PROGRAMMA DI SPERANZA

25.01.2025

DOMENICA 26 GENNAIO 2025

III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

DOMENICA DELLA PAROLA


Ciò che avviene oggi a Nazaret, una città piccolissima e oscura, è un ambiente in cui Cristo Gesù ha trascorso quasi l'intera vita, immerso nella quotidianità di una famiglia, nella laboriosità di un lavoro onesto e nella frequentazione della sinagoga. Questo contesto ha qualcosa che esula dai parametri mentali e culturali dell'epoca.

Secondo alcuni studiosi, nel I secolo d.C., il servizio del sabato nella sinagoga comprendeva il canto di un salmo, la recita dello Shema e delle Diciotto Benedizioni, la lettura della Torah e dei profeti, un sermone sul significato delle letture, una benedizione finale del presidente e la benedizione sacerdotale riportata in Nm 6, 24-27: "Il Signore ti benedica e ti custodisca; il Signore faccia risplendere il suo volto su di te e ti sia propizio; il Signore rivolga verso di te il suo volto e ti dia pace." Questo schema si ricollega a quanto descritto nel libro di Neemia, in cui la Sacra Scrittura torna ad essere parte integrante della vita del popolo di Dio dopo l'esilio babilonese. Il sacerdote Esdra porta la legge davanti a tutta l'assemblea, legge e spiega, e poi benedice Israele.

In questo contesto, anche a Gesù "quel sabato" toccò la lettura di un libro profetico e un sermone. Il Vangelo di Luca riporta che fu consegnato il rotolo del profeta Isaia, in cui era descritta una promessa messianica. Tutto sembra seguire la tradizione ebraica, finché Gesù si siede e gli astanti rivolgono gli occhi su di Lui. Ci si aspettava, infatti, un commento alla Parola di Dio che era stata letta, proclamata e ascoltata.

A questo punto avviene l'inaspettato e l'imprevedibile. Con una semplice frase, mossa dallo Spirito Santo per bocca di Cristo, viene data la retta interpretazione di quelle parole: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato" (Lc 4, 21). Il sermone non è più necessario, poiché ciò che il profeta ha annunciato si compie e si realizza nella Persona di Cristo. Gesù è il perfetto compimento delle attese messianiche; ciò che Isaia vedeva da lontano si traduce ora in realtà. Come scrive san Giovanni Crisostomo, "La profezia è una promessa; e il compimento è l'adempimento di quella promessa".

Molti affermano che questo passo evangelico rappresenti il discorso programmatico di Gesù, e in effetti lo è. Da ora in poi, tutte le sue parole, gesti, azioni e eventi non saranno altro che la declinazione di quella Scrittura. È un "programma" intriso di speranza teologale, privo di contorni ideologici, economici o politici. Il Messia di Dio, o il Servo di יַהְוֶה‎ (Yahvè), sarà Colui sul quale si posò lo Spirito Santo, consacrandolo con unzione regale, profetica e sacerdotale. Come afferma il teologo Karl Barth, "Dio si è rivelato in Gesù Cristo, e questa rivelazione è definitiva e compiuta." Mentre oggi assistiamo a proclami o programmi ideologici che puntano sull'idolatria del potere, della mondanità, dell'economia a scapito delle fasce fragili e deboli, l'inviato di Dio è dunque colui che inaugura il più grande Giubileo della storia dell'umanità: passato, presente e futuro con estrema semplicità, potenza di Spirito Santo per la guarigione e liberazione di tutti poveri della terra. Questo evento non segna solo una nuova era, ma un nuovo modo di relazionarsi con Dio e con il prossimo, come suggerisce la lettera agli Ebrei: "Quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna" (Gal 4, 4).

Egli è inoltre il datore della vera gioia, quella che solo il Padre celeste può donare, portando ai poveri il lieto annuncio, liberazione ai prigionieri, guarigione della cecità e libertà agli oppressi della terra, proclamando così l'anno di grazia del Signore (Is 61, 1-2). Sarà la sua Parola autorevole, accompagnata da gesti e segni di compassione e misericordia, a realizzare tutto ciò. La Parola del Padre suo creerà nei cuori che lo accolgono autentici giubilei di speranza. Come ci ricorda san Paolo, "la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori" (Rm 5, 5).

O Maria,

tu per prima inneggiasti al Signore tuo Dio con un inno di lode e benedizione, magnificando le sue meraviglie compiute nella storia a favore dei più deboli e dei poveri. "L'anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore" (Lc 1, 46-47). Guarda anche noi con occhi di predilezione, perché quel povero di cui parla Isaia nel rotolo della Scrittura, al quale tuo Figlio porta il vangelo di salvezza, sono io. Il prigioniero che Egli viene a liberare sono io. Io sono il cieco che necessita di guarigione e luce, e l'oppresso che non attende altro che la liberazione dalle antiche catene.

In questo senso, possiamo riflettere sul riconoscimento di ciascun individuo nel piano di Dio, come afferma il teologo Dietrich Bonhoeffer: "La vera gioia nasce quando ci rendiamo conto di far parte della grande storia della salvezza." Ogni uomo, nella propria fragilità e necessità, trova la sua dimora nell'amore e nella grazia di Dio.


don Nicola De Luca