IL VERO TESORO DEL CUORE: LA SPERANZA

09.08.2025

DOMENICA 10 AGOSTO 2025

XIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

Anche voi tenetevi pronti (Lc 12,32-48)


Sulla scia del Vangelo di domenica scorsa, anche oggi Gesù insiste sul tema "povertà – libertà in spirito". Non desidera che i suoi discepoli siano attratti, e poi imprigionati, dai beni della terra. Essi sono il suo piccolo gregge: scelto, amato e costituito dall'eternità per essere il popolo della Nuova Alleanza. Per questo motivo, non devono fare del denaro, del potere o del successo lo scopo della loro vita. Il loro statuto perenne è la piena e completa libertà dalle cose di questo mondo, affinché possano condividerle con i fratelli più poveri.

Questa è la prima norma della nuova legislazione che Cristo Signore proclama sul monte delle Beatitudini: «Beati i poveri in spirito» (Mt 5,3), ben diversa dal pauperismo, che rappresenta un'estremizzazione ideologica della povertà evangelica. Il piccolo gregge deve assicurarsi un grande tesoro nel cielo, dove nulla è corruttibile ed eterno, e dove né ladro può arrivare a rubare né tarlo può distruggere (cf. Mt 6,20). Ogni bene che possediamo, anche se frutto del sacrificio del nostro lavoro, è sempre un dono elargito dalla bontà dell'Onnipotente e, in proporzione, va spezzato alla mensa dei poveri.

In questo contesto di libertà e povertà, sorge in noi la chiamata a vivere nella speranza, una speranza che si nutre della certezza della venuta del Signore. Come ci ricorda San Paolo ai Romani: «Noi siamo stati salvati dalla speranza; ora la speranza che si vede non è speranza; ciò che si vede infatti non è speranza» (Rm 8,24). Essere vigilanti nella speranza significa guardare oltre le apparenze e le preoccupazioni quotidiane, ancorandoci alla promessa divina. La speranza ci libera dalle ansie, consentendoci di vivere con gioia e serenità anche nella precarietà.

Sant'Ireneo di Lione affermava che la speranza è «una luce che precede i nostri passi», indirizzandoci verso ciò che è duraturo e autentico: l'amore e la verità di Dio. San Tommaso d'Aquino sottolinea che la speranza è una virtù teologale, che ci spinge a confidare nella grazia di Dio per conseguire la vita eterna. La sua definizione la presenta come un'attesa attiva, che deve ispirarci azioni significative nella nostra vita quotidiana. Inoltre, San Giovanni della Croce ci ricorda che «la speranza è una nave ben costruita e munita, che ci trasporta attraverso le tempeste della vita verso il porto della salvezza». Vivere nella speranza implica una responsabilità: non solo attendiamo il Signore, ma ci impegniamo attivamente per fargli spazio nel nostro cuore e nella nostra vita, affinché egli possa venire a trovarci senza ostacoli. In questo movimento di attesa e di azione, la nostra povertà diventa ricchezza, la nostra libertà si trasforma in un servizio di amore verso il prossimo, e la nostra speranza si realizza nel quotidiano farsi del bene.

Karl Rahner diceva che la speranza è la forma suprema della libertà dell'uomo, poiché non è mai prigioniera delle circostanze. Dunque, anche nel dolore e nella difficoltà, possiamo scegliere di sperare, proprio perché confidiamo nella promesse divine. In questo modo, possiamo prepararci a ricevere alla meglio colui che viene, fiduciosi che la nostra vigilanza e la libertà del cuore porteranno frutti abbondanti sulla via della santità. Ogni atto di condivisione, di tenerezza e di carità rappresenta un capitale immenso che noi versiamo nelle "banche celesti". Come ha affermato il teologo contemporaneo Christoph Cardozo: «La vera ricchezza si trova nel dare, non nel ricevere». Questa verità risuona nel cuore del messaggio cristiano: le nostre azioni di amore e generosità non solo arricchiscono gli altri, ma ci avvicinano a Dio, conformando il nostro cuore all'immensa bontà divina.

Il nostro cuore sarà tanto più distaccato dai tesori terreni quanto più sarà elevato verso il cielo. Se resta inchiodato alla terra, tornerà terra: polvere agitata dal vento e dispersa. Se sarà rivolto al cielo, ritroveremo noi stessi in cielo. Come afferma San Tommaso d'Aquino, «ciò che è orientato verso Dio è immortale e perpetuo», suggerendoci che una vita spesa per il bene è una vita che partecipa all'eternità. Gesù ci avverte riguardo al giorno e all'ora in cui verrà: saremo colti di sorpresa, senza preavviso. Quando ci sarà questo incontro definitivo con lo Sposo celeste, Egli vorrà trovarci liberi dalle cose di questo mondo e colmi della luce della fede, dello splendore della carità e della certezza della speranza. In questo contesto, Sant'Ireneo di Lione ci ricorda che la nostra vita è un viaggio verso la comunione con Dio: «L'uomo è la gloria di Dio; e la gloria di Dio è l'uomo vivente».

Pertanto, il nostro investimento in carità e generosità riflette la vita stessa di Dio in noi.

Come ha detto Papa Francesco: «Non possiamo sprecare la nostra vita in cose superflue, ma dobbiamo investirla in ciò che conta». Queste parole ci sfidano a riflettere su ciò che realmente conta nella nostra vita: il servizio, l'amore e la disponibilità verso gli altri. Infatti, San Giovanni della Croce afferma che «nella notte oscura della vita, la speranza è una luce che ci guidano»; questa luce di speranza è alimentata dalle nostre azioni di carità, alle quali siamo chiamati a dedicare il nostro tempo e le nostre energie. Prepararci a questa venuta richiede uno stato di continua vigilanza e un cuore aperto alla grazia divina. Come ci esorta San Paolo, dobbiamo perseverare nella fede e nell'amore, facendo del bene «nella speranza di raccogliere il frutto» (Gal 6,9). Così facendo, ci predisponiamo ad essere trovati pronti nell'ora dell'incontro con il Signore.

Il Signore ha bisogno di noi come amministratori saggi e fedeli delle cose del Padre suo, così come chiamò il popolo d'Israele dalla schiavitù egiziana a diventare custode della sua potente rivelazione e liberazione. La notte del castigo dei primogeniti in Egitto segnò la glorificazione dei figli d'Israele che, prima di partire verso la libertà, celebrarono la Pasqua del Signore. Questa celebrazione sancì la costituzione del popolo eletto di Dio: Israele. Discendenti dei santi patriarchi, essi si misero in cammino verso la Terra Promessa, figura di un'altra terra: quella costituita da Cristo e rivelata nell'Apocalisse come la Città Santa, la nuova Gerusalemme celeste, dove gli amministratori saggi, liberi e poveri in spirito godono eternamente alla luce dell'Agnello immolato.

È fondamentale comprendere che la nostra missione di amministratori è sostenuta dalla grazia divina. San Paolo ci ricorda: «Ogni buona azione e ogni dono perfetto scendono dall'alto, dal Padre della Luce» (Giac 1,17), enfatizzando che è Dio stesso a fornire gli strumenti necessari per realizzare la nostra vocazione. Siamo chiamati a gestire non solo i beni materiali, ma anche le risorse spirituali e le capacità che ci sono state affidate, per edificare la comunità e riflettere l'amore di Cristo nel mondo. La nostra responsabilità si traduce in un invito a viverla con gioia e generosità. Papa Leone XIV afferma che «ogni atto di virtù compiuto nella libertà di spirito è un atto che glorifica Dio e contribuisce al bene comune». Questa libertà, che ci preserva dalle catene del materialismo e dell'indifferenza, ci permette di compiere scelte che riflettono l'amore e la giustizia divina.

In questo senso, la Pasqua celebrata dagli israeliti è una figura profetica della Pasqua di Cristo, la liberazione definitiva dal peccato, che noi celebriamo con la Speranza della Resurrezione. San Giovanni Paolo II ci esorta a vivere ogni giorno come un'opportunità per sperimentare questa libertà e generosità, affinché possiamo essere strumenti di pace e giustizia nel mondo. Preparandoci a questo incontro con il Signore, è necessario ricordare che ogni passo che facciamo verso la terra promessa riflette il nostro impegno nella fede. Come ci ricorda l'Apocalisse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5), ci invita a credere che la nostra dedizione quotidiana in qualità di amministratori delle cose di Dio contribuisce alla costruzione della nuova Gerusalemme, dove saremo chiamati a vivere in comunione eterna con Lui.

Però occorre la fede: dono gratuito di Dio e impegno dell'uomo, sulla scia dei padri, per essere buoni amministratori dei tesori divini. Come ricorda la Lettera agli Ebrei: «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (Eb 11,1). Questa definizione ci invita a riflettere sul significato profondo della fede come radice della nostra esistenza cristiana. Essa non è passiva, ma attiva, spingendoci a vivere in attesa delle promesse di Dio.

Tutti i giusti del Primo Testamento agirono compiendo la volontà di Dio e attendendo le sue promesse d'amore. La libertà del cuore è condizione necessaria per tendere non solo alla piena realizzazione di sé secondo il cuore di Dio (santità), ma anche per il raggiungimento del Regno del Padre celeste. L'orizzonte ultimo del cristiano deve essere il cielo, e solo il cielo: ciò implica attenzione, accortezza, prudenza e leggerezza nell'uso delle realtà temporali. San Bernardo sottolinea che «la vera libertà è vivere secondo la verità e la giustizia», ribadendo che la nostra libertà è realmente autentica quando è guidata dalla carità.

Il cristiano è colui che ha sempre pronta la valigia, carica d'amore e di frutti di carità, per farsi trovare pronto e vigilante all'incontro con il Signore. In questo, siamo chiamati ad essere anche custodi dei doni ricevuti, avendo cura di non disperderli. Ben nota è l'affermazione di San Giovanni della Croce: «Alla sera della vita saremo giudicati sull'amore». Questo richiamo esige che il nostro tramonto esistenziale sia colmo di speranza e di carità, passaporti necessari per il cielo.

Su questa terra, dobbiamo vivere da custodi di ciò che non è nostro ma ci è stato affidato: la volontà di Dio, manifestata attraverso la sua Parola e nella sua Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Come estensione di questa responsabilità, Papa Leone XIV ci ricorda che «i doni ricevuti da Dio devono essere utilizzati per la sua gloria e per il bene del prossimo», un richiamo a vivere una vita dedita al servizio degli altri.

La mancanza di vigilanza porta all'indolenza, all'ignavia e al torpore spirituale, facendoci perdere l'orizzonte della nostra chiamata. In questo contesto, è essenziale che la nostra preghiera e meditazione quotidiana ci ricolleghino continuamente alla fonte della nostra speranza, affinché possiamo sempre rimanere stati impegnati nella nostra missione di amministratori fedeli. Come recita un prefazio del Tempo di Avvento: «Cristo Gesù venne nell'umiltà della natura umana e tornerà glorioso nella gloria degli angeli e dei santi», quando tutta la storia e l'umanità saranno sottoposte al giudizio universale nella Parusia. Fino ad allora, il Signore viene in ogni tempo e in ogni uomo, perché possiamo riconoscerlo, accoglierlo e amarlo.

Il teologo Henri de Lubac ricorda che «la vita cristiana si compie nel continuo riconoscere e accogliere Cristo in tutto e in tutti». Questa affermazione sottolinea l'importanza della vigilanza nella nostra vita quotidiana, essenziale per rimanere fedeli alla missione di amministratori dei misteri di Dio. Come ci esorta San Paolo: «Non dimenticate di fare del bene e di condividere con altri, perché di questi sacrifici Dio si compiace» (Eb 13,16). La nostra attenzione nella ricerca di Cristo ci porta a sperimentare la sua presenza nell'ordinarietà della vita.

La nostra esistenza, come quella della Chiesa, è un viaggio verso l'Eterno. Tutta la vita deve essere orientata al giorno in cui Cristo Gesù, Signore del tempo e della storia, verrà a visitarci in modo definitivo, sia attraverso la morte, sia nella sua venuta gloriosa. Ci è richiesta un'attesa attiva e collaborativa, colma di misericordia, fedeltà, vigilanza e santità.

Ogni giorno può essere quello dell'incontro con Lui. Come ci ricordava Papa Francesco, «ciò che conta è vivere questa attesa nella gioia e nella speranza, sapendo che il Signore ci incontra nel nostro quotidiano». Il cristiano non spreca il tempo che il Signore gli dona, ma lo riempie di senso, animandolo di fede, amore e speranza, e seminando queste virtù nel mondo, nelle comunità e nei cuori. In questo senso, Santa Teresa di Avila ci insegna che «chi prega con fede, speranza e amore mai resta deluso», evidenziando il nostro ruolo di testimoni viventi della presenza di Cristo nel mondo. In questo cammino di fede, vigilanza e attesa, siamo chiamati a essere fari di luce e di speranza, non solo per noi stessi, ma anche per coloro che ci circondano. Ogni nostra azione e intenzione, radicate nella fede, contribuiscono a costruire il Regno di Dio già in questo mondo, rendendoci partecipi della sua grazia e del suo amore.

A questo punto si impone una valutazione sincera e responsabile: qual è il mio vero tesoro? Qual è la mia ultima ragione di vita? Credo che Gesù sia la mia ricchezza? Dove sta il nostro tesoro, lì sarà anche il nostro cuore. Se il tesoro è Cristo, il cuore sarà con Lui; se è altrove, comprometteremo l'intera esistenza, qui e nell'eternità. Queste domande ci sfidano a una profonda introspezione. Non abbiamo altro tempo che questo per amare, credere e sperare nella venuta del Signore, che — come ricorda l'evangelista Luca — verrà come un ladro (cf. Lc 12,39). È un richiamo a una vigilanza costante, ad essere pronti per quell'incontro che cambierà ogni cosa. Santa Teresa di Lisieux ci insegna che «la fede è un abbandono in Dio». Così, abbandonandoci a Lui e ponendo il nostro tesoro in Cristo, ci dissociamo dagli attaccamenti terreni che ci allontanano dalla vera gioia. La nostra vita trova compimento nell'amore e nel servizio, partecipando attivamente alla costruzione del Regno di Dio.

Vergine Maria, Madre povera e libera, tu che hai fatto di ogni parola uscita dalla bocca di Dio l'unico tesoro della tua vita, insegnaci a essere poveri in spirito per il Regno dei cieli. Il tuo esempio di umiltà e di amore ci guida verso una vita autentica, in cui possiamo spezzare il nostro pane con l'affamato e donare la nostra acqua all'assetato. Così, alla fine del nostro viaggio terreno, troveremo il nostro cuore accanto al tuo e a quello di tuo Figlio Gesù. 

don Nicola De Luca