LA SPERANZA DEL REGNO E L’INGANNO DELLA RICCHEZZA

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Domenica 21 settembre 2025
«Non potete servire Dio e la ricchezza» Lc 16, 1-13
1. La parabola dell'amministratore: una lezione inattesa
Il Vangelo di questa domenica ci pone davanti a una parabola tanto insolita quanto ricca di insegnamento: quella dell'amministratore disonesto. Un uomo accusato di sperperare i beni del padrone viene licenziato. La sua situazione è drammatica: non ha più lavoro, non sa come sopravvivere, teme la miseria. Ma non si perde d'animo: con astuzia riduce i debiti dei clienti, così da crearsi delle amicizie che lo sosterranno quando non avrà più nulla.
Il padrone non approva certo la sua disonestà, ma ammira la sua scaltrezza, cioè la capacità di prevedere le conseguenze e agire di conseguenza. Qui sta il cuore del messaggio: Gesù non ci propone di imitare la frode, ma ci invita a guardare come questo uomo, pur nella sua furbizia, abbia saputo agire con prontezza e determinazione per garantirsi un futuro.
Il termine greco usato da Luca è phronìmos, che indica la saggezza pratica, l'intelligenza che sa leggere la realtà e trovare soluzioni. È una parola che ritorna anche altrove nel Vangelo: il servo fedele e saggio (phronìmos) è colui che attende il padrone con le lampade accese, pronto ad accoglierlo (cfr. Lc 12,35-40). Come sottolinea Origene: «La parabola ci insegna che bisogna essere prudenti e saggi nell'amministrare i beni che Dio ci ha affidato, affinché possiamo essere accolti nelle dimore eterne» (Omelie su Luca). E sant'Agostino aggiunge: «Il Signore non loda l'ingiustizia, ma la previdenza; non la frode, ma la saggezza nell'uso dei beni temporali per guadagnare quelli eterni» (Sermo 113).
Infine, come ricordava Papa Francesco: «Gesù ci invita a usare i beni di questo mondo non con egoismo, ma con generosità e intelligenza, per costruire relazioni di solidarietà e fraternità» (Angelus, 18 settembre 2016).
Se dedichiamo attenzione e cura alle questioni materiali della nostra esistenza quotidiana, sarebbe ancora più saggio rivolgere la stessa, se non maggiore, previdenza alle realtà che riguardano l'eternità. La fede, infatti, richiede una profonda responsabilità e una ferma determinazione: credere significa non soltanto vivere con consapevolezza il presente, ma anche prevedere le conseguenze delle proprie scelte sulla dimensione spirituale e sul destino eterno. Coltivare la fede comporta un impegno costante, fatto di riflessione, coerenza e preparazione, perché abbraccia ogni aspetto della vita e ci invita a elevarci oltre la semplice materialità per abbracciare valori duraturi e profondi.
2. La scaltrezza evangelica: intelligenza che apre alla speranza
Questa parabola ci richiama a una fede non banale, non fatta solo di abitudini, ma capace di orientare tutta la vita. Non basta dire di credere: bisogna vivere con scaltrezza evangelica, cioè con un'intelligenza spirituale che sa discernere, scegliere e agire. Il cristiano non è lo sciocco del villaggio, ma colui che con sapienza si riveste di Cristo e diventa strumento dell'amore di Dio. Non siamo chiamati a ingenuità, ma a una fede capace di leggere la storia, di affrontare le difficoltà, di progettare con speranza. San Giovanni Crisostomo osservava: «Se i figli di questo mondo si muovono con tanta cura per le cose terrene, quanto più i figli della luce devono farlo per le cose eterne». È un richiamo forte: non possiamo essere meno intelligenti per le cose del cielo di quanto lo siamo per quelle della terra. Hans Urs von Balthasar aggiungeva che la vita cristiana non è un gesto eroico improvvisato, ma una vigilanza quotidiana che nasce dalla speranza. Ogni giorno, con le scelte piccole e grandi, noi costruiamo il futuro del Regno.
3. La ricchezza disonesta: un inganno che soffoca la speranza
Ma Gesù va oltre. Non si ferma alla parabola: la sua parola è netta e radicale. «Non potete servire Dio e la ricchezza». Qui sta il centro. La ricchezza non è condannata in sé: quando è frutto di lavoro e sacrificio onesto, può essere benedizione. È giusto e doveroso prendersi cura della famiglia, custodire la casa, amministrare i beni. Origene ricordava: «I beni sono buoni se conducono alla virtù».
A questo proposito, san Tommaso d'Aquino commenta: «Non si dice che la ricchezza sia cattiva in sé, ma che è cattivo l'attaccamento disordinato ad essa, che diventa idolatria» (Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 118, a. 1). Eppure la ricchezza diventa pericolosa quando si trasforma in mammona, cioè in idolo. È il rischio dell'accumulo smodato, che non basta mai, che occupa tutta la vita, che toglie libertà e rende ciechi. La ricchezza promette sicurezza, ma non mantiene. Illude e poi tradisce. Per questo Gesù la chiama "disonesta": perché mente, perché inganna, perché si presenta come ciò che non è.
Come nota il biblista Joachim Jeremias: «Mammona non indica semplicemente il denaro, ma la personificazione della ricchezza come potere che pretende fedeltà assoluta, rivaleggiando con Dio» (Le parabole di Gesù). Infine, san Giovanni Crisostomo ammonisce: «La ricchezza è buona se viene usata bene, ma diventa un tiranno crudele se il cuore vi si attacca» (Omelie su Matteo, 20,3). San Gregorio di Nissa sosteneva che «l'attaccamento ai beni è una catena per l'anima: solo spezzandola si può correre verso Dio». Questo pensiero mette in luce come la ricchezza, se elevata a idolo, diventi un ostacolo che limita profondamente la libertà interiore dell'uomo, riducendo non solo la speranza ma anche la capacità di aprirsi sinceramente al rapporto con Dio. Solo attraverso il distacco dai beni materiali, suggerisce Gregorio, è possibile intraprendere un cammino autentico verso la dimensione spirituale e divina.
4. La custodia dei beni e della terra
Il Vangelo ci ricorda anche la responsabilità che abbiamo verso i beni e verso la terra stessa. Gesù dice: «Chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto» (Lc 16,10). Questo "poco" sono le cose quotidiane, i beni materiali, il creato che ci è stato affidato. Non ci appartengono per un uso egoistico, ma ci sono stati dati come strumenti di custodia e condivisione. Oggi questa parola è più urgente che mai. Non possiamo distruggere la casa comune, non possiamo sfruttare le risorse solo per interesse immediato. Papa Francesco, nella Laudato sì, ci ha ricordato che la cura della terra è parte integrante della fede. È fedeltà nel poco, che apre alla speranza del molto, cioè della vita eterna.
5. I poveri: giudici e custodi della speranza
Gesù aggiunge un invito sorprendente: «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne» (Lc 16,9). Chi sono questi amici? Sono i poveri, gli ultimi, gli scartati. Sono loro che, aiutati e amati in questa vita, diventeranno i nostri avvocati e giudici nel giorno del Signore. La ricchezza, se condivisa, diventa strumento di misericordia e seme di speranza. Il profeta Amos è durissimo: «Calpestate il povero e sterminate gli umili del paese… ma il Signore non dimenticherà le vostre opere» (Am 8,4-7). Dio ascolta il grido dei poveri e difende la loro causa. San Basilio ammoniva: «Il pane che conservi appartiene all'affamato, il vestito che custodisci appartiene al nudo». E Sant'Ambrogio aggiungeva: «Non sono tuoi i beni che distribuisci al povero, ma suoi».
La carità rappresenta un pilastro essenziale della speranza cristiana, poiché, secondo gli insegnamenti evangelici, ciò che avrà valore nel giudizio finale non saranno i beni materiali accumulati durante la vita terrena, ma la capacità di donare amore e attenzione ai poveri e agli emarginati. L'atto di aiutare il prossimo, dunque, costituisce la vera misura della fede e del destino eterno di ciascuno, superando di gran lunga l'importanza delle ricchezze o delle conquiste personali.
6. Fedeltà e radicalità
Il Vangelo si chiude con due avvertimenti forti:
• Fedeltà nelle piccole cose. Non si diventa santi nei grandi eventi eccezionali, ma nelle scelte quotidiane: nell'onestà, nella giustizia, nella sobrietà. Karl Rahner scriveva: «La santità è la quotidianità vissuta alla presenza di Dio». È lì che si custodisce la speranza.
• Non si possono servire due padroni. O Dio o mammona. Non esistono compromessi. La speranza non nasce da un cuore diviso, ma da un cuore totalmente consegnato a Dio.
7. Attualizzazione: la speranza minacciata oggi
Il tema si mantiene di grande attualità: nella società contemporanea, il consumismo dilagante, le attività speculative in ambito finanziario e l'acuirsi delle diseguaglianze sociali evidenziano come la logica del profitto spesso prevalga sull'attenzione alle persone e ai valori umani. Papa Francesco ha sottolineato con fermezza che questa economia, strutturata in modo da privilegiare il guadagno a ogni costo, arriva persino a "uccidere" la dignità umana. Anche Benedetto XVI aveva rimarcato il rischio che il possesso dei beni materiali possa trasformarsi in una forma di schiavitù, privando l'individuo della propria libertà interiore. Giovanni Paolo II, dal canto suo, aveva ricordato con forza che i beni della Terra sono stati creati per il bene collettivo, invitando a una distribuzione più equa e solidale delle risorse. Queste riflessioni, provenienti da diversi pontefici, richiamano la necessità di ripensare i modelli economici e sociali affinché pongano al centro la persona e il bene comune, superando la mera ricerca del profitto.
Il Vangelo viene presentato come un messaggio di speranza e di liberazione dall'influenza negativa del denaro, sottolineando la possibilità di costruire una società più giusta e solidale. Papa Leone XIV, intervenendo al World Meeting on Human Fraternity, ha invitato tutti a riflettere sulla domanda "Fratello, sorella, dove sei?", sollecitando attenzione non solo alle relazioni personali ma anche ai grandi temi contemporanei come le guerre, le migrazioni, la povertà diffusa e l'esperienza della solitudine. In questo contesto, viene proposta una nuova visione finalizzata alla crescita e allo sviluppo umano, fondata su valori di fraternità e responsabilità condivisa.
8. Una scelta decisiva di speranza
La domanda centrale è: dove poniamo la nostra speranza? Nel denaro, effimero, o in Dio, che rimane. Le nostre azioni quotidiane rispondono. Alla fine, conta ciò che abbiamo donato e condiviso, non ciò che abbiamo accumulato. Vivere per gli altri crea speranza; scegliere il denaro porta alla perdita, servire Dio porta alla pienezza. Spesso siamo tentati di misurare il valore della nostra vita attraverso ciò che possediamo o i risultati materiali che raggiungiamo, dimenticando quanto questi elementi siano transitori. Il denaro può concedere una sicurezza momentanea, ma non riesce a colmare i bisogni più profondi dell'animo umano. Come afferma il teologo Hans Urs von Balthasar, "La vera speranza cristiana non si fonda sul possesso, ma sull'abbandono fiducioso a Dio, che solo può colmare il cuore dell'uomo." Quando invece orientiamo le nostre scelte verso l'altruismo e la generosità, scopriamo un senso di appartenenza, gratitudine e fiducia nel futuro.
Sant'Ambrogio ricordava: "Non sono tuoi i beni che distribuisci al povero, ma suoi," sottolineando che la carità non è solo un'opzione, ma una responsabilità fondamentale. La speranza autentica nasce dal dono di sé, dall'apertura agli altri e dalla fede in qualcosa che va oltre noi stessi. Il biblista Bruno Maggioni osserva: "Il Vangelo ci invita a fidarci di Dio più che delle ricchezze, perché solo nell'amore donato e ricevuto si costruisce una vita che non delude." Servendo Dio, impariamo a guardare la realtà con occhi diversi, trovando nella solidarietà e nell'amore il vero significato della vita. Quando Cristo abita il cuore, i beni di questo mondo diventano solo uno strumento di giusto sostentamento e di condivisione fraterna.
Preghiera finale
Vergine Maria, Madre della Speranza,
tu che sei stata povera di beni e ricca solo di Dio,
insegnaci a non lasciarci incatenare dalle false ricchezze.
Aiutaci a vivere liberi e generosi,
a custodire la terra e i beni come dono,
a condividere con i poveri ciò che abbiamo,
perché in Cristo tuo Figlio
troviamo la vera ricchezza e la speranza che non delude.
don Nicola De Luca
