LA SPERANZA OLTRE L’ABISSO DELL’INDIFFERENZA

27.09.2025

DOMENICA 28 SETTEMBRE 2025

XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Lc 16, 19-31

Introduzione: ricchezza e idolatria

Attualmente, ci troviamo perfettamente allineati al messaggio centrale della precedente liturgia domenicale. Il suo epilogo, «non si può servire Dio e la ricchezza» (Mt 6, 24), introduce ora una nuova parabola che contrappone alla povertà assoluta una ricerca intensa e idolatrica della ricchezza fine a se stessa, con conseguente indifferenza e cecità verso i bisogni degli altri. Si tratta di una parabola che approfondisce ulteriormente il tema dell'uso prudente o avido della ricchezza, arricchendolo con ulteriori elementi di rilievo. Secondo la maggior parte degli esegeti, questo racconto rappresenta un exemplum. Quale modello di vita assumere? Quello delle beatitudini evangeliche, come afferma Mt 5, 3-12, o quello dell'innamoramento di Mammona, sacrificando tutto, anche l'eternità, per essa?

In questa narrazione evangelica, emerge con forza la descrizione dei due protagonisti: da un lato, colui che non possiede nulla e vive nella privazione più totale; dall'altro, chi accumula beni materiali con ostinazione, ignorando deliberatamente la sofferenza altrui. L'intreccio tra questi due estremi offre un terreno fecondo per riflettere sull'impatto sociale delle scelte personali riguardanti il denaro, mostrando come l'attaccamento ai beni possa condurre a uno stato di isolamento morale ed esistenziale. «La vita di un uomo non dipende dalla quantità dei beni che egli possiede» (Lc 12, 15).

La parabola invita così ciascuno ad interrogarsi sul vero significato del possesso e della solidarietà, sottolineando l'urgenza di una conversione interiore che ponga al centro la giustizia e la compassione. Sant'Agostino ci ricorda che «non si devono possedere i beni materiali come se fossero la nostra vita, ma utilizzarli come strumenti per vivere bene» (De div. qu. 83).

Inoltre, attraverso l'alternanza di ruoli tra ricco e povero, viene evidenziata la precarietà delle condizioni umane e la necessità di custodire uno sguardo attento verso chi è nel bisogno, ricordando che la ricchezza, se non orientata al bene comune, rischia di diventare un ostacolo al pieno compimento della propria umanità. Come afferma San Giovanni Crisostomo, «non è per quanto hai che sarai giudicato, ma per come hai usato ciò che hai» (Omelie sui Vangeli). È fondamentale ricordare che la ricchezza, se non utilizzata per il bene degli altri, non significa assolutamente nulla nel piano di Dio. «Chi ama il denaro non si sazia mai di denaro» (Qo 5,9).

Papa Francesco: «La ricchezza ci seduce, promette cose che non dà, e alla fine ci delude» (Omelia, 20.09.2013).

  • Gesù e gli amanti del denaro

Gesù si rivolge ai philárgyroi (amanti del denaro) attraverso un racconto esemplare che presenta interessanti parallelismi con alcune storie dell'antico Egitto e la tradizione rabbinica. Nel passo di Lc 16,14, i farisei, noti anche come philárgyroi per il loro attaccamento alle ricchezze materiali, reagiscono deridendolo. Nella parabola, questi vengono rappresentati in modo simbolico dalla figura del ricco, che pur rispettando formalmente la legge religiosa, trascura completamente le necessità dei poveri, motivo per cui viene condannato. L'insegnamento di Gesù ribadisce un messaggio già espresso in precedenza, esortando i suoi ascoltatori a prendersi cura degli ultimi e dei bisognosi (Lc 14,13.21). Come affermava San Giovanni Crisostomo, «il vero valore non si misura dalla ricchezza, ma dalla carità con cui si usa ciò che si possiede».

L'uomo, spinto dal desiderio incontrollato di possesso, spesso trasforma i beni materiali in veri e propri idoli, arrivando talvolta ad adottare comportamenti illeciti pur di accumularli. Il Siracide ammonisce chiaramente su questo tema: «Molti che vivono per il denaro finiscono nelle trappole di esso» (Sir 31,5). Chi si lascia soggiogare dalla brama delle ricchezze perde la propria libertà interiore, divenendo schiavo del denaro stesso e cadendo così in una sorta di idolatria moderna in cui le cose prendono il sopravvento sull'animo umano. San Paolo, nella sua prima lettera a Timoteo, avverte che «l'amore del denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tm 6,10), evidenziando come quest'attaccamento possa condurre a scelte distruttive.

Origene affermava: «Il male non è possedere, ma chiudere il cuore», ponendo l'accento sulla necessità di mantenere il cuore aperto alla generosità. Inoltre, Benedetto XVI, nella sua enciclica Caritas in Veritate, afferma: «Il denaro non deve mai diventare lo strumento che domina, ma mezzo di comunione e responsabilità», richiamando l'importanza di un uso etico e solidale delle risorse materiali. Dunque, è fondamentale riflettere sul nostro rapporto con le ricchezze e su come poterle utilizzare per il bene comune, evitando che diventino ostacoli nella nostra ricerca di un'autentica umanità. Ci rammenta bene il profeta Amos a tale riguardo:

Il profeta Amos ci rammenta nella prima lettura quanto sia grave l'indifferenza nei confronti della sofferenza altrui. Nel passo di Am 6,5-7, egli condanna apertamente i notabili di Israele che, immersi nel lusso e nell'agiatezza, scelgono di non vedere le difficoltà dei più deboli e bisognosi. Il messaggio di Amos è un forte richiamo alla responsabilità e alla solidarietà verso chi è in condizioni di fragilità.

  • Il ricco senza nome e Lazzaro con un nome

È il caso di uno dei personaggi della parabola. Di lui non abbiamo identità; non possiede un nome. È un perfetto ignoto e innominabile. Sappiamo però che vive una condizione sociale di grande ricchezza tanto da permettersi piaceri di ogni sorta quotidianamente, soprattutto a tavola. Il povero invece possiede un nome; è identificato e identificabile da parte di Dio. Lazzaro, forma greca del nome ebraico/aramaico Eleazar, che significa colui che Dio soccorre, oppure Dio aiuta.

Lazzaro è la figura opposta al ricco in modo contrastante. L'evangelista dà un nome al povero per suggerire che egli aveva un'identità presso Dio. Egli giace in basso alla tavola del ricco e, affamato, si accontenta di mangiare le briciole che cadono. Oltre alla condizione di grande miseria, si aggiunge la sua situazione di salute fisica: è ricoperto di piaghe. E nella mentalità ebraica antica, secondo la legge del Deuteronomio, è un impuro, un maledetto. Il ricco non ha né cuore né occhi per riconoscerlo. La sua insaziabilità gli impedisce di vedere quel misero uomo. Solo i cani si accorgono di lui e gli offrono un po' di refrigerio leccandogli le ferite. Tra l'altro, anche i cani, nella cultura ebraica, sono considerati impuri. Quindi un impuro (Lazzaro) tra gli impuri.

<<Il Signore conosce i suoi>> (2Tm 2,19). San Gregorio Magno: «Il povero, steso alla porta, è il Cristo stesso che mendica nella nostra umanità» (Homiliae in Evangelia).

  • Il rovesciamento delle sorti e il dialogo con Abramo

Ma giunge anche il momento in cui la sorte dei due viene completamente rovesciata con la morte. Lazzaro si ritrova beato nel seno di Abramo, condotto dagli angeli (riferimento a un posto d'onore accanto ad Abramo nel banchetto messianico, ciò che la cristologia ed escatologia postuma definirà come eternità beata; paradiso; cielo in compagnia dei giusti e dinanzi al volto di Dio) e il ricco negli inferi tra i tormenti. La descrizione dell'Ade è incerta e viene presentata come un luogo di oscurità e ossa inaridite, secondo Ezechiele. Abramo si trova in una zona separata, forse fuori dallo sheol. Non esiste una visione giudaica uniforme dell'aldilà. Il ricco, invece, soffre e nota Lazzaro vicino ad Abramo; questa rappresentazione evidenzia il cambio di condizione tra ricco e povero e introduce il loro dialogo. In questo caso, l'Ade viene descritto esplicitamente come un luogo di sofferenza per coloro che vi si trovano.

Inizia poi un dialogo davvero ottuso tra il ricco, il quale stavolta vede Lazzaro, e Abramo, che egli chiama più volte Padre. Richieste di mutare le sorti e avvertimenti che dovrebbero arrivare ai fratelli da parte di Lazzaro redivivo, affinché non vadano anche loro in quel luogo di tormento. Ma le risposte di Abramo sono parole essenziali, ma giungono come sentenze inappellabili. Il ricordo in una vita sciupata tra bagordi e gozzoviglie da parte del ricco e la vita di stenti e sofferta di Lazzaro; tra i giusti e gli empi è stato fissato un grande abisso invalicabile ed eterno; se i fratelli non ascoltano la Parola di Dio che esorta sempre alla conversione e all'uso saggio della ricchezza, non ci sono miracoli che tengano. Anche se uno risuscitasse dai morti, resterebbero nell'incredulità e nella continuazione di una vita emancipata da Dio. «Hanno Mosè e i Profeti: ascoltino loro» (Lc 16, 29). Bonhoeffer: «La Parola di Dio non ci è data per saziare la nostra curiosità religiosa, ma per decidere la nostra vita».

  • L'uso dei beni e la vera felicità

Intendiamoci, l'evangelista non vuole assolutamente promuovere una specie di manifesto politico e ideologico su una presunta lotta di classe tra proletari e capitalisti. Né tampoco condanna la ricchezza in sé o i ricchi in se stessi. Né vuole esaltare la condizione di povertà materiale come status beatitudinis indipendentemente dall'affidamento alla provvidenza di Dio e all'obbedienza alla sua parola. Il punto è sempre un altro: l'uso della ricchezza. Se si è smodati, più si ha, più si vuol possedere al punto da trasformare questa sete insaziabile di beni in vera e propria cecità spirituale verso ogni fratello che si trovi nel bisogno; e non solo, ma anche al punto da approdare a strade e sentieri ingiusti quali il furto, la rapina, l'estorsione, l'usura, l'appropriazione indebita, lo sperpero di denaro pubblico, lo sfruttamento dei poveri, la mancata e ingiusta retribuzione agli operai, l'accaparramento di molte ricchezze a scapito di fasce più deboli e indigenti e quant'altro derivi da questo vizio capitale.

Questa riflessione trova riscontro non solo nella dimensione spirituale, ma anche in quella sociale: l'ossessione per l'accumulo di beni materiali può portare a deteriorare i rapporti umani, generando invidia, sospetto e isolamento. Spesso, chi è guidato esclusivamente dal desiderio di possesso sacrifica valori fondamentali come la solidarietà, l'onestà e la generosità, sostituendoli con una ricerca incessante di vantaggi personali e status. Tale atteggiamento rischia di privare la persona della capacità di apprezzare ciò che ha e di godere dei legami autentici. In molte culture e tradizioni, viene sottolineata l'importanza di un rapporto equilibrato con il denaro e i beni materiali, affinché questi siano messi al servizio del bene comune e non diventino strumenti di divisione o alienazione. Solo attraverso una presa di coscienza e un cambiamento nel proprio approccio alle ricchezze materiali, l'individuo può recuperare serenità, equilibrio interiore e senso profondo della propria esistenza. Anche San Giacomo nella sua lettera mette in guardia i cristiani dall'uso smodato delle cose (Gc 5,1-6). Se il nostro cuore è incapace ancora di scorgere nei tratti dei poveri e dei sofferenti il volto di Cristo Gesù, è segno che il nostro cuore è ancora saldamente ancorato alle ricchezze di questo mondo.

Usando un asserto logico, potremmo dire che l'uomo è incline al desiderio di felicità. Il desiderio di felicità può sembrare appagato nel possesso dei beni materiali, ma la paura della perdita di tali beni riduce l'uomo all'infelicità. È l'avidità che rende l'uomo infelice. L'animo, però, può allontanarsi dall'ingordigia per mezzo della virtus. Felice è soltanto il saggio, infelice è lo stolto.

Sant'Agostino: «La prima beatitudine, la povertà in spirito, è la radice di tutte le altre». Papa Francesco (Gaudete et exsultate, 67): «Il povero evangelico è colui che sa che la sua vita dipende da Dio».

Attualizzazione finale

La parabola non parla di una lotta di classe, ma del cuore. Oggi, chi è il nostro "Lazzaro"? È il migrante che bussa, il giovane disoccupato, l'anziano solo, il malato che soffre in silenzio, il povero della porta accanto.

Se non lo riconosciamo adesso, un giorno rischiamo di trovarci anche noi davanti a un abisso invalicabile. La ricchezza è solo un mezzo, mai un fine: è un ponte verso il fratello. Come ci ricorda Mt 25, 40, «In verità vi dico che, in quanto avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Saranno proprio i poveri, nel giudizio, ad aprirci o chiuderci le porte del Regno dei cieli. Nella seconda lettura, San Paolo esorta Timoteo, insieme a tutti i fedeli, a osservare con integrità e purezza il comandamento dell'amore, affinché lo si possa vivere pienamente senza mai venir meno al suo spirito. Non dimentico mai un'espressione usata da un santo e grande teologo: Gesù non è nel povero, nel bisognoso, nell'immigrato, nel carcerato… Gesù è il povero, il bisognoso, l'immigrato, il carcerato.

Preghiera

Vergine Maria, Donna povera e umile,

il popolo santo di Dio

ti proclama "Casa d'oro" perché la tua

immensa ricchezza era

l'Onnipotente e Santo

che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili (Lc 1,52).

Aiutaci dal Cielo ad essere i cristiani

delle beatitudini che tuo Figlio Gesù

ci ha lasciato come statuto d'amore

per arricchirci e arricchire il mondo

del tuo Verbo incarnato.

don Nicola De Luca