NATALE: UNA SPERANZA CHE DISARMA IL CUORE E HA IL VOLTO DI UN BAMBINO

24.12.2025

Giovedì dicembre 2025

NATALE DEL SIGNORE (MESSA NELLA NOTTE) – SOLENNITÀ

Oggi è nato per voi il Salvatore. Lc 2,1-14


Introduzione

Il Natale rischia, anno dopo anno, di ridursi a una semplice cornice: una scenografia che si ripete, un copione già visto, un'emozione che dura il tempo di una stagione, una parentesi rassicurante in mezzo alle fatiche della vita quotidiana. Il Natale, ci è stato rubato! Ma il vero significato del Natale va ben oltre la superficie delle abitudini e delle tradizioni tramandate: la Parola di Dio ci invita a spogliarci di ogni orpello per tornare all'essenziale, a ciò che davvero conta. Dio stesso sceglie di entrare nella nostra storia concreta, di farsi vicino all'umanità assumendo i suoi limiti e le sue fragilità. Non si manifesta in modo spettacolare o travolgente, ma entra nel tempo, in una notte precisa, in un luogo apparentemente insignificante, sotto il dominio di un imperatore potente e durante un semplice censimento. La sua venuta non è segnata dalla forza, dal clamore o dall'imponenza, ma dalla piccolezza e dall'umiltà di chi sceglie di farsi ultimo tra gli ultimi. Il profeta Isaia annuncia una luce capace di squarciare anche le oscurità più fitte: una speranza che rischiara la notte del mondo e del cuore umano. San Paolo ci parla di una grazia che non solo salva, ma educa e trasforma la nostra vita, rendendoci capaci di vivere con giustizia, sobrietà e pietà. L'evangelista Luca, poi, ci restituisce la concretezza assoluta di quell'evento: un bambino fragile, avvolto in fasce, deposto in una mangiatoia; pastori semplici, primi testimoni dell'imprevedibile; un canto di angeli che squarcia il silenzio notturno proclamando gloria a Dio nei cieli e pace sulla terra agli uomini che Egli ama. In questa notte santa, così colma di mistero e di tenerezza, si manifesta una verità decisiva e insieme sconvolgente: il Natale è davvero la festa della dignità ritrovata. È il giorno in cui Dio restituisce valore a chi si sentiva escluso, rialza chi era caduto, riconsegna speranza a chi l'aveva smarrita. Non è una favola, né una parentesi, ma la certezza che la storia dell'uomo è abitata da Dio, e che ogni esistenza può rinascere dalla sua piccolezza.

1. Il Natale restituisce la dignità all'uomo

Il Natale è la festa della dignità ritrovata. Dio, in Cristo Gesù, con somma umiltà e infinita tenerezza, ce la restituisce in toto. Anzi, fa di più: ci rende simili al Figlio suo. Ci rialza là dove eravamo piegati, ci restituisce valore là dove ci sentivamo scartati, ci riconsegna a noi stessi. Nel Bambino di Betlemme l'uomo riscopre la verità più profonda della propria identità: non è un errore della storia, né un ingranaggio anonimo del mondo, ma un figlio. Come afferma l'Apostolo, «a quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). La nascita del Figlio eterno nella carne restituisce all'uomo la coscienza di essere voluto, amato, chiamato per nome. Il mistero del Natale ci dice che la dignità umana non è un traguardo da conquistare né un privilegio da difendere, ma un dono da accogliere. Essa non dipende dalla prestazione, dall'efficienza o dal consenso, ma dall'iniziativa gratuita di Dio che si china sull'uomo. Il Verbo eterno assume la nostra condizione fragile: sarx (σάρξ – sárx), carne reale, esposta, vulnerabile. In questa carne abitata da Dio, ogni carne ferita viene riscattata. Come insegna la grande tradizione della Chiesa, l'abbassamento di Dio non umilia l'uomo, ma lo innalza; non lo annulla, ma lo ricrea dall'interno.

Per questo il Natale non è neutro né innocuo. È una rivelazione che giudica la storia e smaschera le false grandezze. Se Dio restituisce dignità all'uomo, anche noi siamo chiamati a fare altrettanto. A restituirla a chi l'abbiamo impunemente strappata, tolta, estorta, tradita e venduta per un pugno di lenticchie. A chi abbiamo ferito con parole affrettate, giudizi taglienti, silenzi colpevoli, indifferenza che pesa più di uno schiaffo. Il Natale diventa allora criterio di verità per le nostre relazioni: misura la distanza tra ciò che celebriamo e ciò che viviamo. Restituire dignità significa riconoscere nell'altro non un ostacolo o un rivale, ma un fratello; non un numero o una funzione, ma un volto. Significa lasciarsi educare dallo stile stesso di Dio, che non schiaccia ma solleva, non espone ma custodisce, non scarta ma salva. È la logica della misericordia che nasce dalla mangiatoia e attraversa tutta la vita di Cristo. Ci sono persone che non attendono altro: uno sguardo che non giudica, una parola che rialza, un gesto che restituisce valore e futuro. Questo è il vero Natale.

Approfondendo ulteriormente, possiamo dire che il Natale ci invita a riscoprire il valore inestimabile della persona umana in ogni sua condizione. La dignità che Dio ci restituisce non è mai condizionata dagli errori, dalle cadute o dai limiti personali: è una dignità originaria, iscritta nel cuore di ciascuno perché ogni uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio. Questo significa che nessuno è escluso dalla possibilità di risorgere, nessuno è così lontano da essere dimenticato. La mangiatoia di Betlemme, luogo di povertà e semplicità, diventa il trono su cui la dignità umana viene innalzata. In quella fragilità, Dio ci insegna che il valore autentico non si trova nell'apparenza, nel successo o nel potere, ma nella capacità di amare, di accogliere, di perdonare. Il Natale ci chiede di guardare oltre le maschere, di andare incontro a chi è scartato dalla società, di difendere la vita là dove è minacciata e di essere voce per chi non ha voce. In un mondo spesso segnato dalla cultura dello scarto, dove la persona viene valutata solo in base a ciò che produce o possiede, il Natale ci richiama a un cambio di prospettiva: nessuno è inutile, nessuno è superfluo. La dignità non si compra e non si vende, ma si riconosce e si custodisce con rispetto e compassione.

Riscoprire la dignità che Dio ci dona significa anche riscoprire la nostra responsabilità verso gli altri. Non basta sentirsi amati e salvati: il vero Natale ci spinge a essere costruttori di fraternità, a impegnarci perché ogni persona possa sentire sulla propria carne la carezza di Dio attraverso i nostri gesti concreti di solidarietà, accoglienza e giustizia.Così, la festa della dignità ritrovata diventa chiamata a una vita nuova, capace di riconoscere nei volti che incontriamo — soprattutto nei più fragili, nei poveri, nei sofferenti — la presenza stessa di Cristo. Solo così il Natale non sarà un rito vuoto, ma un evento che trasforma il cuore e la storia.

2. Il Natale cristiano e il Natale idolatra

Esiste un Natale cristiano ed esiste un Natale idolatra, ateo e pagano. Il primo nasce dall'adorazione del Dio vivente che si rivela nella tenerezza disarmata di un bambino e nella carne ferita dei poveri. Il secondo, invece, adora un dio falso, costruito a misura dell'uomo, sotto le mentite spoglie del denaro, del piacere, del consumo e del folklore, spesso mascherato da religiosità. È l'idolo che promette molto e non salva nulla. La Scrittura è netta: «Hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono» (Sal 115,5). Gli idoli intrattengono, ma non ascoltano; seducono, ma non redimono. Il Natale cristiano conduce all'adorazione e alla conversione; quello idolatra distrae, anestetizza le coscienze, ma non salva. Celebrare il Natale non significa recitare una farsa annuale con le medesime modalità, ma lasciarsi trasformare dal Dio-bambino che viene tra noi. È la differenza tra assistere a un rito e lasciarsi coinvolgere da un evento. I pastori non restano spettatori: «andarono, senza indugio» (Lc 2,16). L'incontro con Cristo genera sempre movimento, mai immobilismo. A ben vedere, questa distinzione non è solo teorica, ma si riflette concretamente nel modo in cui viviamo e sentiamo il Natale.

Il Natale cristiano si radica nel mistero dell'Incarnazione, un Dio che si fa vicino, che si dona nella fragilità di un bambino per incontrare ogni uomo nella sua realtà quotidiana, soprattutto là dove si fa esperienza di bisogno, sofferenza e marginalità. È un invito a riscoprire la dimensione contemplativa della fede, a fermarsi davanti al presepe per lasciarsi interpellare da quella povertà che non è solo materiale, ma anche spirituale, e che chiede accoglienza, solidarietà e condivisione. La gioia del Natale cristiano nasce proprio dall'incontro con il volto di Cristo nei piccoli, nei poveri, nei dimenticati, nei crocicchi della vita dove spesso la speranza sembra svanire.

Il Natale idolatra, invece, riduce la festa a una dimensione puramente esteriore, fatta di luci, regali, abbondanza, apparenza e superficialità. In questa prospettiva, si rischia di perdere il senso autentico della festa, sostituendo il Mistero con il mito del benessere individuale, della performance sociale, della corsa al consumo. Si tratta di una forma sottile di alienazione, che svuota il Natale del suo contenuto profondo e lo trasforma in un rito senza anima, dove il cuore resta distante, le relazioni si impoveriscono, e la solitudine si fa più acuta proprio nei giorni in cui la fraternità dovrebbe essere celebrata. Per questo, dal cuore della Chiesa sale un'invocazione essenziale e urgente, antica e sempre nuova: Vieni, o Signore. Non tardare e salvaci dagli idoli! È il grido dell'Avvento che attraversa la storia, il Maranathà (μαρὰν ἀθά – maranathà): vieni, Signore Gesù. Perché ogni idolo, anche quando è raffinato e benedetto dall'abitudine, finisce per svuotare l'uomo della sua libertà e della sua speranza.

Non bisogna dimenticare che gli idoli non sono solo quelli materiali o visibili, ma possono essere anche idee, sicurezze, abitudini che ci distolgono dall'essenziale, che ci rendono insensibili al dolore altrui, distratti dal bisogno concreto del prossimo, incapaci di riconoscere la presenza di Dio che si manifesta nelle pieghe ordinarie della vita. L'idolatria del Natale si insinua anche nelle nostre liturgie, quando il gesto non corrisponde al cuore, quando la carità non si traduce in scelta quotidiana. Per questo la Chiesa, ogni anno, ci richiama alla conversione, a un cammino di purificazione del cuore e dello sguardo, affinché il Mistero celebrato ridiventi evento vissuto.

E questo Natale non si esaurisce in una memoria del passato, ma continua oggi nel mistero eucaristico. Amo il vero Natale, quello in cui il mio Salvatore rinasce ancora nell'Eucaristia, scegliendo come culla un altare, deponendosi tra le mani misere e fragili di uomini da Lui scelti, offrendosi ogni giorno come vero cibo di vita eterna. Qui la logica dell'Incarnazione giunge al suo compimento: Dio non solo si fa vicino, ma si fa nutrimento. Come insegnava san Giovanni Crisostomo, colui che fu deposto nella mangiatoia ora si consegna perché l'uomo possa vivere di Lui.

Amo e credo nel Natale eucaristico, dove Betlemme non è soltanto un ricordo da contemplare, ma una presenza che continua. Lì, nel silenzio dell'altare, il Dio bambino continua a nascere per noi, a smascherare gli idoli e a restituire all'uomo la gioia dell'adorazione vera. È questo il cuore della fede: lasciarsi sorprendere ogni giorno dalla novità del Vangelo, riconoscere nella semplicità dei segni la presenza trasformante di Dio che si dona fino alla fine. Così il Natale diventa scuola di vita, chiamata a uscire da sé per donarsi, a vivere con gratitudine e stupore, a guardare il mondo con occhi nuovi, liberi dagli idoli e aperti alla meraviglia della presenza divina che fa nuove tutte le cose.

3. La speranza che nasce dalla piccolezza

Natale è il mistero dell'eternità che si fa limite; la grandezza che si rende umiltà; la potenza che si muta in piccolezza; la ricchezza che si fa povertà. È il modo di agire di Dio, che non salva con la forza ma con l'amore che si abbassa. È la logica della kénōsis (κένωσις), lo svuotamento dell'amore, di cui parla l'Apostolo quando afferma che Cristo «svuotò se stesso» (heautòn ekénōsen – ἑαυτὸν ἐκένωσεν). In questo abbassamento non c'è perdita, ma dono; non umiliazione, ma rivelazione del volto vero di Dio.mIn questa scelta di umiltà si rivela la vera natura di Dio, che non impone la salvezza ma la offre come un dono gratuito, accessibile a tutti. L'apparente debolezza della mangiatoia diventa così il luogo della massima potenza dell'amore, dove la fragilità abbraccia la forza e la povertà diventa ricchezza di relazione e di significato. Mistero dell'immensità che si fa piccolezza, ricchezza che si rende povertà, onnipotenza mutata in debolezza, eternità storicizzata. Mistero insondabile dello splendore dell'umiltà, dell essenzialità e semplicità, che per noi diviene fonte di vera ricchezza.

La kénōsis non è un semplice svuotamento, ma un atto creativo e generativo: Dio si abbassa per innalzare l'umanità, si fa piccolo per rendere grande ogni vita umile. Questo capovolgimento dei criteri mondani ci insegna che la vera grandezza non sta nel dominare, ma nel servire; non nel possedere, ma nel donare; non nell'apparire, ma nell'essere presenza reale e amorevole nel quotidiano.Il vero Natale è la rinascita della speranza nel cuore degli uomini desiderosi di pace, di gioia autentica, di misericordia e di verità. In una parola: di salvezza integrale. Non una speranza fragile o evasiva, ma elpís (ἐλπίς), la speranza che poggia sulla fedeltà di Dio e non sulle illusioni dell'uomo. Essa nasce dal Dio onnipotente e santo che squarcia il velo della storia facendosi carne e assumendo una reale umanità. Il Figlio eterno non assume un'apparenza, ma la nostra sarx (σάρξ), carne vera, vulnerabile, ferita. In questa carne abitata da Dio, ogni carne ferita ritrova futuro.

Questa speranza, profondamente radicata nella fede, non si limita a essere un sentimento passeggero o una consolazione momentanea. Al contrario, essa diventa la forza che sostiene anche nei momenti di prova e di dolore, perché poggia su una presenza reale: Dio che si fa carne e partecipa alle nostre vicende. La speranza cristiana si distingue proprio per la sua concretezza: non ignora le difficoltà e le ombre della storia, ma sa che, proprio lì dove tutto sembra perduto, può germogliare una vita nuova. In questo senso, la speranza del Natale è una luce che non abbaglia ma rischiara, che non cancella le tenebre ma apre cammini di riconciliazione, di perdono e di pace autentica.

Questa speranza rifiorisce dalla fragilità di un bambino che è vero uomo e vero Dio allo stesso tempo. I suoi vagiti inermi diventano una profezia silenziosa: Dio non irrompe, non costringe, non domina. Chiama. È il compimento del nome 'Immānû-'ēl (עִמָּנוּאֵל), Emmanuele, Dio-con-noi: non sopra di noi, non contro di noi, ma dentro la nostra storia. I suoi primi respiri sono come melodie che ci invitano a rimetterci in cammino verso quella luce che splende nelle tenebre e che le tenebre non hanno vinto. Il mistero dell'Incarnazione ci svela un Dio che sceglie di condividere tutto della nostra esistenza – gioie e fatiche, speranze e delusioni – e che proprio attraverso la piccolezza e la semplicità si rende riconoscibile. Si tratta di una presenza discreta, che non si impone ma si lascia trovare da chi è disposto a lasciarsi sorprendere dall'ordinarietà. La voce di Dio, infatti, spesso si fa udire nel silenzio, nei piccoli gesti, nelle relazioni semplici e autentiche. Accogliere la speranza che nasce nella mangiatoia significa allora lasciarsi interrogare dalla vulnerabilità propria e altrui, scoprendo che è proprio lì che Dio desidera abitare e portare la sua luce.

Il bambino nella mangiatoia è il segno dei segni che deve accompagnare la vita di ogni credente. In Lui la speranza prende volto, carne e tempo. Non è un'idea da custodire, ma una presenza da seguire. Di Lui il profeta Isaia annuncia: «Perché un bambino è nato per noi… Sar Shālôm (שַׂר־שָׁלוֹם), Principe della pace». Non una pace fragile o di compromesso, ma shalōm: pienezza di vita, riconciliazione profonda, armonia ritrovata tra Dio e l'uomo. Il segno del bambino nella mangiatoia ci ricorda che la speranza cristiana non è astratta né individualista, ma si declina nella concretezza della vita quotidiana e nella responsabilità verso gli altri. Il Natale, in questa prospettiva, diventa un invito a farsi prossimi, a prendersi cura delle ferite del mondo, a essere artigiani di pace e di riconciliazione. La pienezza di vita annunciata dal Principe della pace non si realizza nei grandi gesti spettacolari, ma nei piccoli atti di bontà, nella capacità di perdonare, nell'impegno quotidiano a costruire relazioni autentiche e solidali. Così, la speranza che nasce dalla piccolezza diventa fermento di un mondo nuovo, capace di accogliere la novità di Dio che viene ancora oggi, in mezzo a noi.

4. Un dono per tutti, dentro la storia

Il Natale segna il cammino della piccolezza evangelica che salva, edifica e costruisce amore dove regna l'odio; pace dove si persegue la corsa agli armamenti e si fa della guerra un'arma mortale per l'umanità, soprattutto a scapito dei più poveri e fragili; misericordia dove vengono idolatrati il denaro, il successo, la smania di potere. È la logica del Regno di Dio che avanza non per conquista, ma per dono; non per imposizione, ma per attrazione. La storia viene giudicata non dalla forza delle armi, ma dalla forza dell'amore che si abbassa. Il bimbo divino-umano non è frutto di intelligenza artificiale né prodotto di tecnica o di calcolo, ma dono del Padre. È concepito nel grembo sempre Vergine della fanciulla di Nazareth e offerto al mondo come pura grazia. Come direbbe san Tommaso d'Aquino, è gratia gratis data (gràtia gràtis dàta): un amore totalmente gratuito, che precede ogni merito e supera ogni logica di scambio. Qui la salvezza non è una conquista dell'uomo, ma un'iniziativa di Dio che si consegna.

Questo dono è per tutti. Gli angeli cantano la gloria di Dio e consegnano la pace all'umanità amata dal Signore: una pace che non nasce da equilibri di potere, ma dal favore divino. Il Verbo eterno pianta la sua tenda in mezzo a noi: eskḗnōsen en hēmîn (ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν), "pose la sua dimora fra noi". Gesù, il Cristo, l''Immānû-'ēl (עִמָּנוּאֵל), Dio-con-noi, entra nella concretezza della storia senza aggirarla né idealizzarla. Tutto questo avviene nel tempo, durante un censimento voluto da Cesare Augusto. Mentre il potere conta, misura e registra, Dio si dona e salva. Mentre l'impero enumera sudditi, Dio chiama figli. È il grande rovesciamento evangelico: la salvezza non nasce nei palazzi, ma in una mangiatoia; non dai decreti del potere, ma dalla fedeltà di Dio.

Per accogliere questo mistero occorre spogliare il cuore dalle sovrastrutture e diventare piccoli come i pastori. Essi non possiedono nulla, ma sono disponibili a tutto. Solo così la grazia — dice san Paolo — potrà educarci (paideúousa – παιδεύουσα) a vivere con sobrietà, giustizia e pietà, nell'attesa della beata speranza. È una speranza che non aliena dalla storia, ma la trasforma dall'interno, perché nasce dall'incontro con un Dio che ha scelto di abitare il nostro tempo.

Conclusione

Il Natale non è una notte di magie o di incantesimi ancestrali, ma una notte salvifica, in cui Dio entra nella notte della storia — segnata da inquietudini profonde, conflitti laceranti, crisi personali e collettive, peccati che feriscono l'uomo e il mondo — per illuminarla con la luce del suo Verbo. È una notte in cui Dio non resta spettatore del dramma umano, ma lo attraversa dall'interno. La luce che nasce a Betlemme non cancella d'un colpo le ombre, ma le abita e le vince con la forza mite dell'amore. Come proclama il Vangelo, «la luce splende nelle tenebre» (phōs en tē skotía phaínei – φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει): una luce che non acceca, ma orienta; non domina, ma guida. Questa luce, che si fa spazio senza clamore, invita ciascuno a riconoscere che Dio sceglie di entrare proprio là dove sembra impossibile sperare, nelle pieghe più oscure delle nostre esistenze. Il Natale, così inteso, non è evasione né illusione: è il coraggio di credere che la notte può essere abitata dalla presenza di Dio, capace di generare un nuovo inizio. La forza mite dell'amore che si manifesta nel Bambino di Betlemme non è debolezza, ma la vera potenza che trasforma i cuori e le situazioni, un amore che non si impone ma si offre, che non conquista ma invita a lasciarsi conquistare.mDavanti al presepe non basta commuoversi: occorre scegliere. Il Natale ci pone davanti a un bivio spirituale ed esistenziale. Scegliere tra un Natale cristiano e uno idolatra. Tra un Natale che trasforma la vita e uno che la intrattiene per qualche ora. Tra un Natale che restituisce dignità all'uomo e uno che, magari inconsapevolmente, la calpesta riducendo tutto a superficie, consumo e apparenza. Il presepe non è un oggetto da ammirare, ma una soglia da attraversare: ci chiede di decidere quale Dio adorare, quale logica seguire, quale umanità costruire. Questa scelta non è mai neutra né scontata. Il presepe ci interpella profondamente: ci invita ad andare al di là della tradizione, a lasciarci coinvolgere nel mistero dell'Incarnazione, a diventare protagonisti di una storia nuova. Il vero Natale non si esaurisce nell'emozione di un momento, ma si radica in un cammino di conversione che sollecita a riconoscere la presenza di Dio nel quotidiano, specialmente nei volti e nelle situazioni più fragili e marginali. Attraversare la soglia del presepe significa assumere uno sguardo nuovo sulla realtà, lasciando che la logica dell'amore gratuito e della piccolezza evangelica ispiri le nostre scelte e le nostre relazioni. Il Natale vero non finisce stanotte: comincia stanotte. Comincia quando, toccati dall'Incarnazione, scegliamo di restituire dignità a chi l'ha perduta. Comincia quando lasciamo cadere gli idoli — antichi e nuovi — che promettono felicità ma generano vuoto e solitudine. Comincia quando accogliamo la piccolezza evangelica non come debolezza, ma come stile di vita capace di salvare, riconciliare e costruire pace. Comincia quando l'Eucaristia diventa la nostra Betlemme quotidiana, il luogo umile e reale in cui Cristo continua a nascere per noi, a donarsi, a educare il nostro cuore.

Questi passaggi segnano un vero itinerario spirituale: il Natale non è mai fine a se stesso, ma principio di una vita nuova che continuamente si rinnova. La scelta di vivere secondo la piccolezza evangelica è una rivoluzione silenziosa che cambia il modo in cui abitiamo il mondo. Restituire dignità, abbattere gli idoli, vivere la concretezza dell'amore sono gesti che ogni giorno costruiscono la pace e la giustizia, e che ci rendono partecipi del mistero dell'Incarnazione. L'Eucaristia, come Betlemme quotidiana, ci richiama all'essenziale: essere capaci di riconoscere Cristo in ogni frammento della nostra giornata, nell'intimità del cuore e nella condivisione fraterna. Natale è questo: il grande movimento di scambio d'amore tra Dio e l'uomo. Dio entra nella nostra povertà per colmarla della sua vita; assume ciò che è nostro per donarci ciò che è suo. È il mistero della comunione che salva, non confondendo, ma trasformando; non annullando, ma elevando. In questo scambio si compie la speranza cristiana: non evasione dalla storia, ma redenzione della storia. Tu diventi me ed io divento Te. In questo scambio d'amore, il Natale diventa l'inizio di un cammino che trasfigura il quotidiano, che rende ciascuno capace di incarnare la speranza e di essere segno vivo della presenza di Dio. "Tu diventi me ed io divento Te" esprime la profondità della comunione che il Natale ci offre: Dio non solo si avvicina, ma si identifica con la nostra umanità, ci invita a lasciarci trasformare dalla sua grazia, a diventare riflesso del suo amore nel mondo. La redenzione della storia passa attraverso la nostra disponibilità ad accogliere e a donare, a lasciarci educare dalla piccolezza, a scegliere ogni giorno di essere costruttori di pace e di fraternità.

Vergine Benedetta,

tu che per prima hai vissuto nella tua carne

il Natale del tuo Figlio e Signore,

prega per noi.

Insegnaci a spalancare le porte della nostra vita

a Lui che viene senza fare rumore,

a Lui che si dona senza imporsi,

a Lui che riaccende la nostra speranza

e illumina la nostra oscurità.

Maria, Madre del Natale vero,

accompagnaci nel cammino della fede

perché Cristo nasca anche oggi nella nostra vita.

Amen.

don Nicola De Luca