LE BEATITUDINI: PROMESSA DI SPERANZA ETERNA

31.10.2025

SABATO 01 NOVEMBRE 2025

TUTTI I SANTI – SOLENNITÀ

Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Mt 5, 1-12


Introduzione

Spesso, nell'immaginario collettivo, la santità viene associata a un percorso difficile e cupo, fatto di privazioni continue, rigidità e sacrifici che sembrano annullare ogni gioia di vivere. Questa visione, però, nasce da una lettura superficiale e distorta del Vangelo. Gesù, nel celebre discorso della montagna, rompe gli schemi tradizionali e offre una prospettiva completamente nuova: la santità non è una meta riservata a pochi eletti, né un peso insostenibile, ma un dono e una promessa di felicità autentica. Il termine greco makároi, utilizzato nei Vangeli, indica una condizione di beatitudine profonda, quasi divina, che non dipende dalle circostanze esterne ma dal vivere in comunione con Dio. Non si tratta di una felicità superficiale o passeggera, ma di una gioia stabile, che prende forma nell'incontro personale con Cristo. Gesù stesso, proclamando beati i poveri, i miti, i puri di cuore, i perseguitati, ribalta la logica mondana che associa la felicità al possesso, al potere o al successo. Al contrario, Egli indica una strada in cui la felicità si scopre nella semplicità, nella misericordia, nella capacità di amare e di donarsi. Come afferma Romano Guardini: «La gioia del cristiano non nasce dall'assenza di dolore, ma dalla presenza di Cristo».

Questa "beatitudine dei paradossi" è il cuore pulsante del messaggio cristiano: chi rinuncia al superfluo trova il necessario, chi si fa piccolo davanti a Dio diventa grande nei suoi occhi, chi soffre viene consolato, chi perdona riceve misericordia. In tal modo, la santità non è un cammino di isolamento o di rinuncia sterile, ma un pellegrinaggio gioioso verso l'eternità, dove ogni lacrima sarà asciugata e ogni desiderio di bene troverà compimento. Gesù non ci chiede di portare pesi insopportabili, ma ci invita a lasciarci trasformare dal suo amore, per diventare a nostra volta segno di speranza e di luce per il mondo. In definitiva, la santità cristiana è la realizzazione piena della vocazione umana alla felicità: è accogliere Dio come fonte di ogni gioia, vivere secondo il Vangelo e scoprire che, anche nelle prove, il cuore può rimanere saldo nella pace e nella speranza. Non è un privilegio per pochi, ma una chiamata rivolta a tutti, perché ognuno possa trovare nella propria vita il riflesso della beatitudine di Dio.

Sant'Agostino lo esprime così: «Non c'è felicità più grande che godere della verità» (De beata vita). Origene, altro grande padre della Chiesa, sottolinea: «Le parole del Signore sono spirito e vita; chi le accoglie con cuore umile trova in esse la felicità che non finisce» (Commento a Matteo). E la verità di cui parla è Cristo stesso, "via, verità e vita" (Gv 14,6). Chi vive in Lui non perde la gioia, ma la ritrova trasfigurata: non fragile come la gioia del mondo, ma solida come la roccia su cui costruire la casa (cf. Mt 7,24). Nella Solennità di Tutti i Santi, la Chiesa ci invita a guardare a coloro che hanno preso sul serio la promessa delle Beatitudini. I santi non sono persone tristi o disincarnate, ma uomini e donne che hanno scoperto che la santità è la pienezza della gioia.

Le Beatitudini: cuore del Vangelo e chiamata alla speranza

Le Beatitudini, al di là di una semplice sequenza di precetti, rappresentano il cuore pulsante del messaggio di Gesù: sono una chiamata radicale a trasformare il modo di pensare, di vivere e di relazionarsi con il mondo. Definirle "carta d'identità del cristiano" significa riconoscere che esse tracciano il profilo di chi sceglie di seguire Cristo, non attraverso gesti clamorosi o imprese straordinarie, ma con la fedeltà alle piccole scelte quotidiane che aprono il cuore alla logica del Vangelo.

Papa Francesco insisteva su questo punto nella Gaudete et Exsultate: vivere le Beatitudini equivale ad accogliere il progetto di Dio sulla nostra vita, lasciandosi plasmare dallo Spirito. Le Beatitudini ci invitano, infatti, a una conversione profonda: essere poveri in spirito non vuol dire solo rinunciare ai beni materiali, ma abbandonare ogni forma di autosufficienza per affidarsi a Dio; piangere con fede è saper vedere il dolore come occasione di compassione e solidarietà; essere miti significa scegliere la via dell'umiltà e non della prevaricazione. Quando Gesù parla di "fame e sete di giustizia", non si limita a chiedere un impegno sociale, ma invita a desiderare Dio stesso come unica fonte che può saziare il cuore umano.

Come ha scritto Dietrich Bonhoeffer: «Le Beatitudini non chiedono l'impossibile, ma rendono possibile l'impossibile, perché sono la forza di Dio che opera nella debolezza dell'uomo» (Discipleship). La misericordia, la purezza, la pace e la fedeltà diventano, così, le coordinate di una vita nuova, capace di resistere alle tentazioni dell'egoismo e di testimoniare una speranza che non delude. Le Beatitudini non sono una fuga dalla realtà, ma il sogno di un mondo riconciliato, dove la libertà nasce dal dono di sé e dalla capacità di servire. Ogni beatitudine è una porta aperta verso una felicità che non si misura con il successo o la visibilità, ma con la profondità dell'amore donato. In questo senso, esse sono davvero il "discorso programmatico" di Gesù: il progetto di un Regno che si costruisce giorno per giorno, nelle scelte concrete di chi preferisce il bene all'indifferenza, la verità all'apparenza.

Come scriveva Italo Calvino: «Prendere la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore» (Lezioni americane).

Vivere le Beatitudini significa accogliere il sogno di Dio e collaborare alla sua realizzazione nella storia, sapendo che, anche se il Regno non è ancora compiuto, ogni gesto vissuto nella logica delle Beatitudini anticipa la gioia e la pace che ci attendono nell'eternità. È per questo che i santi sono "le Beatitudini viventi": hanno incarnato il sogno di Gesù, mostrando che la santità è accessibile a tutti, e che la felicità promessa non è un'illusione, ma una realtà che trasfigura la vita.

  • Le Beatitudini evangeliche: cammino di libertà e di speranza eterna

"Beati i poveri in spirito" (Mt 5,3): Questa beatitudine non esalta la povertà materiale come valore in sé, ma indica la capacità di riconoscere la propria dipendenza da Dio, senza lasciarsi incatenare dal desiderio di possesso o dal mito dell'autosufficienza. Essere poveri in spirito significa vivere con il cuore libero, aperto all'accoglienza e alla condivisione, consapevoli che la vera ricchezza non è ciò che si accumula, ma ciò che si dona. Questa libertà interiore permette di non essere schiavi delle cose, ma di utilizzarle come strumenti di bene. Come annota Dietrich Bonhoeffer: «Solo chi lascia tutto può ricevere tutto» (Sequela).

"Beati quelli che piangono" (Mt 5,4): Qui Gesù non invita a cercare il dolore, ma a viverlo con fede, trasformandolo in occasione di crescita e di apertura agli altri. Chi sa piangere, chi sperimenta la sofferenza senza chiudersi nell'amarezza, diventa capace di vera compassione, cioè di "soffrire con" chi è nel bisogno. In tal modo, il dolore non diventa una condanna, ma una scuola di umanità e di solidarietà, in cui si scopre che Dio è vicino a chi soffre e asciuga le lacrime di chi si affida a Lui. In questo senso, il poeta Mario Luzi suggerisce: «Il dolore è il grande maestro degli uomini. Sotto il suo soffio si sviluppano le anime».

"Beati i miti" (Mt 5,5): La mitezza non è debolezza o rinuncia a difendersi, ma la scelta consapevole della forza dell'amore. Il mite è colui che sa rispondere al male con il bene, che non si lascia travolgere dalla rabbia o dall'odio, ma costruisce relazioni basate sul rispetto e sulla pazienza. Nella logica evangelica, la mitezza è una forza disarmante, capace di sciogliere i conflitti e di generare pace autentica, perché si nutre di fiducia nella giustizia di Dio. Clemente Alessandrino scrive: «La mitezza è il più grande dei poteri, perché conquista senza violenza» (Stromata).

"Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia" (Mt 5,6): Qui non si parla solo di giustizia sociale, ma di un desiderio profondo di Dio e del suo Regno. Avere fame e sete di giustizia significa aspirare a un mondo più giusto, dove ogni persona sia rispettata e amata, ma anche riconoscere che solo Dio può colmare pienamente il cuore umano. Questa beatitudine spinge il credente a impegnarsi concretamente per il bene comune, a non rassegnarsi davanti alle ingiustizie, ma a cercare la volontà di Dio in ogni situazione. Come afferma don Luigi Sturzo: «La giustizia non è un'utopia, ma un dovere verso Dio e verso gli uomini».

"Beati i misericordiosi" (Mt 5,7): La misericordia è il cuore del messaggio evangelico: essere misericordiosi significa lasciarsi toccare dalla fragilità degli altri e rispondere con il perdono, la comprensione, il servizio. È "la logica del cielo portata sulla terra", perché chi esercita misericordia rende visibile il volto di Dio, che è Padre buono e sempre pronto ad accogliere. La misericordia non è debolezza, ma coraggio di amare senza misura. Come insegna Papa Giovanni Paolo II: «La misericordia è la via che unisce Dio e l'uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre» (Dives in misericordia).

"Beati i puri di cuore" (Mt 5,8): La purezza evangelica non consiste nell'estraniarsi dalla realtà, ma nell'avere un cuore trasparente, capace di vedere Dio in tutte le cose. Essere puri di cuore significa avere intenzioni rette, non doppiezza o ipocrisia, ma autenticità e coerenza. Solo chi ha un cuore libero dal male può riconoscere la presenza di Dio nella propria vita e negli altri. Gregorio di Nissa affermava: «Il fine della vita cristiana è vedere Dio, e lo si vede solo con un cuore purificato» (De Beatitudinibus).

"Beati gli operatori di pace" (Mt 5,9): La pace evangelica non è semplice assenza di conflitti, ma impegno attivo nella riconciliazione e nella costruzione di relazioni giuste. Gli operatori di pace sono "artigiani" che sanno tessere legami di fraternità, superando divisioni e inimicizie. Essi portano nel mondo il sogno di Dio, che vuole tutti i suoi figli uniti nella gioia e nell'amore. Come ricorda Primo Mazzolari: «La pace è una fatica da artigiani, non un miracolo da spettatori».

"Beati i perseguitati per la giustizia" (Mt 5,10): Questa beatitudine riconosce che chi sceglie di vivere secondo il Vangelo può incontrare ostilità e rifiuto. La fedeltà a Dio, infatti, spesso comporta il coraggio di andare controcorrente, di testimoniare la verità anche a costo della propria sicurezza o del consenso sociale. Tuttavia, questa "persecuzione" non è fine a sé stessa, ma conduce alla libertà profonda dei figli di Dio, che sanno di avere come ricompensa la comunione eterna con Lui. Come scriveva Dietrich Bonhoeffer: «Solo chi soffre per amore della verità può testimoniare la libertà dei figli di Dio». Infine, come scriveva Dietrich Bonhoeffer, le Beatitudini non sono un ideale irraggiungibile riservato a pochi eletti, ma una realtà concreta per tutti coloro che scelgono di seguire Cristo. Esse rappresentano il ritratto del discepolo, la strada su cui ciascuno può camminare per raggiungere la vera felicità, quella che nasce dall'amore, dalla fiducia e dalla speranza. Le Beatitudini non ci invitano a fuggire dal mondo, ma a trasfigurarlo dall'interno, perché ogni gesto vissuto nella logica del Vangelo diventa anticipo di eternità. Sono speranza incarnata, promessa di una gioia che non si corrompe. Eppure, l'uomo contemporaneo continua a cercare la felicità altrove: nel potere, nel successo, nel consumo, nel culto di sé. È come se avessimo smarrito il centro del bersaglio, colpendo solo cerchi periferici che non saziano.

· I Santi: testimoni della speranza che non delude

I Santi sono autentici testimoni delle Beatitudini, veri e propri "vangeli viventi" che rendono concreta la Parola di Dio nella storia. In loro, la speranza cristiana si fa visibile, assume un volto umano: i Santi non sono eroi irraggiungibili, ma persone che hanno accolto la logica del Vangelo nella quotidianità, trasformando le situazioni ordinarie in occasioni di amore e dono di sé. La loro ricerca della gioia non si è mai fermata alle soddisfazioni immediate o ai piaceri passeggeri, ma si è radicata nella certezza che donarsi agli altri è la via per una felicità piena e duratura. Come diceva Charles Péguy: «La fede che io amo di più, dice Dio, è la speranza» (Il portico del mistero della seconda virtù). Come scriveva Santa Teresa di Lisieux, la "piccola via" dell'amore è accessibile a tutti, perché consiste nel vivere ogni gesto – anche il più semplice – con amore e fiducia in Dio. Il beato Carlo Acutis, con la sua freschezza giovanile, ci ricorda che la vera felicità nasce da uno sguardo rivolto a Dio, capace di superare la tristezza dell'egoismo e dell'autoreferenzialità.

I Santi sono realisti perché colgono il senso profondo della vita: sanno che tutto ciò che è terreno è effimero, mentre soltanto l'eternità, cioè la comunione con Dio, può riempire il cuore umano di senso e di pace. Il loro realismo non è fuga dai problemi, ma capacità di affrontarli con la speranza che viene dall'alto, certi che ogni sofferenza, vissuta in unione con Cristo, può diventare fonte di salvezza e di gioia. Come afferma Enzo Bianchi, teologo contemporaneo: «La santità non è una perfezione morale, ma la capacità di lasciarsi amare da Dio e di amare senza misura».

San Giovanni Paolo II sottolineava che le Beatitudini sono "la strada maestra della santità", perché in esse si riflette il volto stesso di Gesù: povero in spirito, mite, puro, misericordioso, crocifisso e risorto. Seguire le Beatitudini significa lasciarsi plasmare dallo Spirito Santo, imparare a vedere il mondo con gli occhi di Dio e a rispondere al male con il bene. I Santi ci mostrano che questa strada, pur attraversata da fatiche e prove, conduce a una gioia che non delude, a una comunione che supera ogni solitudine e ogni dolore.

Le Beatitudini, quindi, sono il ponte tra terra e cielo: ci insegnano che la felicità autentica non coincide con l'assenza di difficoltà, ma con la presenza di Dio nella nostra vita. La santità non è privilegio di pochi, ma chiamata universale; non è evasione dalla realtà, ma capacità di trasfigurarla dall'interno. I Santi, con la loro testimonianza, ci invitano a credere che ogni gesto vissuto nella logica del Vangelo anticipa già ora quella comunione eterna che sarà pienamente realizzata nel Regno dei Cieli.

· La Vergine Maria, icona della gioia che non muore

La Vergine Maria rappresenta il vertice e il modello di tutte le Beatitudini evangeliche: è la "prima dei beati" perché ha vissuto pienamente ogni parola di Gesù, lasciando che il Vangelo plasmasse ogni fibra della sua esistenza. Nel suo "Magnificat" risuona il canto di una gioia che non si spegne, ma si rinnova continuamente nell'incontro con Dio: "L'anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore" (Lc 1,46-47). Maria non è solo testimone della speranza, ma ne è la Madre, colei che custodisce la promessa di Dio anche nei momenti oscuri, quando la fede è chiamata a resistere oltre ogni apparenza. Gregorio di Nissa così la descrive: «Maria è divenuta cielo, perché ha portato in sé il Dio del cielo» (Omelia sulla Natività).

La sua povertà in spirito si manifesta nel "fiat" pronunciato senza riserve: Maria accoglie la volontà di Dio con umiltà, senza pretese o calcoli, affidandosi completamente al mistero che le viene incontro. La sua mitezza è la forza silenziosa con cui affronta le prove e le incomprensioni, senza mai lasciarsi vincere dall'amarezza o dalla ribellione. La purezza di cuore traspare nell'autenticità dei suoi gesti e nella trasparenza del suo amore, libero da ogni doppiezza. Come madre di misericordia, Maria si fa vicina a chi soffre, pronta a intercedere e consolare, mostrando un cuore capace di accogliere le fragilità di ogni figlio. E come Regina della pace, è mediatrice di riconciliazione tra Dio e l'umanità, portando nel mondo la serenità che nasce dall'abbandono fiducioso nelle mani del Signore.

In Maria, la speranza cristiana diventa realtà: la sua vita è la prova che la felicità promessa da Cristo non è un'illusione, ma una gioia che attraversa la storia e supera ogni dolore. Lei è l'icona di una gioia che non muore, perché radicata in Dio stesso, fonte inesauribile di vita e di amore. Guardando a lei, comprendiamo che le Beatitudini non sono soltanto una meta lontana, ma una strada percorribile, una chiamata a lasciarci trasformare giorno per giorno dalla logica del Vangelo. Maria ci invita a credere che la santità è accessibile a tutti, che la vera felicità nasce dalla fiducia, dall'amore gratuito, dalla disponibilità a servire.

In definitiva, la Vergine è il segno che il sogno di Dio sulla nostra vita può compiersi: il suo sì ha aperto la porta alla salvezza, il suo cammino ha anticipato la beatitudine eterna che ci attende. Per questo, nella tradizione cristiana, Maria è chiamata "Stella del mattino" e "Madre della Speranza": ci indica la direzione, ci sostiene nel cammino, ci insegna a vivere la gioia che non muore. Così, affidandoci a lei, possiamo imparare a vivere le Beatitudini come vera "grammatica della felicità", certi che ogni gesto vissuto nell'amore è già anticipo di quella luce che non tramonta.

Conclusione

Celebrare la solennità di Tutti i Santi significa alzare lo sguardo oltre i confini della terra e contemplare l'orizzonte dell'eternità. È una festa che non ci estranea dal mondo, ma ce lo fa leggere nella luce del Regno, là dove ogni lacrima sarà asciugata e ogni anelito di bene troverà compimento. Le Beatitudini ci ricordano che la santità non è un ideale astratto né un privilegio per pochi, ma una via concreta e quotidiana aperta a tutti coloro che si lasciano guidare dallo Spirito. Essa nasce dall'incontro con Cristo, cresce nella fedeltà all'amore e si compie nella speranza che non delude. I Santi, che oggi contempliamo nella gloria, non sono creature perfette o distanti, ma fratelli e sorelle che hanno creduto all'amore di Dio anche nelle notti della prova. La loro vita, spesso segnata dalla fragilità, è divenuta trasparenza della grazia. Hanno preso sul serio il Vangelo e lo hanno incarnato nei gesti semplici della carità, nella pazienza del quotidiano, nella fiducia perseverante che sa attendere il compimento delle promesse divine. Guardandoli, comprendiamo che la santità non toglie nulla all'umanità, ma la porta alla sua pienezza. Per dirla con David Maria Turoldo: «La santità non è separazione dal mondo, ma il suo compimento nell'amore».

Vergine Maria, Madre tutta santa, Regina di tutti i Santi,

Tu che hai ricevuto dall'Angelo Gabriele il saluto della gioia,

Tu che hai profetizzato nello Spirito che ogni generazione ti avrebbe detta beata,

insegnaci a credere che solo percorrendo la via delle Beatitudini

si trova la felicità che non finisce.

Convinci anche noi che la santità non è tristezza ma splendore,

non fuga ma compimento,

non sacrificio sterile ma libertà dell'amore.

Fa' che la nostra vita diventi canto di speranza,

anticipo di quella beatitudine eterna

che già brilla nei volti luminosi dei Santi.

don Nicola De Luca