I TEMPI MESSIANICI: TRA ATTESA, GIOIA E SPERANZA DI SALVEZZA

13.12.2025

DOMENICA 14 DICEMBRE 2025

III DOMENICA DI AVVENTO – "IN GAUDETE"

Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro? Mt 11, 2-11


Introduzione

Questa III domenica di Avvento si apre con un'esortazione forte alla gioia: non a caso, infatti, è chiamata liturgicamente anche domenica "in Gaudéte", dal latino "Rallegratevi". Le parole dell'antifona d'ingresso, tratte dalla Lettera di San Paolo ai Filippesi, risuonano come un invito pressante e attuale: "Gaudete in Domino semper: iterum dico, gaudete. Dominus enim prope est." – "Rallegratevi sempre nel Signore; ve lo ripeto: rallegratevi! Il Signore è vicino." Tuttavia, questa gioia non va confusa con un'allegria superficiale o passeggera, né tantomeno con quella che i tedeschi definiscono Schadenfreude, cioè il piacere maligno per le disgrazie altrui. Al contrario, la gioia autentica della quale parla la liturgia è un dono profondo che Dio offre al cuore di chi lo attende con fiducia, a chi sa accogliere con speranza la promessa della salvezza. È una gioia che nasce dall'incontro con il Signore, una gioia che non si lascia turbare dalle difficoltà della vita quotidiana, perché affonda le sue radici nella certezza che Dio non abbandona mai il suo popolo.

In questa domenica, dunque, siamo invitati a vivere un'attesa gioiosa, ad aprire il cuore alla speranza e a lasciarci sorprendere dalla presenza di Dio che viene a salvarci. La gioia cristiana è la risposta di chi si fida, di chi sa che, anche tra le prove, la luce del Signore non manca mai. Possiamo allora fare nostre le parole di San Paolo: "Rallegratevi sempre nel Signore", sapendo che questa gioia è il segno più autentico della vicinanza di Dio nella nostra vita. Questa gioia è ben descritta e cantata nel celebre inno di Mons. Frisina, dove si sottolinea come la vera gioia scaturisca dalla pace interiore, sia un fuoco che riscalda e dà vita anche nei momenti più oscuri, e sia capace di illuminare il mondo intero. La vera gioia, infatti, non è fuga dalla realtà, ma luce che rischiara le tenebre, forza che sostiene nel cammino, certezza che il Signore è vicino e opera nel profondo di ciascuno di noi.

La vera gioia nasce nella pace,

la vera gioia non consuma il cuore,

è come fuoco con il suo calore

e dona vita quando il cuore muore;

la vera gioia costruisce il mondo

e porta luce nell'oscurità.

La vera gioia nasce dalla luce,

che splende viva in un cuore puro,

la verità sostiene la sua fiamma

perciò non teme ombra né menzogna,

la vera gioia libera il tuo cuore,

ti rende canto nella libertà.

La vera gioia vola sopra il mondo

ed il peccato non potrà fermarla,

le sue ali splendono di grazia,

dono di Cristo e della sua salvezza

e tutti unisce come in un abbraccio

e tutti ama nella carità.


1. I tempi messianici e la gioia che nasce dall'incontro con Cristo

È la gioia carica di speranza per la prossimità di Dio nella nostra storia. Quella che nasce dal Vangelo, dall'incontro con Cristo che ci trasforma la vita, dal dono di sé ai poveri della terra. Ce lo ricordava anni fa Papa Francesco: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che incontrano Gesù» (EG 1). Papa Francesco apre l'esortazione con una verità fondamentale: la gioia non è un sentimento passeggero, ma il frutto dell'incontro con Cristo vivo. È il καίρος (kairòs, tempo favorevole di salvezza) che diviene luogo teologico del divino scambio che ci ha redenti. I tempi messianici sono preannunciati dal profeta Isaia, che parla di un rallegramento cosmico, del creato e dell'umanità perché la gloria del Signore risplende su di esse. Un invito a prendere in mano il coraggio perché la salvezza messianica è ormai prossima. Tutto si compie in Cristo Gesù: rivelatore perfetto del Padre e unto con unzione di Spirito Santo proclama in parole e opere il più grande giubileo della speranza avvenuto nella storia. Quando lasciamo che Gesù tocchi la nostra storia, la nostra fede non è più un insieme di idee, ma diventa una sorgente che irriga l'intera esistenza. Come ci ricorda l'apostolo Paolo: «Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina».

Il Signore è venuto nell'umiltà e nella fragilità della natura umana; verrà nuovamente nella gloria per giudicare i vivi e i morti ricapitolando definitivamente tutto nel cuore del Padre suo. Come ricorda il prefazio: ora egli viene incontro a noi in ogni tempo e in ogni uomo per riconoscerlo, amarlo e servirlo nell'attesa della παρουσία (parousìa, venuta gloriosa). L'Avvento è il tempo forte che ci sprona a riconoscere e ad accogliere il Cristo che viene oggi, nelle pieghe e nelle piaghe della storia, nelle ferite dell'umanità. La gioia evangelica nasce dalla consapevolezza che siamo amati così come siamo, che la misericordia ci precede e ci ricrea. È un "sì" che Dio dice alla nostra vita; in ebraico כֵּן (ken, sì), segno di accoglienza e di alleanza. Come affermava sant'Agostino, «la nostra anima è inquieta finché non riposa in Te», indicando che la vera gioia e pace si trovano solo nell'incontro con Dio stesso (Confessioni, I,1).

In questa prospettiva, la gioia cristiana si radica nell'esperienza personale e profonda della presenza divina, che trasforma ogni inquietudine in speranza. Dal punto di vista teologico, Romano Guardini sottolinea che «la fede cresce dentro la realtà, non fuori di essa», suggerendo che la gioia che nasce dall'incontro con Cristo è sempre inserita nella concretezza della nostra vita, nei suoi limiti e nelle sue possibilità. Essa è dunque una gioia che abbraccia la realtà umana, la illumina e la trasfigura, perché fondata sulla certezza che Dio si fa vicino e ci accompagna nella storia.

2. Giovanni Battista in prigione: la domanda del cuore e il volto vero del Messia

Oltre a questo, la liturgia della Parola ci ripropone la figura del Battista che, come abbiamo visto nella scorsa domenica, è il battezzatore chiamato a purificare i peccati del popolo, il predicatore penitenziale e colui che prepara la via al Messia di Dio. Tuttavia, il brano odierno ci mette davanti a una scena sorprendente e profondamente umana. Giovanni, il precursore, colui che ha indicato Gesù come «Agnello di Dio», si trova ora in prigione, avvolto da una solitudine carica di incertezza e dubbio. La prova, talvolta, oscura perfino gli orizzonti che sembravano più limpidi. Non si tratta di incredulità, ma della domanda sincera di un cuore che cerca luce e verità. «Sei tu colui che deve venire, oppure dobbiamo attenderne un altro?» (Mt 11,3). Il testo evangelico utilizza la perifrasi messianica ὁ ἐρχόμενος (ho erchómenos, "Colui che viene"), espressione greca carica dell'attesa profetica, che traduce la speranza di Israele per il מָשִׁיחַ (mashiach, il Messia). Giovanni si chiede: è davvero lui il Veniente di Dio (ὁ ἐρχόμενος, ho erchómenos).

Ma la sua domanda nasce da un motivo preciso: il Messia che lui aveva annunciato non coincide con il Messia che ora vede all'opera. Giovanni aveva preannunciato un Messia forte, che avrebbe «separato il grano dalla pula» con il suo πνεῦμα (pneuma, soffio/vento/spirito) e avrebbe compiuto un giudizio purificatore (מִשְׁפָּט, mishpat, giudizio). E invece Gesù si presenta come un Messia mite, che guarisce, risolleva, perdona. È lo stile di Dio che sorprende: il suo מִשְׁפָּט (mishpat) non schiaccia, ma ristora; la sua giustizia è misericordia che ricrea, secondo la logica del חֶסֶד (chesed, fedeltà misericordiosa). Nella tradizione patristica, sant'Agostino interpreta questa domanda non come esitazione personale, ma come gesto pedagogico: «Giovanni non dubitò del Cristo, ma volle indirizzare i suoi discepoli verso il Maestro» (In Io. Ev. Tract.). È come se dicesse: «Andate da Lui, lasciatevi toccare dai suoi segni».

Gesù non risponde con ragionamenti astratti, ma con i fatti che compie: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, ai poveri è annunciata la buona notizia (cfr. Is 35; 61). Qui emerge il vero volto del Messia: Messia della compassione, non della forza; Messia che apre gli occhi e rialza le vite, non che impone timore. In termini biblici, Gesù manifesta il חֶסֶד (chesed, misericordia fedele) di Dio e la sua ἔλεος (éleos, misericordia in greco) che trasforma ciò che tocca. È la logica del Regno che ribalta gli schemi: Dio agisce tramite ciò che è piccolo (μικρός, mikròs), fragile, disarmato.

Subito dopo, Gesù compie un gesto che illumina tutto: non rimprovera Giovanni, ma lo loda davanti alla folla. È come dire che la santità non è assenza di domande, ma fedeltà che trova nel dubbio un'occasione per lasciarsi nuovamente visitare da Dio. Anche la teologia contemporanea ci ricorda questo respiro. Romano Guardini afferma che «la fede cresce dentro la realtà, non fuori di essa»: e la realtà, spesso, passa attraverso prigioni interiori ed esteriori che mettono alla prova. Karl Rahner, da parte sua, osserva che il credente è sempre un uomo che «cammina nella notte affidandosi a un Dio che viene» (ὁ ἐρχόμενος, ho erchómenos).

La crisi di Giovanni, allora, non è fragilità, ma luogo di rivelazione: attraverso la sua domanda si apre la possibilità di contemplare il vero volto del Messia, non quello immaginato dall'uomo, ma quello voluto dal Padre. E Giovanni ci offre una lezione preziosa: la fede che interroga è più viva della certezza che non si lascia mettere in discussione. Le nostre domande, quando nascono da un cuore onesto, ci avvicinano a Dio. E il Cristo, come allora, non risponde con teorie, ma con opere che parlano: guarisce, apre, consola, dà speranza e rende nuovo ciò che sembrava perduto.

3. La grandezza di Giovanni e il salto qualitativo del Regno

Quando un uomo o una donna sono ripieni di Spirito Santo, Dio opera in loro attraverso movimenti di autentica conversione – come avvenne per Giovanni nel deserto. Il giudizio che Gesù pronuncia su Giovanni è di una forza straordinaria: «Tra i nati da donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista» e subito dopo aggiunge: «Eppure il più piccolo nel Regno dei cieli è più grande di lui.» Questa affermazione non è una contraddizione, bensì rivela il salto qualitativo che si compie con Cristo. Giovanni rappresenta il massimo dell'Antica Alleanza; tuttavia, la grandezza del Regno inaugurato da Gesù appartiene a un ordine nuovo, totalmente gratuito, impossibile da meritare con le sole forze umane. Giovanni è il profeta dell'attesa. La sua missione è unica: egli prepara la strada e indica l'Agnello (in ebraico: שֶׂה הָאֱלֹהִים she ha-Elohim). Eppure Giovanni appartiene ancora al tempo in cui Dio si rivela attraverso promesse (ebraico: הַבְטָחוֹת havtachot), non nella pienezza del Figlio. Il testo biblico lo esprime con una sottile sfumatura: Giovanni è tra i "nati da donna", espressione che in ebraico suona יְלוּד אִשָּׁה yelud ishah, indicando la condizione umana nella sua fragilità. Il Cristo, invece, conduce l'umanità verso una nascita nuova, "dall'alto" – in greco: γεννηθῆναι ἄνωθεν gennethenai anothen – che appartiene allo Spirito (πνεῦμα pneuma).

Come afferma Gregorio Magno: «Giovanni è la voce che annuncia; Cristo è la Parola che compie.» La voce è grande, ma lo è ancor di più Colui che parla. Inoltre, poiché Gesù non si è ancora manifestato come giudice severo, così come Giovanni aveva annunciato, la sua domanda esprime probabilmente un dubbio riguardo a "Colui che deve venire". Gesù smonta ogni forma di religiosità fondata sul merito, sugli sforzi ascetici, sulle pratiche che cercano di "guadagnare" Dio. Il Regno è di chi accoglie il dono, non di chi lo pretende. Il termine che Gesù usa per "piccolo" indica colui che non può portare nulla, e proprio per questo riceve tutto. Il Regno è rivelazione dell'amore gratuito di Dio, della sua misericordia fedele e immeritata e della grazia che non misura, non calcola, non distribuisce premi, ma genera la vita nuova. Come afferma Paolo: «Tutto è dono della grazia» (cf. Ef 2,8). Per offrire una prospettiva teologica contemporanea, si può citare Hans Urs von Balthasar, che scrive: «Nel cristianesimo, la grazia non è semplicemente un aiuto per superare i limiti della natura umana, ma è la partecipazione stessa alla vita di Dio, che si dona totalmente e gratuitamente» (Gloria. Una estetica teologica). «Dio non ci ama perché siamo buoni, ma ci rende buoni perché ci ama.» (Karl Barth) Romano Guardini aggiunge: «Il Regno non è la somma dei nostri sforzi, ma la presenza del Dio che si dona.» Questa è l'affermazione decisiva. Il testo della riflessione insiste su Galati 4,4: «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna.»

Qui l'incarnazione viene presentata come la soglia del Regno. Chiunque accoglie Cristo non vive più solo della propria natura, ma entra nel dinamismo della vita filiale. In Filippesi 2,6-11 Paolo descrive Cristo che, pur essendo nella forma di Dio, assume la forma di servo. Chi entra nel Regno partecipa di questa forma: si fa servo, si umilia, vive il dono di sé. Per questo anche "il più piccolo" è grande: perché partecipa a ciò che Giovanni non aveva ancora visto nella sua pienezza – la morte e la risurrezione del Signore. Sant'Agostino lo sintetizza magistralmente: «Giovanni appartiene al limite: indica la soglia, ma non la oltrepassa. Nel Regno, invece, entriamo per grazia, non per merito.» Come ricorda anche Enzo Bianchi: «Il Regno di Dio non è una conquista, ma un dono che si accoglie nella povertà e nell'umiltà, nel lasciarsi amare da Dio oltre ogni nostro merito.»

4. Farsi piccoli: la via della grandezza nel Regno

Gesù stesso offre la chiave interpretativa di questa logica paradossale del Regno: "Chi si fa piccolo come un bambino è il più grande nel Regno dei cieli." (Mt 18,4) Il bambino non possiede nulla, non esibisce nulla, non conquista nulla: semplicemente accoglie, si apre con fiducia e semplicità. In questa attitudine si riflette l'essenza della grandezza nel Regno: chi si fa piccolo riceve ciò che l'essere umano, da solo, non potrà mai donarsi – la vita nuova dello Spirito (πνεῦμα pneûma), la comunione con il Padre, la partecipazione al Mistero del Figlio. Un antico Padre della Chiesa, San Gregorio di Nissa, esprime così questa logica dell'umiltà che apre al dono: «Colui che si abbassa fino alla piccolezza crescerà fino alla grandezza di Dio» (De Beatitudinibus, Hom. 1).

Questa affermazione sottolinea come la vera grandezza, nel pensiero patristico, sia radicata nella capacità di farsi piccoli e di accogliere la grazia divina. Rahner riassume tutto in una frase profondissima e spiazzante: "Il cristiano è colui che lascia Dio essere Dio nella propria vita." Anche la teologia attuale insiste su questa prospettiva di apertura radicale al dono. Ad esempio, Henri Nouwen scrive: «Solo chi si lascia amare senza condizioni può diventare canale dell'amore di Dio per gli altri.» (cf. The Return of the Prodigal Son, 1992) Questa consegna radicale di sé è la vera grandezza, che non si fonda sul merito personale ma sulla disponibilità ad accogliere il dono.

Giovanni è grande, perché con la sua vita tutta dedicata prepara la venuta del Messia, si fa voce che grida nel deserto, indica Colui che viene, si ritira perché cresca Lui. Ma il Regno, inaugurato da Cristo, porta un superamento inatteso: la grandezza ultima non si misura più dalla posizione o dalla missione, ma dalla capacità di ricevere, di lasciarsi riempire dalla grazia. Anche il più piccolo, se accoglie Cristo, partecipa alla vita del Figlio, alla sua misericordia (חֶסֶד ḥesed), alla sua grazia (χάρις charis), alla sua forma di servo (μορφὴ δούλου morphē doulou). La logica del Vangelo sovverte le gerarchie: la vera grandezza, nel Regno, è farsi piccoli, perché solo chi è piccolo può ricevere tutto. Non è la prestazione, ma l'apertura; non il titolo, ma il cuore che si lascia amare e trasformare. Giovanni indica la soglia, traccia il confine (ὅριον hòrion), è testimone e ponte tra le antiche promesse e la loro compiuta realizzazione; il discepolo, per grazia (χάρις charis), varca la soglia ed entra nella casa, accolto tra i figli, reso partecipe della stessa vita divina. In questo passaggio si compie il mistero della filiazione: l'umano, nella sua piccolezza, viene innalzato fino a condividere l'intimità del Figlio con il Padre.

Conclusione

Giovanni Battista emerge come figura di confine, ponte tra le antiche promesse e la loro piena manifestazione in Cristo. Riceve da Gesù due elogi che non solo ne esaltano la fermezza e la coerenza, ma lo consacrano come autentico profeta, immune dalle influenze e dalle seduzioni del potere terreno. Non è, secondo le parole di Gesù, "una canna agitata dal vento": la sua è una fedeltà incrollabile al progetto di Dio, vissuta con integrità e coraggio. Giovanni non si limita ad annunciare la Parola, ma la incarna nella sua carne, la rende vita vissuta, testimonianza concreta e credibile. In lui il dire e il vivere coincidono: la sua esistenza diventa segno tangibile dell'autenticità profetica, luce che guida chi è in ricerca. Gesù stesso ne riconosce la grandezza, affermando che "tra i nati di donna, nessuno è più grande di Giovanni". Questo tributo, tuttavia, non è il punto d'arrivo, ma la soglia di una rivelazione più profonda. Con la venuta di Cristo, la gioia promessa diventa realtà palpabile: assume un volto umano, parla con voce che consola, si dona con cuore che accoglie, soffre e gioisce con un corpo che si offre. In Gesù, Dio si fa vicino all'uomo, trasforma i deserti dell'esistenza in oasi di pace, speranza e vita rinnovata. Chi ripone la propria fede in Lui, chi si abbandona con fiducia, sperimenta una consolazione e una gioia che nulla e nessuno possono togliere. La grandezza di Giovanni è quella di chi prepara la venuta del Messia, richiamando i cuori alla conversione, ma il Regno che Gesù inaugura spalanca prospettive ancora più elevate: la vera grandezza non è più misurata dai meriti o dai ruoli, né dal prestigio della missione, ma dalla capacità di accogliere il dono. Nel Regno dei cieli, anche il più piccolo, se accoglie Cristo con cuore aperto e semplice, partecipa intimamente alla vita del Figlio, alla sua misericordia (חֶסֶד, ḥésed), alla sua grazia (χάρις, chàris), alla sua umiltà e servizio (μορφὴ δούλου, morphé doùlou). È la logica paradossale del Vangelo: soltanto chi si fa piccolo, chi si svuota di sé, può ricevere tutto dal Padre, può essere colmato della vera grandezza che viene da Dio. Così Giovanni si fa soglia, indica il punto di passaggio, ma è il discepolo, per grazia ricevuta, che può varcare questa soglia e entrare nella casa, accolto come figlio e reso partecipe della comunione con il Padre. L'esperienza cristiana non si esaurisce nella preparazione o nell'annuncio, ma si compie nell'accoglienza e nella partecipazione piena al Mistero della vita divina. È in questo cammino che l'uomo, nella sua piccolezza, viene innalzato fino a condividere l'intimità del Figlio con il Padre.

Vergine Maria, causa della nostra gioia, sostienici nel riconoscere e accogliere tuo Figlio non soltanto nei momenti di festa, nei bagliori delle luci o nel clamore degli eventi e dei canti, ma soprattutto nella silenziosa profondità della sua Parola, nei sacramenti che ci donano la sua presenza viva, nella Santa Chiesa che ne custodisce la memoria, e nei fratelli più poveri e dimenticati. Fa' che il nostro cuore si apra con umiltà, come quello di un bambino, per ricevere la vera grandezza che viene da Dio e diventare, a nostra volta, testimoni credibili della sua gioia e della sua misericordia. 

don Nicola De Luca