LA PACE DI CRISTO SORGENTE DI SPERANZA MISSIONARIA

Mai come in questi tempi le letture che la liturgia oggi ci propone sono di una attualità sorprendente e disarmante. La profezia isaiana è come un fiume in piena che esonda quasi a voler giungere in ogni luogo, tempo e uomo. È la promessa della pace messianica che Dio vorrà concludere come Alleanza d'amore verso il suo popolo e la sua città iconica: Gerusalemme. La pericope si apre con un cantico alleluiatico e giubilare apportatore di grande speranza. Dio in persona si prenderà cura del suo popolo proprio come una madre che con immensa tenerezza viscerale si prenda cura del suo bambino, arricchendolo di ogni consolazione per la cattività, umiliazione vissuta. Quando Israele fa esperienza dell'umiliazione e della sofferenza allora inizia a crescere in esso la coscienza di essersi allontanato da Dio e avverte la necessità di tornare a Lui e alla sua legge, sorgente viva di pace e speranza. Il suo orgoglio si scioglie come neve al sole e si apre all'azione liberante di Dio.
Mai il Signore abbandona la sua vigna anche se questa risulti infedele, traditrice e ingrata. Lui rimane fedele alla sua fedeltà e al suo amore stringendo nuovamente vincoli di amore con il suo popolo. I legami d'amore di Dio sono eterni. Noi cadiamo dalla sua tenerezza ma lui è come il monte Sion: rimane stabile per sempre. E quando interviene nella storia, anche la più oscura e tormentata, rinasce la speranza. Dove Dio passa i crateri delle tenebre si trasformano in fioriere che olezzano di profumi. Il Signore per mezzo del suo profeta annuncia gioia e pace durature. Questo testo è incastonato in una raccolta di oracoli redatti dopo l'esilio babilonese, dove Israele venne ridotto a "non popolo" e alla schiavitù.
Il Signore dei signori e il Dio degli dei si rivela, pur essendo per natura Padre, con tratti materni, analogicamente parlando. Egli è madre che accarezza, si prende cura, porta al petto le ferite dell'umanità per versarvi l'olio della consolazione e il vino della speranza. Grande, paradossale e poderosa fu l'espressione del Beato Giovanni Paolo I quando disse: «Anche noi che siamo qui, abbiamo gli stessi sentimenti; noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà; più ancora è madre». Ovviamente, gioia, consolazione e pace non sono da intendersi in prospettiva sentimentalista o emotiva ma come dono gratuito di Dio che crea e ricrea sempre il bene, il bello, il buono, il giusto e il vero lì dove è stato violentemente asportato. O come dice l'apostolo Paolo: il necessario è essere nuove creature in Cristo Gesù per mezzo del suo Santo Spirito. Lì dove muore l'uomo vecchio e sorge il nuovo, vi è garanzia dell'effusione della Divina Misericordia.
Il dono della pace e delle speranze messianiche si compie pienamente in Cristo Gesù. Lui inaugura il più grande Giubileo della storia. Con la sua incarnazione, pace, gioia e speranza non sono più promesse, ideali o orizzonti lontani, ma presenze reali nella sua Persona. Egli è il Principe della pace che ha caratteristiche ben delineate. La pace è dono di Dio in Cristo agli uomini. Avere pace è essere messi in un giusto rapporto con Dio: "Noi, giustificati mediante la grazia, abbiamo pace con lui"(Rm 5,1).
Pace è inoltre riconciliazione, nel senso che Dio riconcilia a sé l'uomo, superando una condizione di inimicizia. Quindi la pace indica i rapporti positivi con Dio: in questo senso devono essere interpretate le parole di saluto di Gesù ai discepoli: "Pace a voi" (Gv 20,19). Oltremodo Gesù, vedendo l'immensità della messe che lo circonda, e cioè un'umanità spenta e smarrita, desidera che i suoi discepoli – apostoli in primo luogo – siano messaggeri di pace ovunque essi si trovino. Ma non pochi messaggeri: uno stuolo, settantadue discepoli, dopo il primo gruppo apostolico, per la vastità appunto della messe.
Anche nel brano evangelico, la pace discende dall'alto come salvezza, invito alla conversione e prossimità del Regno di Dio per chi si apre alla speranza. L'offerta della pace non è un negoziato da fare o un contratto da redigere, ma un'elargizione purissima di Dio con l'incarnazione di Cristo prima e compiuta poi con la sua morte e risurrezione e il dono dello Spirito. Tale regalo divino pone il discepolo e la comunità in un continuo stato missionario. La sequela di Cristo non è statica bensì dinamica. Spinge a inoltrarsi al di fuori di confini, barriere, muri per raggiungere tutti. Come soleva dire Papa Francesco: una Chiesa in uscita.
La Chiesa per costituzione ontologica è missionaria. Ma tale missione, per essere efficace e credibile, deve avere i connotati della gratuità e della libertà dalla mondanità. Raggiunge le frontiere della storia di ogni tempo e di ogni luogo, recando in dono la pace che, ribadiamo ancora, non è un fatto meramente umano – assenza di guerre o conflitti – ma in esse irruzione dei beni messianici. Dinanzi a tale messaggio vi sono due risposte da parte del mondo: l'apertura della mente e del cuore all'avvento del Regno di Dio o la chiusura totale; una barricata che rifiuta volontariamente il dono. Ma qui entrano in gioco due fattori: la nostra credibilità o la responsabilità altrui.
Il missionario di Gesù parte con la certezza nel cuore che nessun male potrà realmente nuocergli (cf. Lc 10,19). La sua forza non risiede in capacità umane, ma nella fedeltà al Signore che lo invia. Quando l'opera è compiuta in Dio e per la sua gloria, essa è come un fuoco che consuma l'opera del maligno: Satana cade dal cielo come una folgore (cf. Lc 10,18). Ogni annuncio del Vangelo è uno squarcio nella notte del mondo. Tuttavia, ogni discepolo di Cristo, piuttosto che rallegrarsi unicamente per i frutti visibili del suo operato, è chiamato a custodire una gioia più profonda, più pura, più vera. Come insegna Gesù stesso: "Non rallegratevi perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli" (Lc 10,20).
C'è un mistero di intimità tra Dio e ciascuno dei suoi figli. Ogni seguace di Gesù, nel silenzio della notte, può contemplare con stupore il cielo stellato, e scrutandolo, percepire con l'occhio della fede che il proprio nome è inciso nel cuore di Dio stesso (cf. Is 49,16). È questa l'unica vera sicurezza: essere conosciuti e amati da Dio. Come ricordava san Gregorio di Nissa: «Nulla è più grande per l'uomo che essere conosciuto da Dio». E Origene aggiungeva: «Che gioia sapere che il proprio nome è scritto nel Libro della Vita! Non nei registri della gloria terrena, ma nel cuore del Padre».
Come ha scritto il biblista Gianfranco Ravasi:
«La pace, nella Bibbia, non è assenza di guerra, ma pienezza di relazioni: è la condizione in cui l'uomo vive secondo Dio, e per questo vive in armonia con sé stesso, con gli altri, con il creato».
E come afferma il teologo Walter Kasper:
«La missione non è conquista, ma comunione. Essa nasce da un cuore abitato dalla pace di Cristo e si realizza là dove il Vangelo è testimoniato con mitezza e verità».
Vergine Maria, Donna in uscita, missionaria e generatrice di grazia, dinanzi ai tanti scenari di guerra a cui oggi assistiamo con orrore e terrore, rincordaci che siamo inviati nel mondo come artigiani di pace. Lì dove morte e disperazione regnano a causa della stoltezza dei potenti, rendici banditori credibili della pace che tuo Figlio Gesù è venuto a recare nel cuore dei miti e degli umili.
