IL VANGELO COME TORRE DI SPERANZA

DOMENICA 07 SETTEMBRE 2025
XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C
Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro (Lc 14, 25-33)
Passeggiando nei nostri paesi, spesso ci imbattiamo in edifici mai completati, scheletri di cemento che deturpano il paesaggio. Ogni volta che vediamo queste strutture incompiute, ci chiediamo come sia possibile che sono stati spesi tanti soldi e impegno, ma l'opera sia rimasta ferma. Questo stesso interrogativo si riflette nella nostra vita di fede, un cantiere aperto che richiede costante dedizione.
Nel brano di Luca 14, 25-33, Gesù ci invita a considerarne il costo. L'evangelista scrive: "Molte persone andavano con lui". Qui vediamo come la folla si accalchi attorno a Gesù, attratta da un'insegnamento che promette speranza e liberazione. Ma a differenza di tanti leader contemporanei, che cercano consenso promettendo felicità facili, Gesù non si lascia sedurre dai numeri. Egli è chiaro: seguire Lui costa sacrificio, impegno e rinuncia.
Gesù ci esorta a "portare la propria croce" (Lc 14,27), un'immagine potente che ci chiama a riflettere sulla serietà del discepolato. Non è sufficiente iniziare un percorso; è fondamentale portarlo a termine. Quante volte nella nostra vita ci lasciamo prendere da una fede superficiale, impegnandoci solo parzialmente? La fede non è un accessorio occasionale, ma un impegno totale che offre significato e scopo alla nostra esistenza.
In questo contesto, l'apostolo Paolo, nella lettera ai Filippesi (3,8-9), esprime il suo desiderio di considerare ogni cosa come una perdita di fronte all'inestimabile valore della conoscenza di Cristo. A questa chiamata si oppone una società che spesso predica un messaggio opposto, promettendo felicità immediata ma di breve durata. Tuttavia, la vera gioia e la vera realizzazione si trovano solo nel dare completamente la propria vita per amore del Signore.
I Padri della Chiesa, come Sant'Agostino e Origene, ci hanno invitato a riflettere sull'importanza di questo sacrificio. Agostino afferma: "Tu ci hai creati per Te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te," sottolineando come la nostra anima brama una relazione autentica con Dio. Da parte sua, Origene ci ammonisce che chi desidera seguire Cristo deve essere disposto a rinunciare a ciò che lo tiene legato al mondo.
In questa Domenica, siamo invitati a guardare alla nostra vita di fede come a un'opera in costruzione. Non basta avviare i lavori; dobbiamo essere pronti a portarla a termine. Ciò richiede una riflessione seria: stiamo davvero investendo nella nostra relazione con Dio? Stiamo dando spazio alla nostra crescita spirituale, o siamo in pericolo di lasciare la nostra vita spirituale incompiuta?
La chiamata di Gesù ci invita a non essere cristiani "a metà". La vera sfida è quella di costruire una vita che testimoni il nostro impegno. Infine, rimanere nella sua presenza è l'unico modo per garantire che l'opera iniziata non resti un cantiere abbandonato, ma si trasformi in un'accogliente dimora per noi e gli altri.
Nel Vangelo di oggi, Gesù presenta quattro aspetti chiave della fede: amore, croce, rinuncia e perseveranza. Tra le condizioni radicali per seguirlo, la prima è amare Gesù più dei propri cari e persino di sé stessi. Questo non significa togliere affetti, ma aggiungere un amore ancora più grande." cf. Ermes Ronchi
1. L'amore che ordina ogni altro amore
Nel Vangelo di Luca, Gesù esprime una delle sue richieste più sorprendenti: "Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, madre, moglie, figli, fratelli e Sorelle e la vita stessa… non può essere mio discepolo" (Lc 14,26). A prima vista, queste parole possono sembrare dure e difficili da accettare. Il senso profondo di queste parole di Gesù non sta nel chiedere una rinuncia affettiva o un allontanamento dai propri cari, ma nell'invitare a ordinare le priorità del cuore. Secondo la nuova traduzione, Gesù afferma: "Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, madre, moglie, figli, fratelli, sorelle, e la propria vita, non può essere mio discepolo." Non si tratta quindi di amare meno la propria famiglia, ma di riconoscere che l'amore per Gesù deve essere il centro che dona luce e senso a tutti gli altri amori. Solo così, mettendo Cristo al primo posto, ogni affetto e ogni relazione trova la sua vera pienezza e armonia, senza essere sacrificato, ma anzi elevato e reso ancora più autentico. L'amore per Dio deve precedere e ordinare tutti gli altri affetti nella nostra vita.
Quando Dio è al centro, i nostri affetti umani trovano la loro giusta collocazione. È attraverso questo amore primario che diventiamo capaci di amare gli altri in modo autentico e profondo. San Tommaso d'Aquino, nella sua Summa Theologica, afferma che l'amore è "un movimento dell'appetito verso il bene". Amare Dio prima di tutto ci permette allora di riconoscere il vero bene in tutte le nostre relazioni, promuovendo un amore che non è diminuitivo, ma che si arricchisce e si espande. Amare meglio, non meno.
Questo ci porta all'idea dell' "ordine dell'amore". L'invito di Gesù non è quello di amar meno i nostri cari, ma di amarli meglio, in modo che l'amore per Dio diventi la luce che illumina tutte le nostre relazioni. Quando consideriamo Dio al primo posto, i nostri affetti umani vengono liberati da attaccamenti malsani e da aspettative eccessive.
Papa Benedetto XVI, nella sua enciclica Deus Caritas Est, sottolineava che "l'amore di Dio non annulla l'amore umano, ma lo purifica e lo porta a compimento". Qui possiamo vedere come l'amore per Dio non sia contraddittorio rispetto ai nostri legami umani, ma lo elevi a una dimensione più alta. L'amore diventa così un'azione che riflette il suo autore e ci guida verso una vita di maggiore pienezza e autenticità.
In questo modo, siamo chiamati a testimoniare un amore che non si limita a soddisfare i bisogni immediati, ma che si fa carico dei desideri più profondi. Prendere coscienza di questa gerarchia nell'amore ci aiuta a orientarci nel caos della vita quotidiana, ricordandoci che ogni relazione può diventare un'occasione per vivere e manifestare l'amore divino.
In questa Domenica, quindi, siamo invitati a riflettere su come l'ordine dell'amore possa trasformare le nostre vite. Mettere Dio al primo posto ci consente di amare tutti gli altri senza compromessi. L'invito di Gesù ci sfida a rivedere le nostre priorità e a ricercare un amore che sia autentico, profondo e, soprattutto, che porti alla luce il volto di Dio nel mondo. Così facendo, non solo onoriamo i nostri cari, ma costruiamo una comunità di amori ordinati e redentivi, che riflettono l'immagine del Creatore.
2. La croce, dolce giogo che salva
Nel Vangelo di Luca, Gesù afferma: "Chi non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo" (Lc 14,27). Questa affermazione ci confronta con la realtà della croce, che non è solo il simbolo della sofferenza, ma rappresenta anche una vita vissuta alla luce del Vangelo. È un'invito a prendere consapevolezza che la sequela di Cristo può richiedere sacrifici e impegno. San Giovanni Crisostomo, uno dei grandi Dottori della Chiesa, scriveva: "La croce non è un giogo che opprime, ma un trono che innalza." Questa visione trasforma la croce da un fardello pesante a un simbolo di dignità e grandezza. La croce invita a riconsiderare le nostre sofferenze e le nostre difficoltà non come fine a se stesse, ma come strumenti di salvezza e di crescita spirituale.
La croce ci ricorda che l'amore vero è esigente. Non seguiamo Cristo per convenienza o per soddisfare un interesse personale, ma per amore, un amore che richiede un abbandono e una totale dedizione. In effetti, nel suo profondo atto di amore, Cristo ha abbracciato la croce per la nostra salvezza, invitandoci a fare altrettanto. Questo amore non solo ci trasforma, ma ha anche il potere di trasfigurare il dolore in speranza. San Paolo, nella sua lettera ai Romani (5,3-5), scrive: "E non solo questo, ma ci gloriamo anche delle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata, e la virtù provata speranza."
Questo passaggio ci mostra come le difficoltà, quando affrontate con fede, possano condurci a una maggiore intimità con Dio e a una speranza che non delude. In questo contesto, siamo chiamati a vedere la nostra croce non come un semplice peso da portare, ma come un'opportunità per avvicinarci a Cristo, per conoscere più a fondo il significato della sua passione e per partecipare in qualche modo alla sua opera redentiva. Ricordo ancora le parole di una mistica che asseriva: "la croce di Gesù è una croce d'amore."
Così, nella nostra vita, portare la croce diventa un cammino di trasformazione personale. Ogni momento di sofferenza, ogni sacrificio e ogni perdita ci danno l'opportunità di rimanere fedeli al nostro impegno di discepoli. La croce è un invito a riconoscere che, attraverso l'amore esigente e generoso, possiamo scoprire una vita piena e autentica. Il vero discepolato richiede il coraggio di abbracciare la croce, ma porta con sé una gioia e una pace che trascendono la semplice comprensione umana. Questo cammino non è privo di difficoltà, ma è percorso insieme a Cristo, che ha promesso di non abbandonarci mai.
3. La rinuncia, libertà che fa volare
Nel Vangelo di Luca, Gesù proclama: "Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo" (Lc 14,33). Questa affermazione, sebbene possa sembrare severa, ci invita a considerare ciò che significa realmente la rinuncia. Non si tratta di abbandonare tutto nel senso materiale, ma piuttosto di imparare a vivere con una libertà interiore che ci permette di trovare il nostro autentico valore in Dio. Sant'Ambrogio affermava saggiamente: "Non i beni sono un male, ma l'essere prigionieri di essi." Questa citazione mette in evidenza come la vera schiavitù risieda nell'attaccamento eccessivo ai beni materiali, piuttosto che nei beni stessi. La rinuncia diventa allora un atto di liberazione, un modo per staccare i legami che ci impediscono di seguire pienamente Cristo.
Non dobbiamo dimenticare che ciò che possediamo non deve possederci, e liberarcene ci spinge verso una vita più autentica. Karl Rahner scrive: "Il cristiano è l'uomo che può rinunciare, perché ha trovato in Dio la pienezza del suo cuore." Qui viene sottolineato il paradosso della rinuncia: mentre sembra richiedere un sacrificio, in realtà ci offre la possibilità di sperimentare una libertà straordinaria. Quando ci svuotiamo di ciò che non è necessario, facciamo spazio a una pienezza che proviene da Dio, una gioia e una soddisfazione che superano qualsiasi bene materiale. Rinunciare non significa impoverirsi, ma alleggerirsi. Come un alpinista che elimina il peso superfluo per affrontare meglio la scalata, così noi siamo chiamati a liberarci dagli eccessi e a concentrarci su ciò che è davvero essenziale.
La rinuncia diventa una forma di disciplina, un esercizio che ci consente di crescere spiritualmente e di concentrarci su ciò che conta veramente. Questa libertà interiore ci permette anche di essere più disponibili per gli altri. Quando non siamo schiavi delle nostre necessità materiali, diventiamo più aperti alla generosità, più disposti ad aiutare e a condividere. La vera ricchezza è quella che si esprime nella comunità, nella capacità di dare e ricevere amore senza riserve. La rinuncia ci invita a un cammino di libertà, dove il nostro cuore viene alleggerito dal peso delle preoccupazioni e delle dipendenze. Essere discepoli di Cristo significa imparare a rinunciare, non per impoverirci, ma per arricchirci di una vita in pienezza, colma della presenza di Dio. In questo modo, la rinuncia diventa il volo dell'anima verso l'alto, un'apertura a esperienze di amore e grazia che ci trasformano e ci rendono capaci di un amore più grande.
4. La perseveranza, la fedeltà che compie
Ogni costruzione rimane incompiuta senza perseveranza. Gesù è chiaro: non conta soltanto iniziare, ma anche concludere. Egli afferma: "Chi persevererà sino alla fine sarà salvato" (Mt 24,13). Queste parole ci ricordano che la fede non è un momento passeggero di entusiasmo, ma un cammino di dedizione costante.
San Gregorio Magno mette in evidenza questa verità quando dice: "Non basta cominciare il bene, se non lo si porta a termine." Questo ci invita a riflettere sull'importanza della fedeltà quotidiana, nelle piccole e grandi cose, poiché è proprio questa fedeltà a trasformare la nostra vita in un'opera compiuta. La sequela di Cristo richiede un impegno continuo, una creazione che si realizza giorno dopo giorno, pietra dopo pietra.
La vita cristiana non è una corsa breve, ma una maratona che dura tutta la vita. San Paolo, al termine della sua missione, può esclamare con gioia: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede" (2Tm 4,7). Questa professione di fede e di perseveranza è un esempio luminoso di un'opera compiuta, la "torre" della fede che non crolla di fronte alle tempeste della vita. Tutto ciò è reso possible da un cuore sapiente capace di abbracciare i pensieri di Dio con umiltà. Questo pensiero si trova nella prima lettura: la Sapienza di Dio permette all'uomo di superare i propri limiti e comprendere la sua volontà. Tuttavia, senza il dono della sapienza e della grazia divina, l'essere umano non può capire ciò che è bene per la sua vita. Spesso, chi non cerca di conoscere la volontà del Signore lo fa per indifferenza o perché teme che sia diversa dai propri desideri.
La figura di Maria, madre di Gesù, ci offre un modello sublime di perseveranza. In lei, l'amore per Dio ha avuto il primo posto. Ha portato la croce, rimanendo sotto quella del Figlio, accettando la sofferenza con coraggio e fede. Maria ha rinunciato ai propri progetti per accogliere i piani di Dio, mostrando che la vera grandezza sta nel lasciarci guidare dalla volontà divina. Ha perseverato fino alla fine, custodendo tutto nel suo cuore, e così è diventata il prototipo dell'autentico discepolo.
La Vergine Maria è la "torre della fede" che non crolla, l'immagine di un'opera compiuta. In un mondo spesso incerto e instabile, possiamo trovare in lei un rifugio sicuro e un esempio a cui ispirarci. A lei affidiamo la nostra vita, mentre ci impegniamo a non essere cristiani incompiuti. Chiediamo il suo aiuto affinché possiamo portare a termine la costruzione che il Signore ha iniziato in noi. Ricordiamo che ogni cammino di fede è un atto di perseveranza, una testimonianza quotidiana di amore, croce e rinuncia, che ci porta a vivere in pienezza la grazia del nostro Dio.
don Nicola De Luca
