LE CHIAVI DELLA SPERANZA

15.02.2025

DOMENICA 16 FEBBRAIO 2025

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Beati i poveri. Guai a voi, ricchi. Lc 6, 17.20-26


La versione lucana delle beatitudini si differenzia da quella del Vangelo di Matteo per forma e contesto. Nel secondo, abbiamo otto beatitudini, mentre nel primo solo quattro, con l'aggiunta di quattro guai. Matteo le colloca su un monte, simbolo dell'incontro privilegiato con Dio, ricordando quando Mosè salì sul monte Oreb o Sinai e vide il roveto ardente non consumarsi, ascoltando la voce di Dio (Es 3, 2-4). Inoltre, il monte rappresenta il luogo in cui Mosè ricevette le tavole della Legge, un'immagine del nuovo Mosè, Cristo Gesù, che non solo riceve, ma dona Egli stesso, in virtù della Sua divinità, la nuova legge della vera felicità. Come afferma san Paolo: "Cristo è il compimento della legge" (Rm10, 4).

L'ambientazione lucana, invece, è un luogo pianeggiante: il luogo della quotidianità, della ferialità, che predilige la predicazione di Gesù. Possiamo dunque definire questo discorso come il "discorso della pianura", in cui viene presentata un'immagine di Gesù caratterizzata da umiltà e solidarietà con l'intera umanità. Egli è sì Maestro e Signore, ma è anche colui che si è fatto servo del Padre per amore nostro, come Egli stesso afferma: "Non sono venuto per essere servito, ma per servire" (Mc 10, 45). Le folle, la gente e i discepoli menzionati dall'evangelista appartengono a un ceto sociale letteralmente povero, scartato ed emarginato. Diremmo oggi il mondo dei fragili e degli estromessi; le "pietre scartate", come suggerisce il Salmo 118, 22: "La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d'angolo".

La parola "beati" in greco antico si dice makároi (μακάριοι): tradotto letteralmente "felici". Sono dunque quattro esortazioni alla felicità autentica, che non ha nulla a che vedere con l'entusiasmo, l'eccitazione o l'ebbrezza del momento, né tanto meno con "il famoso sballo" dopo una dose di cocaina, o con "l'accumulo insensato di danaro". La felicità proposta e promessa da Gesù è la gioia del cuore; armonia di spirito, anima e corpo con Dio, con il creato, e con l'umanità intera, specialmente quella più bistrattata. Come afferma il teologo Dietrich Bonhoeffer, "La vera gioia non è nei beni temporali, ma nella relazione con Dio". È un progetto di vita felice che può e deve essere realizzato già da ora, con la prospettiva del suo pieno compimento nella realtà escatologica. Pronunciando questo discorso sulle pianure di Galilea, Cristo Signore offre ai suoi discepoli il segreto della vera gioia, che reca in sé una promessa di speranza a cui anelano gli anawîm di יַהְוֶה (Jahvé): i poveri di Jahvé, come sottolineato nel Salmo 37, 11: "Ma i miti possederanno la terra e godranno di abbondante pace".

La parola 'anawîm deriva da anah, che significa premere giù, abbassare e, quindi, essere umiliati, afflitti e in condizione misera. Gli 'anawîm sono coloro che sono affondati, premuti in basso, fatti curvi; sono gli abbassati, gli schiacciati, i calpestati, i sottomessi e quelli oppressi da pesi. Sono privati dell'aiuto degli altri, e questa condizione deriva spesso da relazioni che li umiliano. Il termine esprime un rapporto e non solo una condizione di bisogno, indicando una posizione di inferiorità rispetto a qualcun altro. È interessante notare che di solito è contrapposto al termine raša', che significa malvagio, e ad altri vocaboli che designano il dispotico e il prepotente.

Ma è proprio a questi 'anawîm che Gesù si rivolge con un messaggio di speranza e di beatitudine, promettendo loro un regno di giustizia e di pace, dove saranno innalzati e consolati. A tutti costoro, Dio, per mezzo del Suo amato Figlio, promette la beatitudine e dona ai Suoi discepoli una nuova normativa e uno statuto di speranza, su cui basare il proprio essere e agire, in virtù della Sua risurrezione gloriosa e della nostra resurrezione alla fine dei tempi. Come dice Isaia: "Alzate i vostri occhi in alto e guardate: chi ha creato queste cose? Colui che fa uscire il suo esercito e le chiama per nome" (Is 40, 26).

Al tempo stesso, Gesù mette in guardia in modo deciso e forte con i guai a tutti coloro che confidano nella sola ricchezza; chi spadroneggia giocondamente sulla vita altrui; chi non sa o non vuole condividere il proprio pane con i bisognosi; chi ostenta il proprio ego, ergendosi a Dio stesso. Non per nulla il profeta Geremia proclama:

Maledetto l'uomo

che confida nell'uomo,

che pone nella carne

il suo sostegno

e il cui cuore si allontana dal Signore.(Ger 17, 5).

Sostenendo invece:

Benedetto l'uomo

che confida

nel Signore

e il Signore è sua fiducia. (Geremia 17:7).

Vergine Maria, anche tu fosti una povera di Jahvé. Hai creduto alle promesse di Dio e hai visto compiute le attese di Israele nel tuo Figlio fatto carne. Dona anche a noi le chiavi della speranza tramite cui potremo aprire le porte del Regno dei cieli. Come afferma Santa Teresa di Lisieux: "La nostra vita deve essere una vita di fiducia, perché solo nella fiducia possiamo trovare la vera pace."

don Nicola De Luca