LA FORZA DELLA FEDE: SEME DI SPERANZA

DOMENICA 05 OTTOBRE 2025
XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C
Aumenta la nostra fede Lc 17, 5-10
Introduzione
Nelle domeniche scorse, Gesù non ha edulcorato il messaggio del Padre con parabole rassicuranti o semplificate. Al contrario, Egli ha sempre parlato con chiarezza a coloro che desiderano seguirlo. L'invito è a vivere un Vangelo fatto di verità, perdono, misericordia e giustizia con radicalità. Come sottolinea il Vangelo di Matteo (Mt 5,17-20), non è sufficiente attenersi alla lettera della Legge; si è chiamati a realizzare l'intento più profondo di Dio. Questa prospettiva non è altro che il richiamo a fare del culto un'esperienza radicale e trasformativa, dove ogni gesto e ogni parola diventano un atto di adorazione.
Il cristianesimo, infatti, non si esaurisce nel culto sacro da rendere a Dio "in Spirito e verità" (Gv 4,24). Questo culto deve incarnarsi nella vita, trasformarsi in gesti concreti di amore personale, comunitario e sociale. La Lettera di Giacomo (Gs 2,14-17) ci ricorda che la fede senza opere è morta; questo ci invita a riflettere sull'essenziale legame tra la nostra vita di fede e le azioni che ne derivano. La fede diventa così la forza propulsiva che ci spinge verso una vita di carità e giustizia.
Tuttavia, senza fede, queste esigenze rischiano di apparire come un fardello insopportabile. È proprio la fede che ci permette di vivere l'essenzialità e la totalità del Vangelo: essa dona la grazia e la capacità soprannaturale necessarie per rispondere alla nostra vocazione alla santità. Come afferma san Paolo nella Lettera ai Filippesi (Fil 4,13), "tutto posso in colui che mi dà forza". È solo attraverso questa forza divina che possiamo intraprendere il cammino di vita cristiana con gioia e determinazione.
Ecco perché oggi, sulle labbra dei discepoli, risuona una richiesta semplice ma decisiva: "Aumenta la nostra fede!" (Lc 17,5). Questa supplica è un riconoscimento della nostra fragilità umana e del bisogno costante della grazia divina. Sant'Agostino, riflettendo sulla fede, affermava che "la fede è il primo passo verso la vita eterna", ma è importante notare anche la visione di altri Padri della Chiesa, come san Giovanni Crisostomo, che sottolineava il potere trasformativo della fede: "Non è la ricchezza a dare fiducia, ma la fede in Dio". Ci ricorda il profeta Abacuc nella prima lettura:
«Scrivi la visione
e incidila bene sulle tavolette,
perché la si legga speditamente.
È una visione che attesta un termine,
parla di una scadenza e non mentisce;
se indugia, attendila,
perché certo verrà e non tarderà.
Ecco, soccombe colui che non ha l'animo retto,
mentre il giusto vivrà per la sua fede». Ab 2, 2-4
Infine, lo scrittore e teologo contemporaneo Henri Nouwen scriveva: "La fede è l'arte di lasciarsi afferrare da Dio", evidenziando come la nostra richiesta di un aumento di fede è, in ultima analisi, una richiesta di una maggiore relazione con Dio, un desiderio di essere sempre più afferrati dalla Sua grazia. In questa domenica, pertanto, siamo invitati a riconoscere il nostro bisogno di una fede più grande, aperti a ricevere la forza divina con l'intento di vivere il Vangelo non solo in parole, ma in gesti concreti di amore e giustizia nella nostra quotidianità.
1. Una domanda universale
Gli apostoli, come ogni discepolo, sperimentano la fatica di adottare gli atteggiamenti di Gesù: l'attenzione verso i piccoli (Lc 17,1-2) e la riconciliazione verso i fratelli più fragili (Lc 17,3-4). Non è facile, e per questo la loro invocazione diventa universale: riguarda ogni comunità di ogni tempo, chiamata a resistere ai marosi dello spirito del mondo. In un contesto contemporaneo in cui il giudizio e l'indifferenza sembrano prevalere, la radicalità dell'amore e della misericordia, così come esemplificato da Gesù, è una sfida per ciascuno di noi.
La fede, anche quando sembra minima come un granello di senape, possiede una forza immensa: può muovere le montagne (Mt 17, 20), rinnovare i cuori, vincere il male con il bene, mutare i destini delle persone e delle comunità. Come è detto in Rm 12, 21, "non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene". Questo versetto sottolinea l'importanza di come la fede possa trasformare le situazioni più cupe e impossibili attraverso azioni di amore e giustizia.
San Paolo ricorda a Timoteo che non ci è stato dato "uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza" (2Tm 1,7). La forza di cui parla l'apostolo non è da intendere come una mera capacità umana, ma come una potenza divina che opera in noi attraverso lo Spirito Santo. Questo dono di Dio rende viva la fede, purché sia custodita e coltivata. Nella sua opera De generibus adolescentium, Sant'Agostino parla della necessità di una formazione continua della fede, che deve essere nutrita dalla preghiera e dalla comunione fraterna. Inoltre, la parola di Gesù in Luca 17,6, dove afferma che un piccolo atto di fede può realizzare l'impossibile, mette in rilievo un principio fondamentale della vita cristiana: anche le più piccole azioni di fede possono originare grandi cambiamenti. Questo principio trova riscontro nel commento di Origene, il quale annota come la fede, sebbene sembri piccola, può produrre frutti straordinari nella vita dei credenti e nelle comunità.
In questo senso, ogni comunità è chiamata non solo a ricevere la fede, ma anche a testimoniarla in un mondo che spesso rifiuta i valori del Vangelo. La responsabilità dei discepoli è quindi duplice: crescere nella propria fede e mettere in atto azioni concrete che parlino di quella fede. La sfida consistenza nell'essere testimoni coerenti della speranza che abbiamo ricevuto. In sintesi, la richiesta degli apostoli di avere una fede aumentata è una chiamata a tutti noi. Essa invita ciascun membro della comunità a riconoscere la propria fragilità e, allo stesso tempo, a confidare nella potenza di Dio che opera attraverso una fede viva, sempre rinnovata e aperta all'azione dello Spirito Santo. Siamo esortati a non sottovalutare il potere di un piccolo gesto di amore, aperti alla possibilità del miracolo che può manifestarsi nella nostra vita e nella vita di coloro che ci circondano.
2. Un seme che cresce
La fede, ricevuta in dono al Battesimo, è come un seme: va curata, custodita, protetta e fatta maturare. Essa cresce soprattutto nella preghiera: senza preghiera, la fede appassisce, mentre nella preghiera diventa granitica. La connessione tra preghiera e crescita della fede è fondamentale; la nostra vita di dialogo con Dio, sia personale sia comunitaria, è ciò che alimenta e rafforza la nostra fede. San Giovanni Crisostomo affermava: "Chi prega tiene le mani sul timone della storia". Questo significa che la preghiera non è solo un momento di intimità con Dio, ma anche un modo per influenzare attivamente la nostra vita e quella degli altri. Man mano che il nostro dialogo con Dio si intensifica, la nostra fiducia e il nostro impegno nella fede diventano più profondi. Gesù utilizza l'immagine del gelso, un albero dalle radici profonde e resistenti. Così è la fede: se ben radicata in Dio, sarà capace di affrontare le tempeste della vita senza essere sradicata. In questo senso, il nostro impegno costante nella preghiera e nei sacramenti diventa essenziale affinché la nostra fede possa crescere, fortificarsi e resistere alle prove.
È importante sottolineare che la crescita della fede non avviene in isolamento. La comunità di fede gioca un ruolo cruciale; attraverso la condivisione e la testimonianza reciproca, possiamo nutrirci l'uno dell'altro, rafforzando la nostra fiducia in Dio. Pertanto, ogni discepolo è invitato a fare del proprio contributo un seme di speranza, per sé e per gli altri. In sintesi, proprio come un seme deve essere curato affinché possa germogliare e crescere, così la nostra fede richiede attenzione e dedizione. Con la preghiera e la comunità, possiamo garantire che questo seme non solo cresca, ma produca frutti abbondanti, testimoniando la presenza di Dio nella nostra vita quotidiana.
3. La fede che salva
Nei Vangeli, ogni atto salvifico di Gesù è legato alla fede: "La tua fede ti ha salvato" (Lc 17,19). È fondamentale sottolineare che non è la fede umana in sé a salvare, ma la potenza di Dio che agisce attraverso di essa. In questo senso, la fede diventa la condizione necessaria per aprirci alla grazia: senza di essa, Dio non forza la nostra libertà. Come afferma san Paolo nella Lettera agli Efesini (Ef 2,8-9), "Siete salvati per grazia mediante la fede", evidenziando che la grazia di Dio e la nostra fede si intrecciano in un dono reciproco. Avere fede significa riconoscere la nostra impotenza e riporre tutta la fiducia nel Signore. Questo implica una rinuncia a fare affidamento solo su noi stessi, aprendoci totalmente a Lui. La teologa contemporanea Chiara Lubich sottolineava che "la fede è una relazione d'amore che ci porta a scoprire la volontà di Dio". Questa apertura interiore diventa così lo spazio in cui Dio può operare. La fede, quindi, non è solo un atto intellettuale, ma un'esperienza relazionale che trasforma la nostra vita.
Perciò, i discepoli non si vergognano di chiedere: "Signore, aumenta la nostra fede!" Questa supplica riflette non solo una consapevolezza dei propri limiti, ma anche una profonda fiducia nel potere di Dio di intervenire sulla nostra vita. Anche Gesù ha pregato affinché la fede dei suoi discepoli non venisse meno: "Simone, ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno" (Lc 22,32). Questo versetto mette in rilievo l'importanza della preghiera per il sostegno della fede, e ci ricorda che la comunità di fede è chiamata a sostenersi reciprocamente. L'esegeta contemporaneo, Carlo M. Martini, rifletteva sull'importanza della fede come atto di abbandono e di fiducia nel Signore, evidenziando che la vera fede si manifesta nel momento in cui ci allontaniamo dalla nostra autosufficienza e ci affidiamo totalmente a Dio. La fiducia nel Signore diventa allora la chiave per accogliere la Sua grazia, sapendo che Egli non abbandona mai coloro che mettono la loro speranza in Lui.
In conclusione, la fede che salva è un invito a ciascuno di noi a riconoscere i nostri limiti e, consapevoli della nostra impotenza, a rispondere con fiducia all'amore di Dio. La richiesta di una fede più grande è una risposta alla chiamata ad una vita vissuta nell'abbandono a Dio, dove le opere di salvezza possono compiersi nella nostra esistenza e in quella delle persone che ci stanno attorno.
4. Una fede che diventa speranza
La fede è dono e responsabilità. È dono da implorare, come hanno fatto gli apostoli, e responsabilità da custodire e alimentare nella preghiera, nella vita sacramentale e nella carità vissuta ogni giorno. La fede, anche quando appare piccola e fragile, possiede una forza divina capace di trasformare la storia. Come afferma Gesù nel Vangelo di Matteo (Mt 17,20), "Se aveste fede quanto un granello di senape, direste a questo monte: 'Spostati da qui a là', ed esso si sposterà", evidenziando il potere che anche una fede minima può esercitare. Questa forza trasformativa della fede è centrale nella vita di ogni cristiano. È importante ricordare che la fede non è solo un atto intellettuale, ma un impegno attivo. Il teologo contemporaneo Enzo Bianchi sottolinea che "la fede non è solo vedersi riconosciuti dei diritti, è anche un compito, un dovere". Questo implica che ciascun credente è chiamato a vivere la propria fede in modo autentico, testimoniando la speranza e l'amore di Dio nel mondo.
Alla luce di ciò, la fede si trasforma in speranza. Non una speranza qualsiasi, ma una speranza radicata nella certezza che Dio è con noi e opera nella nostra vita. Karl Rahner affermava che "la speranza è una sfida incessante che ci muove a cercare sempre di più, come un allargamento del cuore che desidera il bene". Allo stesso modo, il salmista afferma: "Spera nel Signore; sii forte e coraggioso" (Sal 27,14), richiamando alla forza che la speranza ci dona nell'affrontare le difficoltà. Questa apertura della fede diventa lo spazio in cui Dio può operare. E così, anche noi, oggi, siamo invitati a ripetere con umiltà e fiducia: "Signore, aumenta la nostra fede!". Questa supplica è un riconoscimento della nostra vulnerabilità e, al contempo, un atto di fiducia nel potere di Dio di rinnovare la nostra vita. La fede, alimentata dalla preghiera e dalla comunità, si trasforma in una speranza concreta, capace di illuminare il buio delle incertezze e delle sfide quotidiane.
Di fronte ai problemi del mondo, dalla crisi sociale alle difficoltà personali, la fede ci invita a guardare oltre, ricordandoci che la nostra storia non è abbandonata alla casualità, ma è nelle mani di un Dio che ama e sostiene. È questa speranza fondata sulla fede che può ispirare i nostri gesti quotidiani, facendoci portatori di una luce che risplende nel buio e che annuncia il regno di Dio.
In conclusione, la nostra fede, lungi dall'essere un'esperienza isolata, è una chiamata a vivere una speranza attiva e condivisa, in grado di trasformare non solo le nostre vite, ma anche le vite di coloro che incontriamo. È proprio questo il grande dono della fede: la capacità di diventare generatori di speranza, non solo per noi stessi, ma per tutta l'umanità.
5. Una fede serva e umile
Ma la fede da sola non basta al fine di un rinnovamento personale e comunitario. Essa deve sempre essere suffragata, alimentata e fondata sull'umiltà. Su quella dimensione antropologica e teologica che permette al credente o a un gruppo di credenti in Gesù di essere consapevole di essere creature dinanzi al Creatore, deboli e fragili dinanzi all'unico e sommo Onnipotente, lasciare i segni del potere per abbracciare il potere dei segni come ci ricordava il venerabile don Tonino Bello. "Servi inutili" insomma. Questa verità trova profonda eco nelle parole stesse di Gesù: "Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: 'Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare'" (Lc 17,10). Tale affermazione sottolinea come la fede autentica si accompagni sempre a un atteggiamento di umiltà e servizio, senza pretese di ricompensa o riconoscimento. Sant'Agostino, riflettendo sul rapporto tra fede e umiltà, affermava: "La fede senza l'umiltà non è vera fede" (Enarrationes in Psalmos 131,6), ricordando che solo chi si riconosce piccolo davanti a Dio può realmente aprirsi alla Sua grazia.
Allo stesso modo, San Giovanni Crisostomo esortava i fedeli a non attribuirsi meriti: "Non vantarti per le tue opere, ma ringrazia Dio che ti ha dato la forza di compierle" (Omelia sul Vangelo di Matteo, 74,5). In questo senso, la fede che si fa umile riconosce la propria fragilità e si affida totalmente alla misericordia divina, come suggerisce anche san Paolo: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù… il quale, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso" (Fil 2,5-7). Infine, Papa Francesco ricordava che "l'umiltà è la porta di accesso a tutte le virtù e la fede cresce solo in un cuore umile, mai in un cuore orgoglioso" (Omelia, 1 novembre 2013). Così, la fede che si accompagna all'umiltà diventa davvero feconda e capace di generare segni di autentico rinnovamento nella vita personale e comunitaria, testimoniando la potenza di Dio che opera nei cuori semplici.
Vivere con umiltà rappresenta una delle sfide più grandi della vita cristiana, poiché l'orgoglio e la vanità tendono a manifestarsi spontaneamente nel cuore umano, spesso senza che ce ne rendiamo conto. Siamo portati a ricercare riconoscimenti, a desiderare di emergere agli occhi degli altri, mentre la vera grandezza secondo il Vangelo si trova nella semplicità e nella capacità di mettersi all'ultimo posto. Il Regno di Dio, infatti, non si fonda sulle grandezze esteriori, sugli onori o sui successi mondani, bensì su quella semplicità di cuore che accoglie la volontà di Dio senza pretese. Gesù stesso ci offre il suo esempio, dicendo: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Si tratta di un invito a rivolgere lo sguardo non verso noi stessi, ma verso Colui che si è fatto servo per amore, scegliendo la via dell'umiltà fino alla croce. L'umiltà di Cristo non è debolezza, bensì forza che trasforma e rinnova; è la scelta di chi, pur potendo, rinuncia all'affermazione personale per aprirsi all'amore autentico.
Sant'Agostino, in linea con questo insegnamento evangelico, ammonisce che, anche se una persona cresce e matura nel suo cammino spirituale, non deve mai dimenticare che ogni passo in avanti è frutto della grazia di Dio e non del proprio merito personale: «Per quanto uno avanzi nella vita spirituale, deve tenere sempre presente che tutto ciò che ha ricevuto è grazia» ("Sermoni", 117). Questo atteggiamento protegge dal rischio della superbia spirituale, che può insinuarsi anche tra coloro che si dedicano con fervore alla fede e alle opere buone. Il vero credente, consapevole della propria fragilità, si affida totalmente a Cristo, riconoscendo che senza di Lui nulla può compiere. San Paolo rafforza questa consapevolezza con parole incisive: «Che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto?» (1Cor 4,7). Tutto ciò che siamo e che abbiamo – dalla fede ai talenti, dagli affetti alle realizzazioni – è dono gratuito, ricevuto dalla generosità di Dio. L'umiltà autentica è allora riconoscere la nostra dipendenza radicale dalla grazia divina, accettare che ogni bene ci viene concesso non per i nostri meriti, ma per la misericordia di Dio.
Anche le opere più nobili, i gesti di carità e il fervore della preghiera, non ci pongono in una posizione privilegiata davanti a Dio, ma ci ricordano che, in fin dei conti, compiamo semplicemente ciò che ci è richiesto come discepoli. Non si tratta di accumulare meriti per vantarsene, ma di vivere il quotidiano con la consapevolezza di essere strumenti docili nelle mani del Creatore. Il poeta cristiano Charles Péguy, con la profondità della sua intuizione spirituale, ci ricorda che "non ci sono gradi nell'umiltà. C'è chi la conosce, e chi non la conosce". In altre parole, l'umiltà è una soglia interiore che apre o chiude il cuore all'azione di Dio: solo chi la conosce e la coltiva può davvero lasciarsi trasformare dalla grazia, diventando testimone credibile della misericordia e dell'amore divino nel mondo. Scegliere l'umiltà, quindi, significa accogliere la logica del Vangelo, far spazio a Dio nella propria vita e permettere che sia la sua potenza, e non la nostra, a operare meraviglie attraverso le nostre fragilità.
Gesù, attraverso l'esempio dello schiavo – figura che nel suo tempo non aveva diritti e viveva solo per obbedire al padrone – intende trasmettere un insegnamento profondo sull'abnegazione e sul distacco all'interno della vita comunitaria. "Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17,10). Di fronte a Dio, ci scopriamo come quello schiavo: la fede autentica comporta un ascolto radicale della sua Parola e una disponibilità totale a lasciarsi trasformare dalla sua volontà, senza frapporre resistenze. Come ammonisce Gesù: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7,21). La vera fede, dunque, consiste nel permettere a Dio di operare attraverso di noi, senza pretendere che Egli si pieghi ai nostri desideri.
Questo principio si manifesta chiaramente nella parabola del servo che, dopo una lunga giornata di lavoro, torna a casa e non si aspetta alcuna ricompensa. L'espressione "siamo servi inutili" non va fraintesa come un disprezzo della dignità umana, ma come il riconoscimento che il servizio non si aggiunge all'essere umano come un merito accessorio, bensì ne costituisce l'essenza stessa. Come afferma Dietrich Bonhoeffer: "L'uomo trova la sua vera libertà solo nel servizio a Dio e al prossimo" (Il prezzo della grazia), sottolineando che il servire è inscritto nella natura della creatura, chiamata a rispondere al progetto divino.
Chi vive la propria esistenza come servitore non fa altro che realizzare il disegno originario di Dio su di lui. Sant'Agostino ribadisce: "Dio, che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te" (Sermo 169,13), invitando a una collaborazione umile e consapevole con la grazia. Da qui deriva che non è necessaria una ricompensa: il servizio reso non è motivo di rivendicazione, ma risposta all'amore gratuito di Dio. Papa Benedetto XVI, in sintonia con questa visione, afferma: "L'umiltà è la vera grandezza dell'uomo e la sua forza, perché lo apre all'azione di Dio" (Omelia, 1 novembre 2012).
Infine, tutto ciò che siamo e abbiamo, non lo abbiamo meritato: "Che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto?" (1Cor 4,7), ricorda san Paolo. Viviamo grazie all'amore gratuito e preveniente di Dio, e il nostro servire è semplicemente la risposta naturale e gioiosa a questo dono immeritato.
Preghiera
Vergine Maria,
tu che all'annuncio dell'Angelo
ti sei proclama serva del Signore,
e lo sei stata per tutta la tua vita
fin sotto la croce di tuo Figlio Gesù,
irradia la tua umiltà ineffabile nei nostri cuori
affinchè possiamo lavorare presso il Padre nostro celeste
nella sua Santa Chiesa e nel mondo,
con un servizio amorevole e totalmente gratuito.
