LA SPERANZA DEL CUORE PURIFICATO E GRATO

DOMENICA 12 OTTOBRE 2025
XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C
Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero. Lc 17, 11-19
Introduzione
Ogni domenica la Parola di Dio ci accompagna come un fiume di grazia che scorre dentro la nostra storia e la purifica. Le letture di oggi ci invitano a riscoprire la libertà dal peccato come segno di vita nuova in Cristo, quella libertà che ridona pace al cuore e rimette in cammino. Naamàn, il generale straniero guarito dalla lebbra, e il samaritano che torna a ringraziare Gesù, diventano immagini di un'umanità toccata dalla misericordia. Entrambi sperimentano la grazia che trasforma le ferite in feritoie di luce: in loro rinasce la speranza, perché chi è guarito nel cuore torna a respirare il profumo della vita. Come scrive san Gregorio di Nissa: "La vera purificazione non consiste nel lavarsi esteriormente, ma nel rinnovare l'anima attraverso la conoscenza e l'amore di Dio." (De beatitudinibus, VI)
1. Naamàn: la guarigione che libera e converte
Naamàn si immerge sette volte nel Giordano, come aveva detto il profeta Eliseo, e "la sua carne divenne come quella di un bambino" (2Re 5,14). Non è solo il corpo a essere purificato, ma il cuore a rinascere. Naamàn, uomo potente, scende nel fiume come in un battesimo di umiltà: abbandona l'orgoglio, le sue difese, le certezze del mondo, e scopre che la vera forza non sta nel potere, ma nella docilità alla Parola di Dio. San Giovanni Crisostomo afferma: "Il Signore non chiede oro o argento, ma un cuore che si lasci lavare dall'umiltà." (Homiliae in Matthaeum, 15,7)
Questo gesto di Naamàn, così semplice eppure così radicale, ci interpella profondamente: quanti di noi, di fronte alla sofferenza o al limite, cercano soluzioni complicate, dimenticando che la via di Dio passa spesso attraverso la piccolezza e la resa fiduciosa! Naamàn deve fidarsi di una parola che sembra quasi banale, deve compiere qualcosa che agli occhi del mondo appare insignificante. Eppure, è proprio nell'obbedienza ai piccoli gesti e nella capacità di lasciarsi guidare che si manifesta la potenza della misericordia di Dio, capace di fare l'uomo nuovo nel corpo e nello spirito, se egli si lascia interamente afferrare da essa.
Naamàn rappresenta ciascuno di noi quando ci lasciamo raggiungere dalla grazia. L'acqua del Giordano è l'acqua del nostro Battesimo, segno della vita nuova in Cristo, in cui Dio ci restituisce la libertà dei figli e ci dice: "Non temere, io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni" (Is 43,1). Nel gesto di Naamàn che si spoglia delle vesti e scende nel fiume, vediamo il simbolo di un'esistenza che abbandona i pesi dell'orgoglio, dell'autosufficienza, delle paure che paralizzano. È la stessa dinamica che vive ogni cristiano: solo lasciandosi purificare dalla Parola e dall'acqua dello Spirito si può rinascere a una vita nuova, liberi da ciò che ci tiene prigionieri.
In un tempo in cui molti si sentono smarriti, immersi in acque torbide di individualismo e paura, la Parola ci invita a "scendere" nel Giordano della fede, per ritrovare la sorgente limpida della fiducia. Come ricordava Benedetto XVI: "La vera libertà si trova soltanto nel lasciarsi purificare e trasformare dalla verità dell'amore di Dio." (Deus Caritas Est, 17) Non sono le nostre forze a salvarci, ma l'incontro con l'amore che ci precede e ci accoglie così come siamo. Naamàn impara che la vera guarigione parte dal cuore: solo chi accetta di lasciarsi amare e trasformare può sperimentare la gioia di sentirsi figlio, guardato con tenerezza e restituito a una dignità nuova.
La storia di Naamàn, in definitiva, ci insegna che la grazia non trova ostacoli se trova cuori disponibili. Come dice un proverbio italiano: "Acqua cheta rompe i ponti" — anche la grazia, silenziosa ma potente, può abbattere i muri dell'indifferenza e della superbia se solo le permettiamo di agire in noi. Chiediamo allora il coraggio di scendere anche noi, ogni giorno, nei "Giordani" della nostra vita, per lasciarci lavare, rinnovare e restituire alla gioia della fede.
2. Il lebbroso samaritano: la gratitudine che salva
Nel Vangelo di Luca (Lc 17,11-19), la scena dei dieci lebbrosi guariti da Gesù offre una riflessione profonda sulla natura della fede e della gratitudine. Solo uno dei dieci, un samaritano, torna indietro per ringraziare Gesù. Questo dettaglio è ricco di significato: il samaritano, considerato straniero e spesso disprezzato dalla società giudaica dell'epoca, è l'unico che riconosce la vera fonte del dono ricevuto. Gli altri nove, pur beneficiando della guarigione fisica, si fermano alla superficie del miracolo, soddisfatti di aver riavuto la salute, ma senza compiere quel passo ulteriore verso la relazione personale con Dio.
Il gesto del samaritano non è semplicemente un atto di buona educazione, ma un vero e proprio movimento interiore: la gratitudine lo spinge a tornare da Gesù, a gettarsi ai suoi piedi e a lodare Dio ad alta voce. Questo ritorno non è solo fisico, ma esistenziale: è il segno di una conversione del cuore, di una consapevolezza nuova che va oltre il beneficio ricevuto. Gesù stesso sottolinea questa differenza dicendo: "La tua fede ti ha salvato." Non è la sola guarigione a salvarlo, ma la fede riconoscente che apre alla salvezza piena, alla comunione con Dio. La figura del samaritano diventa così emblematica per ogni credente: ci ricorda che i doni di Dio non vanno mai dati per scontati, ma riconosciuti e accolti con stupore e riconoscenza. San Basilio ammonisce con forza: "Non basta ricevere il beneficio, bisogna riconoscere il Benefattore: solo la gratitudine custodisce la grazia ricevuta." La gratitudine, infatti, non è solo una virtù morale, ma un modo di vivere la fede: è memoria viva del cuore, come scrive Romano Guardini, che ci aiuta a non dimenticare la provenienza di ogni bene e a restare umili, aperti alla speranza.
Papa Francesco ci esortava spesso a coltivare questa attitudine: "La fede cresce nella gratitudine: un cuore che ringrazia è un cuore libero, perché riconosce che tutto è dono." Quando impariamo a ringraziare, ci liberiamo dall'illusione dell'autosufficienza e riconosciamo la presenza di Dio nella nostra storia, anche nei momenti difficili. La gratitudine diventa allora una forza che trasforma la nostra vita quotidiana, ci rende più attenti agli altri e più capaci di accogliere ogni giorno come una nuova occasione di bene. In fondo, la storia dei dieci lebbrosi ci invita a non accontentarci di una fede superficiale, ma a cercare quella profondità del cuore che sa riconoscere e lodare il Signore per ogni cosa. Come dice un antico detto: "Chi non sa ringraziare per poco, non sa ringraziare nemmeno per molto." Solo chi coltiva la memoria grata del cuore può davvero vivere nella speranza e nella gioia che vengono da Dio.
3. Liberati dal peccato per camminare nella speranza
Il peccato, nella prospettiva cristiana, non è soltanto una trasgressione delle regole morali, ma una profonda ferita che intacca la relazione tra l'uomo e Dio. Esso genera una condizione di schiavitù interiore: ci illude di poter essere autosufficienti, di bastare a noi stessi, e ci allontana dalla fonte della vita vera. La schiavitù del peccato si manifesta non solo nei comportamenti, ma soprattutto nel cuore: è quella tristezza che ci rende incapaci di amare pienamente, di donare fiducia, di accogliere la luce della speranza. In fondo, il peccato ci fa perdere la nostra identità più profonda di figli amati, ci chiude in una solitudine che spegne il desiderio di bene.
Ma il messaggio centrale del Vangelo è che nessuno è condannato a rimanere prigioniero del proprio errore. L'iniziativa della salvezza parte sempre da Dio, che ci raggiunge nella nostra fragilità senza giudicare, ma accogliendo e rialzando. La misericordia di Cristo non è una semplice "clemenza", ma una forza rigenerante che trasforma la ferita in occasione di rinascita. "Se il Figlio vi farà liberi, sarete davvero liberi" (Gv 8,36): la liberazione che Gesù offre è totale, riguarda il cuore, la mente, la storia personale. È la possibilità di ricominciare, di ritrovare la dignità perduta.
San Ireneo di Lione, con la sua celebre espressione "La gloria di Dio è l'uomo vivente, e la vita dell'uomo è la visione di Dio", sottolinea che Dio non vuole annientare l'uomo, ma renderlo pienamente vivo, restituirgli la capacità di vedere e gustare il bene. La vera libertà, allora, non consiste nel fare ciò che si vuole, ma nel lasciarsi perdonare e accogliere da Dio, nel ricevere il dono che ridesta il desiderio di bontà e di bellezza. Dire "Tutto è grazia, tutto è dono" significa riconoscere che ogni passo verso il bene nasce da un'iniziativa di Dio che ci precede sempre, che ci ama prima ancora che noi possiamo rispondergli.
San Paolo, scrivendo a Timoteo, invita a contemplare il mistero della comunione con Cristo: "Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo" (2Tm 2,11-12). La vita cristiana è una continua partecipazione alla Pasqua di Gesù: morire al peccato, lasciarsi purificare dalla sua misericordia, significa entrare in una vita nuova, che non è semplicemente la ripresa dopo una caduta, ma una vera trasformazione. La speranza cristiana, dunque, non si fonda sull'illusione che non ci saranno difficoltà o cadute, ma sulla certezza che la misericordia di Dio è più grande di ogni male e che la sconfitta non ha mai l'ultima parola.
Hans Urs von Balthasar approfondisce questo mistero, affermando che la speranza nasce dal fatto che Dio si è "compromesso" con la nostra storia fino alla Croce. In Gesù, Dio si è fatto solidale con ogni uomo, ha assunto il peso della nostra sofferenza e del nostro peccato, e ha aperto una via di salvezza che nessuna potenza può chiudere. Nulla può più separarci da Lui: questa è la fonte della speranza che sostiene il cammino dei credenti. La liberazione dal peccato non è solo guarigione dall'errore, ma è il dono di una nuova identità, di una dignità ritrovata che permette di vivere con cuore libero, aperto all'amore e alla fiducia.
In sintesi, essere liberati dal peccato significa tornare a essere pienamente uomini e figli: significa lasciarsi amare, perdonare, e, proprio per questo, camminare ogni giorno nella speranza che non delude, perché fondata sulla fedeltà di Dio. È una guarigione che tocca tutto l'essere, che trasforma la notte della colpa nella luce di una nuova alba, capace di ridare senso, colore e gioia alla vita quotidiana.
4. La lode che ridona colore alla vita
Quando si afferma che "chi è stato guarito non può tacere", si intende che la vera guarigione, quella che tocca il cuore e non solo il corpo, genera una trasformazione profonda che si esprime spontaneamente nella gratitudine e nella lode. Naamàn, dopo essere stato risanato dalla lebbra, sente il bisogno di offrire doni a Dio, manifestando così la sua riconoscenza; il samaritano guarito, invece, eleva la sua voce per glorificare il Signore. Entrambi mostrano che il ringraziamento non è una semplice formalità, ma un'urgenza interiore che nasce dalla consapevolezza di essere stati amati e salvati gratuitamente.
Questa gratitudine si traduce in una vita che diventa "canto", cioè espressione di gioia, di riconoscenza e di apertura verso Dio e gli altri. La lode, come sottolinea San Leone Magno, non è solo un atto da compiere in determinati momenti, ma uno stile di vita del cristiano: tutto è grazia, e ogni grazia è un'occasione per lodare e ringraziare. La lode si fa Eucaristia, cioè rendimento di grazie, che si estende a tutti gli aspetti della vita, anche quelli più difficili come il dolore e il limite umano. Questo atteggiamento di gratitudine non nega la sofferenza, ma la trasfigura, riconoscendo che anche nei momenti oscuri la presenza di Dio non viene meno.
Il pensiero di Rabindranath Tagore, citato nel testo, aggiunge un'altra sfumatura: la vera gioia non si trova nella ricerca egoistica della felicità, ma nell'aprirsi al servizio degli altri. È proprio nel donarsi, nel mettersi a disposizione senza riserve, che si sperimenta una gioia piena e duratura. La speranza, in questo contesto, non è un sentimento vago o superficiale, ma il "fiore" che nasce dal terreno della gratitudine, da una vita che sa riconoscere il bene ricevuto e si apre al dono di sé.
Infine, l'esempio di Maria, la Madre del Signore, viene proposto come modello di gratitudine e di fede. Maria è la "Donna grata", colei che nella sua purezza e nella sua disponibilità ha saputo accogliere il dono di Dio e trasformare la sua vita in un canto di lode. Chiedere a lei una fede che sia "perenne canto di ringraziamento" significa desiderare un cuore capace di riconoscere, giorno dopo giorno, la presenza e l'amore di Dio, per vivere ogni cosa — gioie e prove — come occasione di lode e di speranza.
Conclusione
In conclusione, le figure di Naamàn e del samaritano ci mostrano che la guarigione autentica non consiste soltanto nella liberazione dal male fisico o morale, ma si realizza pienamente nel ritorno a Dio, fonte inesauribile di ogni bene e di ogni dono. Essere guariti significa riconoscere con umiltà la propria fragilità e, al tempo stesso, aprirsi alla gratitudine verso Colui che opera meraviglie nella nostra vita. Quando il cuore si lascia toccare dalla grazia e si spalanca al "grazie", la speranza rifiorisce, perché è proprio nella gratitudine che Dio trova spazio per abitare e operare. La nostra esistenza si trasforma allora in una preghiera viva, autentica e spontanea, capace di restituire senso e colore a ogni giornata, anche nelle difficoltà. Dove si coltiva la riconoscenza, lì germoglia la speranza, e la vita diventa un continuo dialogo con Dio, fatto di fiducia e di amore.
"Signore, grazie perché mi hai liberato dal mio male,
perché hai asciugato le mie lacrime,
e hai ridato alla mia speranza il colore della vita."
Ecco la libertà dei figli di Dio: un cuore guarito che sa ancora cantare, anche dopo la notte.
E questa — solo questa — è la speranza che non delude (Rm 5,5).
Preghiera alla Vergine Maria
Vergine Santa, Madre della Speranza,
tu che hai creduto contro ogni speranza,
insegnaci a riconoscere i segni della grazia anche nei giorni oscuri.
Tu, Donna purificata dallo Spirito e colmata di gratitudine,
accogli la nostra povertà e trasformala in canto.
Tu che hai custodito nel cuore le meraviglie di Dio (Lc 2,19),
insegnaci a ricordare, a ringraziare, a lodare.
Sii tu, Madre, la via che conduce alla libertà del cuore,
perché impariamo a lasciarci lavare dalle acque della misericordia
e a camminare nella gioia dei redenti.
Rendici discepoli della speranza,
servi della gioia,
testimoni della gratitudine che salva.
E quando la notte si farà lunga,
ricordaci, o Maria, che il Signore mantiene le sue promesse
e che ogni alba nuova nasce da un "sì" pronunciato nell'amore.
don Nicola De Luca
