarsi dal rumore del mondo per elevarsi verso una prospettiva nuova. Origene suggerisce che «chi desidera vedere Gesù deve salire sull'albero della croce e contemplarlo da lì», associando il sicomoro alla croce, luogo di incontro con il mistero salvifico. In ebraico, il termine per sicomoro, "שִׁקְמָה" (shiqmah), richiama un albero robusto e umile, simbolo di chi si innalza non per superbia, ma per sete di verità. Sant'Agostino, a sua volta, vede nell'ascesa di Zaccheo l'immagine dell'anima che si distacca dai beni terreni: «Elevati sopra te stesso, così vedrai Dio» (Sermo 52).
Il desiderio spirituale non è frutto di un mero impulso umano, ma nasce dalla segreta azione dello Spirito. Karl Rahner parla di una "grazia anonima" che lavora nei cuori anche quando la fede non è ancora esplicita. Zaccheo, salendo sul sicomoro, manifesta una disponibilità che è già apertura alla conversione: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,6). La sua ricerca non è ancora conoscenza, ma è già soglia, come scrive Giovanni Paolo II: «Non si vive senza una nostalgia che ci spinge oltre» (Lettera agli artisti, 1999).
Nel testo di Luca, il verbo "ζητεῖν" (zetein, "cercare") indica una ricerca attiva e perseverante. Zaccheo è mosso da un desiderio che lo spinge fuori dalla sua zona di comfort, verso l'ignoto dell'incontro. La letteratura spirituale, da Dante ("Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza", Inf. XXVI, 119) a Teresa d'Avila ("Solo Dio basta"), insiste su questa tensione tra inquietudine e compimento, tra il già e il non ancora della salvezza.
Zaccheo, sospeso sul sicomoro, è immagine dell'uomo che, pur non conoscendo ancora il volto del Salvatore, è già toccato dalla grazia che lo invita all'incontro. Non sa cosa accadrà, ma è sulla soglia: «Ecce sto ad ostium et pulso» ("Ecco, sto alla porta e busso", Ap 3,20). La sua apertura diventa possibilità di trasformazione, perché «la salvezza è dono per chi riconosce il proprio bisogno e si lascia amare». In Zaccheo si compie la promessa: «Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo» (Ez 36,26). Il suo desiderio è già inizio di risurrezione, invito a ogni credente a salire sul proprio sicomoro e lasciarsi sorprendere dallo sguardo che salva.
3. Gesù che alza lo sguardo: la misericordia che prende l'iniziativa
Gesù, passando, alza lo sguardo. È sempre Lui il primo a vedere, il primo ad amare, il primo a chiamare: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (οὐχ ὑμεῖς με ἐξελέξασθε, ἀλλ' ἐγὼ ἐξελεξάμην ὑμᾶς, Gv 15,16). Nel gesto di Cristo che incrocia lo sguardo di Zaccheo si compie la profezia di Isaia: «Io sono stato trovato da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato a quelli che non chiedevano di me» (Is 65,1). Il suo sguardo non giudica, ma solleva: secondo san Gregorio di Nissa, «Dio vede non ciò che appare, ma ciò che è nascosto nel cuore» (In Canticum Canticorum, PG 44,940).
«Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5): il verbo "devo" (δεῖ in greco) indica la necessità salvifica, la volontà divina che si realizza nella storia. Origene sottolinea che «Cristo entra nella casa di chi desidera vederlo, perché la grazia non forza, ma invita» (Commento a Luca, PG 13,1844). In questa chiamata, risuona il desiderio di Dio di dimorare presso ogni uomo: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ἰδοὺ ἕστηκα ἐπὶ τὴν θύραν καὶ κρούω, Ap 3,20).
Quel "devo" è il verbo della salvezza: è la volontà del Padre che nessuno si perda (cf. Gv 6,39), come afferma sant'Ambrogio: «Cristo non si stanca di cercare chi è perduto, e gioisce più per il ritrovamento di uno solo che per la perseveranza di molti» (Expositio Evangelii secundum Lucam, VII, 234).
San Leone Magno scrive: «Il Signore non disprezza chi è caduto, ma lo chiama perché rialzi lo sguardo alla dignità perduta» (Sermo 50, 5). In questa luce, la chiamata di Zaccheo assume il valore di una risurrezione interiore: «Alzati, risplendi, perché viene la tua luce» (קוּמִי אוֹרִי, Is 60,1). Sant'Agostino interpreta l'incontro come invito a uscire dalla propria bassezza: «Non rimanere in basso, sali con il cuore, cerca le cose di lassù» (Sermo 256, 3).
Cristo non teme la mormorazione della folla, perché la misericordia non si lascia condizionare dal giudizio degli uomini: «Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (οὐκ ἦλθον καλέσαι δικαίους ἀλλὰ ἁμαρτωλούς, Lc 5,32). Come ricorda Dietrich Bonhoeffer: «La grazia è costosa perché ci chiama a seguire, ma è anche grazia perché ci chiama a seguire Gesù Cristo» (Sequela, 1937).
Come dirà Paolo: «Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori» (1Tm 1,15). E san Giovanni Crisostomo aggiunge: «Non c'è ferita che la misericordia di Dio non possa guarire» (Homiliae in Matthaeum, 76,5).
Ogni volta che ci sentiamo osservati con sguardo di condanna, ricordiamo che Gesù ci guarda con compassione: «Misericordia io voglio, e non sacrificio» (Ἔλεος θέλω καὶ οὐ θυσίαν, Mt 9,13). Come scrive Dante Alighieri, «In la sua volontade è nostra pace» (Paradiso, III, 85): solo nello sguardo di Cristo l'uomo ritrova la vera dignità e la possibilità di rinascere.
4. L'incontro che trasforma: dall'avere al condividere
Zaccheo scende "in fretta" (σπεύσας κατέβη, Lc 19,6) e accoglie Gesù "pieno di gioia". In questo gesto si riflette la dinamica dell'incontro tra Dio e l'uomo: la fretta di Zaccheo non è ansia, ma slancio di chi percepisce la grazia che bussa alla porta. Come scrive Origene, «quando il Verbo passa, bisogna affrettarsi a riceverlo, perché la sua visita è sempre tempo di salvezza» (PG 13,1844). L'accoglienza del Signore genera la conversione del cuore, una "metanoia" (μετάνοια) che trasforma radicalmente la vita, come insegna il Salmo: «Oggi, se udite la sua voce, non indurite il vostro cuore» (הַיּוֹם אִם־בְּקֹלוֹ תִשְׁמָעוּ, Sal 95,7-8).
«Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (Lc 19,8). Zaccheo non si limita a parole, ma la sua fede si traduce in opere concrete. Sull'importanza della concretezza, Giacomo ammonisce: «La fede, se non ha le opere, è morta» (ἡ πίστις χωρὶς τῶν ἔργων νεκρά ἐστιν, Gc 2,17). Gregorio Nazianzeno sottolinea: «Non basta confessare con le labbra; bisogna mostrare con i fatti» (Oratio 40, 37). La conversione di Zaccheo è segno che la grazia, quando accolta, si rende visibile nella giustizia: «Imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l'oppresso» (לִמְדוּ הֵיטֵב דִּרְשׁוּ מִשְׁפָּט, Is 1,17).
La grazia diventa giustizia, la giustizia si fa carità. Sant'Ambrogio afferma: «La carità non cerca il proprio interesse, ma il bene dell'altro» (De officiis, I, 28, 134). Zaccheo, scaldato dal perdono, non può più trattenere nulla per sé: il possesso cede il passo al dono. San Giovanni Crisostomo ammonisce: «Non c'è nulla di più freddo di un cristiano che non si prenda cura della salvezza altrui» (PG 61, 463). E Tommaso d'Aquino ribadisce: «La misericordia è la più grande delle virtù, perché ci rende simili a Dio» (Summa Theologiae, II-II, q.30, a.4). In questa prospettiva, la carità non è semplice filantropia, ma partecipazione al mistero dell'amore divino che si dona senza misura, come il buon samaritano che «ebbe compassione» (ἐσπλαγχνίσθη, Lc 10,33).
Il possesso lascia spazio al dono: l'amore ricevuto si fa condivisione. «L'amore di Cristo ci spinge» (ἡ ἀγάπη τοῦ Χριστοῦ συνέχει ἡμᾶς, 2Cor 5,14), e questa "spinta" è la dinamica dell'esodo interiore che trasforma il cuore. Come afferma Dietrich Bonhoeffer: «La grazia ci chiama a uscire da noi stessi e a vivere per gli altri» (Sequela, 1937). Il gesto di Zaccheo ricorda il precetto mosaico: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (וְאָהַבְתָּ לְרֵעֲךָ כָּמוֹךָ, Lv 19,18). Così, la conversione di Zaccheo diventa paradigma di ogni incontro autentico con Cristo: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (μακάριοι οἱ καθαροὶ τῇ καρδίᾳ, Mt 5,8). Il cuore aperto alla grazia si fa canale di giustizia e carità, segno visibile della presenza del Regno.
5. "Oggi la salvezza è entrata in questa casa"
Gesù proclama solennemente: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo» (Lc 19,9). Questo "oggi" risuona come un kairos, un tempo favorevole in cui la grazia di Dio irrompe nella storia personale e collettiva. Il Vangelo di Luca sottolinea la forza trasformatrice dell'"oggi": è l'oggi di Betlemme («oggi vi è nato un Salvatore, che è Cristo Signore», Lc 2,11), l'oggi di Nazaret («oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato», Lc 4,21), e l'oggi della croce, quando Gesù promette al ladrone pentito: «In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43). Sant'Ambrogio osserva: «La misericordia di Dio non conosce ritardi, ma si effonde nell'istante in cui il cuore si apre» (Commento al Vangelo di Luca, VII, 232).
Ogni "oggi" in cui l'uomo si lascia toccare da Dio si trasforma in tempo di grazia, in una nuova nascita interiore. San Paolo ricorda: «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza» (2Cor 6,2). In questa luce, Papa Francesco sottolinea con forza: «Gesù non si stanca di perdonare; siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono» (Evangelii Gaudium, 3). La salvezza non è mai un evento astratto, ma una realtà concreta che rigenera la persona e la sua casa, le sue relazioni, la sua storia.
Zaccheo viene reintegrato nel popolo dell'Alleanza — «anch'egli è figlio di Abramo» — a conferma che la salvezza è sempre comunione, mai isolamento. Come scrive Origene: «Nessuno si salva da solo; chi si salva, si salva nella Chiesa» (Omelie su Luca, 13,3). La conversione personale si riflette inevitabilmente sulla comunità: «Quando un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; quando un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1Cor 12,26).
Quando un cuore si converte, anche la sua "casa" — le relazioni, la memoria, la storia personale — viene rinnovata. Come afferma Jean Vanier: «La vera conversione non è soltanto cambiare se stessi, ma permettere a Dio di trasformare la nostra casa in luogo di accoglienza e comunione». E come ricorda il poeta Mario Luzi: «La casa è là dove si accende la speranza e si fa spazio all'altro». Così, l'"oggi" della salvezza si espande dalla persona all'ambiente che la circonda, irradiando la luce di Cristo su tutto ciò che tocca.
6. Un appello per noi: lasciare entrare Gesù
Zaccheo non è un personaggio lontano: è ciascuno di noi. Come ricorda sant'Agostino, «in ogni uomo c'è un Zaccheo che desidera vedere Gesù» (In Ioannis Evangelium Tractatus, 51, 13). Anche noi, spesso, ci arrampichiamo sugli alberi della nostra autosufficienza, illudendoci di poter osservare il mistero da lontano, senza lasciarci toccare. In realtà, cerchiamo di vedere Gesù senza permettergli di vedere e guarire le nostre ferite più profonde. Ma Egli passa ancora oggi, sotto i nostri "sicomori interiori", e continua a ripetere: «Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (σήμερον γὰρ ἐν τῷ οἴκῳ σου δεῖ με μεῖναι, Lc 19,5). Questa chiamata personale echeggia l'invito del Cantico dei Cantici: «Alzati, amica mia, bella mia, e vieni!» (קוּמִי לָךְ רַעְיָתִי, יָפָתִי וּלְכִי-לָךְ, Ct 2,13), segno che Dio desidera entrare nella nostra intimità più vera.
Aprirgli la porta significa lasciarci amare proprio nel luogo della nostra vulnerabilità, come afferma san Paolo: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (ὅταν γὰρ ἀσθενῶ, τότε δυνατός εἰμι, 2Cor 12,10). Permettere a Cristo di entrare è lasciarsi salvare proprio dove pensiamo di non essere degni. Origene sottolinea: «Il Signore entra solo là dove trova una porta aperta» (Omelie su Luca, 13,3), e la sua misericordia non si scandalizza della nostra miseria, ma la trasforma in grazia. Così scrive Efrem il Siro: «La tua miseria è il trono della sua misericordia» (Inni sulla Penitenza, 5,3).
L'incontro con Cristo restituisce dignità (δόξα), rimette in cammino — come il figlio prodigo che «si alzò e tornò da suo padre» (Lc 15,20) — e riaccende il desiderio del bene. Come scrive Papa Benedetto XVI, «l'uomo non può vivere senza speranza: la sua vita, senza la speranza, sarebbe insopportabile» (Spe Salvi, 2). In definitiva, Zaccheo ci insegna che ogni ricerca autentica di senso trova compimento solo nell'accoglienza dell'Amore che passa e chiama per nome. «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (οὐχ ὑμεῖς με ἐξελέξασθε, ἀλλ' ἐγὼ ἐξελεξάμην ὑμᾶς, Gv 15,16). Ecco, allora, che la vera conversione non è solo un cambiamento morale, ma un lasciarsi sorprendere dalla Grazia che salva e trasfigura, rendendo la nostra casa — e il nostro cuore — un luogo di comunione e luce.
Conclusione
La pericope odierna non si limita a raccontare una semplice storia di conversione personale, ma diventa un paradigma per ogni cammino di fede. In Zaccheo vediamo raffigurata la condizione umana di chi, pur sentendosi lontano o indegno, si lascia sorprendere dall'iniziativa di Dio che cerca, chiama per nome e trasforma dall'interno. La misericordia non è una teoria astratta, ma una forza vitale che irrompe nella quotidianità, spezza le catene dell'isolamento e restituisce la persona a se stessa e alla comunità.
Permettere a Cristo di "fermarsi nella nostra casa" non significa solo un gesto di ospitalità spirituale, ma accogliere una Presenza che rinnova radicalmente. La "casa" diventa così simbolo della nostra interiorità, delle nostre relazioni, della storia personale segnata da ferite e desideri. È lì che la salvezza si fa esperienza concreta: non una fuga dal reale, ma la sua trasfigurazione alla luce dell'amore gratuito di Dio. Come sottolinea il contesto, ogni "oggi" in cui ci lasciamo toccare dalla grazia si trasforma in un nuovo inizio, un kairos in cui la vita riprende slancio e speranza.
La vera novità del messaggio cristiano è che non dobbiamo "salire troppo in alto" per incontrare il Signore: Egli stesso si abbassa, ci viene incontro nella nostra povertà, chiede solo di essere accolto senza maschere né difese. È sufficiente lasciarsi trovare, permettere alla misericordia di posarsi sulle nostre fragilità, perché sia la sua luce a rinnovare la nostra esistenza. In questo senso, la storia di Zaccheo diventa invito a scendere dall'albero delle nostre sicurezze, delle nostre illusioni di autosufficienza, per lasciarci incontrare e guarire nella profondità del nostro cuore.
Quando ciò accade, la salvezza non resta un evento isolato o individuale, ma si espande: rinnova la casa, le relazioni, la memoria, la comunità. Il "miracolo" non sta tanto nel cambiamento esteriore, ma nella capacità di accogliere e donare misericordia, di trasformare la vita in luogo di comunione. Solo così anche noi possiamo, con umile gratitudine, ripetere le parole di Zaccheo: "Oggi, nella mia casa, è entrata la salvezza", consapevoli che ogni incontro autentico con Cristo risana, illumina e apre orizzonti di speranza per noi e per chi ci è accanto.
Madre di misericordia,
tu che hai accolto la Parola fatta carne,
insegnaci a non opporre resistenze al potere trasfigurante di Gesù.
Fa' che scendiamo dall'albero delle nostre sicurezze,
perché anche nella nostra casa
oggi venga la salvezza.
don Nicola De Luca
