LA PREGHIERA ALIMENTA LA SPERANZA

DOMENICA 19 OTTOBRE 2025
XXIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
Io vi dico che farà loro giustizia prontamente Lc 18,1-8
La preghiera per un cristiano è ossigeno, aria, acqua, vita; è l'anima della sua anima. Al di là delle formule o delle forme — che sono solo strumenti propedeutici — la preghiera è per eccellenza un dialogo tra noi e Dio e tra Dio e noi: un'apertura reciproca, una corrente d'amore che sale e scende tra cielo e terra. Nella preghiera ci si inabissa nel cuore di Cristo perché questo si muova a compassione, dilati la sua misericordia e riversi su di noi ogni grazia del cielo. Come dice sant'Agostino, "Il tuo desiderio è la tua preghiera; se il desiderio è continuo, continua è la preghiera" (In Psalmum 37, 14). Pregare non è quindi moltiplicare parole, ma mantenere acceso il desiderio di Dio, lasciandolo respirare dentro di noi. L'efficacia della preghiera, tuttavia, dipende da due dimensioni essenziali: la costanza e la fede,che insieme custodiscono la speranza.
Gesù stesso, nel Vangelo, ci invita a "pregare sempre, senza stancarci mai" (Lc 18,1), ricordandoci che la preghiera perseverante non cambia Dio, ma trasforma il cuore dell'uomo. Come scrive san Paolo, "nella speranza siamo stati salvati" (Rm 8,24): la preghiera perseverante tiene viva la fiamma della speranza, che non delude perché "l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo"(Rm 5,5). Sant'Isacco di Ninive aggiunge: "La preghiera è un'ala che innalza la mente verso Dio. Chi prega ha già trovato la pace. In fondo, la preghiera è il respiro dell'anima che cerca la luce: come scriveva il poetaT. S. Eliot,"L'unico modo per pregare è stare in silenzio e ascoltare la parola che nasce dal silenzio di Dio." E in questo silenzio, dove tutto si raccoglie, l'uomo scopre che Dio non è lontano, ma abita già nel suo respiro.
1. La costanza: la preghiera che non si stanca
Il rapporto dialogico con Dio dev'essere perseverante, fiducioso e ininterrotto, nella certezza che il Signore "farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui" (Lc 18,7).
Come i bambini che, pieni di fiducia, insistono con i loro genitori sapendo che saranno ascoltati, così il credente persevera nella preghiera, anche quando sembra che Dio taccia.
Il silenzio di Dio non è assenza, ma ascolto profondo, attesa misteriosa in cui la fede si purifica e l'amore si radica.
Come scrive sant'Ambrogio: "Chi prega non si stanchi, perché la stanchezza non si addice all'amore." E sant'Agostino aggiunge: "Dio differisce nel donare, non per negare, ma per accendere il desiderio e allargare il cuore." (Ep. 130,8). È proprio nei momenti in cui sembra che il cielo resti chiuso che nasce la speranza cristiana: la certezza che il Signore non dimentica nessuna delle nostre lacrime(cf. Sal 56,9). La prima lettura (Es 17,8-13) ci presenta Mosè come archetipo dell'orante perseverante: le sue mani alzate, sostenute da Aronne e Cur, diventano segno della forza intercessoria che regge un popolo intero nella battaglia. Quelle mani tremanti, ma tenute alte, rivelano che la preghiera personale ha sempre un valore comunitario: nessuno prega mai solo per sé.
Le mani di Mosè non sono solo un gesto liturgico, ma una mediazione di alleanza tra Dio e il suo popolo: la preghiera insistente, fatta con fede, apre la via alla vittoria secondo Dio.
Come commenta Origene, "Mosè non stendeva le mani per vincere con la forza, ma per invocare la potenza di Dio; le mani alzate sono la croce che già salva Israele". Ogni cristiano è chiamato a questa stessa lotta spirituale: la preghiera costante è la nostra arma contro l'egoismo e l'orgoglio, affinché in noi regni Cristo solo. San Paolo ci esorta: "Pregate senza interruzione" (1Ts 5,17), e la tradizione monastica ha trasformato queste parole in stile di vita.mSan Gregorio Palamas diceva che "la preghiera incessante è respirare Dio": un respiro che unisce la terra al cielo.
In questa perseveranza nasce la speranza che non si arrende, come quella di chi continua a pregare anche nel buio, credendo che "la notte è avanzata e il giorno è vicino" (Rm 13,12).
Come scrive la poetessa Emily Dickinson, "la speranza è quella cosa con le piume che si posa sull'anima e canta una melodia senza parole, e non si ferma mai". Così anche la preghiera: continua a cantare nel cuore, anche quando sembra non esserci più voce.
2. La fede: fondamento e respiro della preghiera
Gesù stesso ci invita a bussare, a cercare, a chiedere con fiducia (cf. Mt 7,7-11). Ogni atto di preghiera nasce da una certezza interiore: Dio ascolta. Senza questa certezza, la preghiera diventa parola vuota; ma quando è sostenuta dalla fede, si trasforma in un dialogo vivo e reale, in un filo invisibile che unisce la terra al cielo. La fede non è solo un sentimento religioso: è un modo di vedere. È lo sguardo che riconosce Dio come Presenza e non come idea, come Padre e non come lontano mistero. Pregare nella fede significa entrare in una relazione di fiducia, lasciando che Dio parli, agisca e sorprenda, anche quando i suoi tempi non coincidono con i nostri. Il Salmista (Sal 120) esprime questa fiducia con parole che sono una dichiarazione d'amore:
"Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l'aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra."
Alzare gli occhi verso i monti è il gesto di chi non si rassegna a restare piegato su se stesso. È il movimento della fede, che rialza lo sguardo e riconosce che la vita ha un orizzonte più alto. Chi crede non evade dalla realtà, ma la guarda con occhi diversi. La fede è luce che trasfigura le cose, è respiro che allarga il cuore. Nel credente, la preghiera diventa come un'eco che risponde alla voce di Dio: Egli parla e l'uomo risponde, Egli dona e l'uomo ringrazia, Egli tace e l'uomo attende. San Paolo scrive a Timoteo che la fede cresce se è nutrita dalla Parola di Dio (cf. 2Tm 3,14-4,2): la Scrittura è un pane quotidiano, non un libro di memorie. Chi la accoglie con cuore docile scopre che ogni pagina porta un respiro del cielo, e che dietro ogni parola si nasconde una Presenza viva.
Una fede che non si alimenta della Parola diventa fragile; ma una fede che la medita, la prega e la vive, diventa forza interiore, equilibrio e speranza. La preghiera, così, non è un gesto isolato, ma un frutto maturo della fede che si lascia educare dal Vangelo. La fede autentica non elimina il dubbio: lo abita, lo purifica, lo trasforma in ricerca. Pregare con fede non significa avere tutte le risposte, ma continuare a bussare anche quando la porta non si apre subito. È camminare nel buio con la fiducia che Dio non tradisce. È restare fedeli nella prova, certi che Egli lavora in silenzio nel cuore delle cose. Benedetto XVI scriveva: "La fede non è un'idea, ma un affidarsi. È un atto con cui l'uomo si consegna totalmente a Dio, nella libertà e nella fiducia di chi sa che la sua vita è custodita da un Altro." Questa fiducia silenziosa è il segreto della preghiera che resiste nel tempo.
Pregare con fede significa anche accettare i tempi di Dio, che non sempre coincidono con i nostri.
La fede non pretende, ma attende; non possiede, ma confida; non impone, ma si affida. È come la terra che accoglie il seme e ne custodisce il mistero, sapendo che la vita germoglia nel silenzio. Dio ascolta sempre, ma a volte risponde non cambiando le circostanze, bensì cambiando noi. La fede trasforma il modo di chiedere: non più "dammi ciò che voglio", ma "donami ciò che mi serve per amarti di più". E questa maturità spirituale è il segno della preghiera che nasce dal cuore credente. In fondo, la fede è il respiro della preghiera e la linfa della speranza. È la forza che permette di rialzarsi ogni giorno, di vedere un futuro anche quando tutto sembra chiuso. Chi prega con fede sa che nessuna parola buona va perduta, che nessuna lacrima è inutile, che ogni silenzio può diventare spazio per la grazia. È la fede che ci fa dire, come Maria nel suo Magnificat, "Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente": non perché tutto sia facile, ma perché Dio è fedele.
E così la fede apre la strada alla speranza: perché chi crede non si arrende al buio, ma attende la luce che viene da Dio, sempre. È la fede che fa della preghiera non una fuga, ma un atto di fiducia e di amore. E quando la preghiera nasce dalla fede, diventa essa stessa un piccolo miracolo: la terra che parla con il cielo e il cielo che si piega a toccare la terra La fede illumina la preghiera e la apre alla speranza: pregare con fede significa credere che Dio opera anche quando non vediamo i frutti immediati, perché il tempo della grazia è sempre il tempo della speranza. Nella logica di Dio, infatti, nulla si perde: neppure una preghiera pronunciata nel pianto o nel silenzio, neppure un gesto d'amore che sembra inutile. Ogni atto di fiducia diventa un seme deposto nella terra del cuore, che germoglierà nel tempo scelto dal Signore. La fede è come una lampada accesa nel crepuscolo: non dissipa tutta la notte, ma basta per fare un passo alla volta, e continuare a camminare.
Chi prega con fede sa che Dio non dimentica e che la sua risposta arriva sempre, anche quando ha i tratti del silenzio o del tempo che passa.
Papa Francesco ci ricordava nel suo Magistero che "la speranza è la virtù dei cuori che non si chiudono nel buio, ma guardano oltre e attendono la luce di Dio anche nella notte." La speranza nasce proprio nel buio, come la fiamma che risplende più chiara quando tutto intorno tace. Pregare con fede significa, allora, custodire la luce della speranza nei momenti in cui tutto sembrerebbe spento. È in queste ore che la preghiera si purifica: non è più richiesta ansiosa o ricerca di segni, ma abbandono fiducioso, silenzioso, paziente. È l'ora in cui il credente impara che Dio non si lascia possedere, ma si lascia attendere. San Giovanni della Croce, con la sua mistica sobrietà, scrive: "Nella notte della fede l'anima cammina sicura, perché sa che è amata anche se non vede."
In questa frase si racchiude il cuore della vita spirituale: la fede è certezza d'amore, non evidenza di prove. Essa non elimina l'oscurità, ma la trasforma in fiducia, perché il credente sa che anche nella notte Dio opera, prepara, costruisce. La fede è la forma più alta dell'amore: credere senza vedere, attendere senza stancarsi, amare senza possedere. È l'amore che continua a bussare al cuore di Dio anche quando tutto tace. È la forza silenziosa che sostiene la preghiera quando le parole mancano, quando restano solo lacrime o respiri interrotti.
La Bibbia ci presenta Abramo come il padre dei credenti, colui che partì "senza sapere dove andava" (Eb 11,8). Eppure, in quel cammino cieco, Abramo era guidato da una luce interiore: la promessa di un Dio fedele. La fede, come per lui, ci conduce a fidarci più della voce che chiama che dei passi che conosciamo. È la fede che ci fa comprendere che la preghiera non serve a cambiare Dio, ma a cambiare noi, a renderci più docili alla sua volontà e più liberi da noi stessi.
Chi prega con fede non misura il tempo, non calcola i risultati, ma vive di presenza: sa che l'importante non è ottenere, ma rimanere in relazione, restare davanti a Dio. Sant'Agostino scrive: "La fede è credere ciò che non si vede; e la ricompensa della fede è vedere ciò che si è creduto."
È questa la dinamica interiore della preghiera: dalla fiducia nasce la visione, dall'attesa scaturisce la luce. La preghiera del credente non è sterile: essa allarga il cuore, lo dilata, lo prepara ad accogliere la grazia. La fede è ciò che tiene il cuore aperto, anche quando le mani sono vuote. E Dio, che non si lascia vincere in generosità, colma proprio quei vuoti con la sua presenza silenziosa e misericordiosa.
Charles Péguy, nel suo Portico del Mistero della seconda virtù, dipinge la speranza come una bambina che trascina per mano le sorelle maggiori, la fede e la carità: "La fede è una sposa fedele, la carità è una madre ardente, ma la speranza è una bambina che si sveglia ogni mattina e crede che il giorno sarà bello." In questa immagine poetica si riassume la verità più semplice del Vangelo: la preghiera autentica è un atto di fiducia rinnovata ogni mattina, come un bambino che si sveglia sapendo che sarà accolto. Così è la preghiera di chi crede: una fiducia che rinasce ogni giorno, una luce che non si spegne, una fede che continua a bussare al cuore di Dio, sapendo che Egli — anche quando tace — prepara la risposta nel silenzio del suo amore.
3. L'efficacia della preghiera: la vedova e il giudice iniquo
Nel Vangelo di Luca, la vedova importuna diventa l'icona viva della preghiera perseverante.
Ella non cede alla stanchezza, non si lascia vincere dal silenzio, ma continua a gridare al giudice finché ottiene giustizia. Non lo fa per ostinazione, ma per fede: è la fiducia che la muove, la certezza che, nonostante tutto, la giustizia è possibile. In quella donna fragile, Gesù ci mostra la forza nascosta dell'amore che non si arrende, la tenacia di chi continua a bussare, credendo che il cuore di Dio non può restare chiuso. Ogni volta che preghiamo con umiltà, anche noi siamo come quella vedova: piccoli, ma insistenti; deboli, ma certi che Dio ci ascolta. Dio, infatti, non è come quel giudice indifferente. Egli non si lascia commuovere dal fastidio, ma dalla fiducia. Desidera essere "stancato" dalle nostre suppliche, non perché ami la fatica, ma perché vuole farci crescere nella fede e nella perseveranza. Ogni invocazione sincera dilata il cuore, lo libera dall'egoismo e lo prepara a ricevere la grazia. La preghiera è come un respiro che, a poco a poco, rende il cuore più capace di amore. Come dice il salmo: "Spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore" (Sal 27,14). La speranza nasce proprio da questo perseverare nella fede che non si stanca.
San Giovanni Crisostomo affermava: "Dio vuole che noi insistiamo non per informarlo dei nostri bisogni, ma per renderci degni di ciò che Egli già desidera donarci." Queste parole rivelano un segreto profondo: la preghiera non serve a cambiare Dio, ma a cambiare noi. Ogni supplica autentica diventa un esercizio di fiducia, una scuola di pazienza, un atto d'amore che lentamente conforma la nostra volontà alla sua. Pregare è imparare il ritmo del cuore di Dio, è accogliere la sua libertà e il suo tempo. Per questo, più la preghiera si fa perseverante, più diventa pura e liberante.
Come insegnava sant'Ilario di Poitiers, "Dio non si stanca di essere invocato, ma si compiace di chi persevera, perché nella perseveranza si manifesta la verità della fede."
Alla fine del racconto evangelico, Gesù pone una domanda che attraversa i secoli: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" (Lc 18,8). È una domanda che non riguarda solo l'umanità intera, ma ciascuno di noi. Troverà ancora fede nei nostri cuori, nei nostri silenzi, nelle nostre attese? La vera fede è quella che resiste nella preghiera anche quando non vede risultati, che non si lascia piegare dalla stanchezza, ma continua a credere. È la fede di chi, come la vedova del Vangelo, non smette di bussare anche quando la porta sembra chiusa, sapendo che dietro quella porta c'è un Padre che veglia e attende. La preghiera perseverante è, dunque, la prova più alta dell'amore. Chi continua a pregare nel tempo della prova, dimostra di credere più nel volto di Dio che nelle proprie parole. E proprio in questa fedeltà silenziosa la fede si purifica, la speranza si rafforza, e il cuore diventa trasparente alla volontà divina. La preghiera costante non cambia il mondo in un istante, ma cambia l'uomo, e attraverso l'uomo, poco a poco, cambia anche il mondo.
La speranza cristiana nasce proprio da questa fiducia: che il Padre ascolta anche quando sembra tacere, che la giustizia di Dio non è lontana, ma si manifesta nel tempo opportuno. Il silenzio di Dio non è indifferenza, ma attesa amorosa: Egli ascolta nel segreto, vede nel nascondimento, e agisce nel momento stabilito dal suo disegno d'amore. A volte la sua risposta arriva come una brezza lieve, altre volte come una forza che sostiene senza rumore, ma che non viene mai meno. Chi persevera nella preghiera scopre che Dio non dimentica nessuna invocazione, e che persino un sospiro diventa parola davanti a Lui. San Paolo scrive: "Nella tribolazione la perseveranza produce una virtù provata, e la virtù provata la speranza" (Rm 5,3-4). Le prove, dunque, non spengono la speranza, ma la purificano. La fede matura solo quando attraversa il tempo del silenzio e dell'attesa: è lì che la speranza si fa forte, perché impara a fidarsi non di ciò che vede, ma di Colui che promette.
Ogni preghiera, anche quella che ci sembra inutile, lascia una traccia nel cuore di Dio e nel cuore del mondo. Nulla di ciò che nasce dall'amore e dalla fede va perduto. Dio raccoglie persino i sospiri e le lacrime, e li trasforma in semi di consolazione per altri.
Santa Teresa d'Avila lo dice con semplicità e forza: "Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa, solo Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto." Queste parole sono una piccola sintesi del Vangelo: la preghiera perseverante è il luogo in cui l'uomo si esercita alla pazienza di Dio, che non è lentezza ma fedeltà. Chi impara a pregare così non fugge dal mondo, ma vi resta dentro con cuore libero, capace di speranza e di pace. La preghiera, allora, non è evasione ma attesa attiva: è un modo di restare saldi nell'amore mentre il mondo trema, di resistere al male senza cedere alla paura. Pregare è tenere aperta una finestra sul cielo, anche quando tutto sembra chiuso. Come scriveva il salmista: "Io attendo il Signore, l'anima mia attende la sua parola" (Sal 130,5). È questa l'attesa che costruisce il Regno: una speranza che non delude, perché sa che Dio non si dimentica dei suoi figli, e che nel tempo giusto farà risplendere la sua giustizia come il sole dopo la tempesta.
Come affermava il teologo Henri de Lubac, "Pregare è partecipare all'opera di Dio nel mondo, è portare nel cuore il dolore della terra e consegnarlo alla misericordia del cielo." Pregare non è soltanto rivolgere parole a Dio, ma collaborare al suo disegno di salvezza. Ogni volta che un uomo o una donna si mette in ginocchio, qualcosa cambia nel mondo, anche se nessuno lo vede. La preghiera apre un varco nella durezza del cuore umano e lascia entrare la misericordia. In un tempo che confonde il fare con l'essere, la preghiera ci ricorda che il primo gesto d'amore non è l'azione, ma la comunione. Essa ci fa partecipi del battito di Dio, che abbraccia il dolore e lo trasforma in promessa. Chi prega, dice de Lubac, porta nel cuore "il dolore della terra": e davvero, ogni preghiera autentica è una intercessione nascosta. Quando alziamo gli occhi verso Dio, portiamo con noi la fame e la guerra, la solitudine dei poveri, le lacrime di chi non ha più forza. Pregare non è mai un gesto privato: è un atto ecclesiale, un soffio che unisce il cielo e la terra. Nella preghiera il cristiano diventa voce di chi non sa più parlare, forza di chi è stanco, speranza di chi non riesce più a sperare. Ogni "Padre nostro" pronunciato nel silenzio di una stanza diventa parte di un misterioso cantiere di redenzione. Pregare, dunque, è restare nel mondo senza appartenervi del tutto, è tenerlo stretto al cuore di Dio quando tutto sembra perderne il senso. Rainer Maria Rilke lo ha espresso in versi di straordinaria bellezza:
"Prega col cuore che non conosce posa,
prega con le mani che seminano,
prega con la vita che continua a credere anche quando tace il cielo."
È un invito a fare della vita intera una preghiera. Non solo parole, ma gesti, fedeltà quotidiana, lavoro vissuto con amore, perdono offerto nel silenzio. Pregare con le mani che seminano significa continuare a credere nell'aurora mentre il mondo attraversa la notte. Pregare con la vita che tace ma spera significa testimoniare che Dio non abbandona mai la storia, anche quando la storia sembra dimenticarsi di Lui. È questa la preghiera che salva: quella che non si stanca di amare e di ricominciare. La vedova del Vangelo è l'immagine concreta di tutto questo. Non ha potere, non ha voce, non ha difese, ma ha la forza dell'insistenza. È povera, ma ricca di speranza. Non cede allo scoraggiamento, non si arrende al silenzio del giudice, non smette di credere che la giustizia esiste. La sua preghiera è una resistenza interiore contro l'indifferenza e la paura. Gesù, raccontandola, ci rivela che la perseveranza è già una vittoria: vittoria sullo scoraggiamento, sulla delusione, sulla tentazione di chiudere il cuore. Ogni volta che continuiamo a pregare, anche stanchi, anche feriti, anche disillusi, vinciamo una piccola battaglia spirituale contro la disperazione.
Pregare è credere che la giustizia di Dio, anche se tarda, non manca mai. Dio non delude, anche quando la sua risposta non coincide con i nostri desideri. La sua giustizia non è quella degli uomini: non è fredda retribuzione, ma misericordia che rialza. Egli non risponde dall'alto, ma dal basso: con la pazienza, con la croce, con il silenzio che salva. Come ricorda il libro dell'Apocalisse, "Le lacrime dei santi salgono davanti a Dio come incenso" (Ap 8,4): ogni preghiera sale come un profumo, e il cielo la custodisce anche quando la terra l'ha dimenticata. Pregare, allora, è restare in piedi nella notte, con la lampada accesa della speranza, come le vergini prudenti del Vangelo.
È attendere lo Sposo senza sapere l'ora, ma con la certezza che verrà. È continuare ad amare anche quando non si riceve amore, a perdonare anche quando si è stati feriti, a credere anche quando tutto sembra crollare. In un mondo impaziente e frammentato, la preghiera perseverante diventa una profezia: ricorda che il tempo di Dio è diverso, che la sua giustizia è discreta ma infallibile, che la sua misericordia non dorme. Pregare è, in fondo, la forma più alta della speranza. Chi prega tiene aperta la porta di Dio sul mondo. Chi prega ricorda a se stesso e agli altri che non siamo soli, che l'amore di Dio non è un'idea, ma una presenza. E quando il mondo trema, la preghiera è la voce che sussurra: "Non temere, Dio è qui."
Conclusione e attualizzazione
In un tempo frenetico e spesso arido di interiorità, la preghiera è la sorgente nascosta che alimenta la speranza. È come un pozzo tranquillo nel deserto delle nostre giornate: non si vede subito, ma chi lo trova ritrova la vita. Pregare significa rallentare il ritmo del mondo per sintonizzarsi con quello di Dio, per ascoltare nel silenzio la voce che non inganna. Quando tutto sembra muto, la preghiera ci educa ad attendere Dio anche nel silenzio, a riconoscere la sua presenza nella notte del dolore e nella fatica quotidiana. Il silenzio di Dio non è assenza, ma misteriosa vicinanza: Egli si rivela proprio a chi rimane fedele nell'attesa. Come scrive il profeta Isaia, "nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nella fiducia sta la vostra forza" (Is 30,15). La calma di cui parla il profeta non è passività, ma abbandono fiducioso, la pace di chi sa che Dio guida la storia anche quando l'uomo la confonde. In un mondo che corre e rumoreggia, la preghiera è il respiro che restituisce al cuore la sua verità, il suo ritmo, la sua pace. Romano Guardini osservava che "solo chi prega impara a vivere davvero, perché la preghiera educa il cuore alla realtà di Dio e alla verità dell'uomo". Pregare è ritrovare il senso dell'essere, il filo che unisce le nostre giornate disperse, il punto in cui la nostra povertà incontra la fedeltà di Dio.
Pregare è mantenere accesa la lampada della speranza, come le vergini prudenti del Vangelo (Mt 25,1-13), nell'attesa dello Sposo che viene. Non sappiamo quando arriverà, ma sappiamo che verrà.
La preghiera ci prepara a riconoscerlo nei piccoli segni, nei volti, nei frammenti di luce che attraversano il quotidiano. Chi vive di preghiera non si lascia sorprendere dal buio, perché custodisce dentro di sé un'alba che non tramonta. È questa la speranza cristiana: non un ottimismo ingenuo, ma la certezza che Cristo risorto è presente nella nostra storia e non abbandona mai i suoi.
Anche quando tutto sembra perduto, Egli cammina accanto a noi, come con i discepoli di Emmaus, e ci riaccende il cuore con la sua Parola. Sant'Ambrogio diceva che "la preghiera è la chiave del mattino e il chiavistello della sera": apre il cuore al giorno di Dio e lo chiude nella sua pace.
Ogni preghiera è come un'alba che nasce nel cuore: rinnova lo sguardo, purifica la mente, risveglia la fiducia. E quando arriva la sera, la preghiera diventa rifugio e riposo: riconsegna a Dio ciò che non siamo riusciti a fare e affida al suo amore ciò che non possiamo cambiare.
Santa Teresa di Lisieux diceva che "la preghiera è uno slancio del cuore, uno sguardo verso il cielo, un grido di gratitudine e di amore, sia nella prova che nella gioia". È in questo slancio che la speranza si rigenera ogni giorno, come un piccolo miracolo quotidiano. La preghiera costante ci libera dall'illusione di dover risolvere tutto da soli e ci ricorda che la giustizia ultima non viene dagli uomini, ma da Dio, che "farà giustizia prontamente ai suoi eletti" (Lc 18,8). Pregare ci restituisce il posto giusto nel mondo: quello di figli, non di padroni; di servi amati, non di artefici onnipotenti. Chi prega diventa segno di speranza per gli altri: non parla solo di Dio, ma lascia trasparire la sua pace. Così la preghiera non è evasione, ma presenza; non fuga, ma responsabilità; non rifugio, ma sorgente. È la via attraverso cui la fede si fa amore e l'amore diventa speranza viva. Come affermava Benedetto XVI, "Chi prega non perde mai del tutto la speranza, perché l'incontro con Dio rinnova la vita e la storia anche quando tutto sembra finito". E il poeta Paul Claudel aggiungeva: "Non si prega per fuggire dal mondo, ma per immergersi nel mondo con gli occhi di Dio." La preghiera è così la voce silenziosa che sostiene la Chiesa e il mondo, un filo invisibile che unisce il cielo e la terra. Essa non cambia solo ciò che chiediamo, ma trasforma ciò che siamo, rendendoci strumenti della pace di Dio.
Vergine Maria, Donna orante e Madre della speranza,
insegnaci a rivolgerci a Cristo tuo Figlio
con fede e perseveranza,
perché la nostra preghiera diventi luce che alimenta la speranza del mondo.
don Nicola De Luca
