DALLA PAURA ALLA GIOIA. DAL TIMORE ALLA SPERANZA. DALL’INCREDULITÀ ALLA FEDE

26.04.2025

DOMENICA 27 APRILE 2025

II DOMENICA DI PASQUA O DELLA DIVINA MISERICORDIA - ANNO C


Questa seconda domenica di Pasqua è tradizionalmente conosciuta come domenica "in Albis", più correttamente "In deponendis albis". Questo nome deriva dalla pratica antica in cui coloro che erano stati battezzati durante la veglia pasquale deponevano i loro abiti bianchi al termine della settimana di iniziazione sacramentale. Inoltre, è anche la domenica dedicata alla Divina Misericordia, fortemente voluta da San Giovanni Paolo II. Essa è carica di significati profondi, emozioni e messaggi elevati, evocando immagini di speranza che Cristo risorto dona agli apostoli e alla comunità dei primi credenti.

La pericope evangelica può essere vista come strutturata in due parti: la prima apparizione di Gesù risorto ai discepoli (nella domenica di Pasqua, il primo giorno della settimana) e la seconda apparizione nella domenica successiva, in cui Tommaso diviene il secondo protagonista del racconto. Sostanzialmente, questi due eventi sono strettamente collegati, poiché l'evangelista Giovanni desidera sottolineare l'unità tra il Gesù storico e il Cristo della fede, aprendo i cuori dei suoi discepoli alla fede nella risurrezione e alla sua divinità. Ma procediamo con ordine.

Il racconto inizia con Cristo risorto, protagonista assoluto del Vangelo, che entra nel luogo in cui si trovano gli apostoli. Si tratta di un ambiente totalmente serrato, invalicabile, chiuso per la paura dei giudei, con uomini spaventati, timorosi, confusi e delusi. L'ombra del terrore regna in quel contesto. Tuttavia, non si tratta solo di dettagli storici, ma piuttosto di realtà teologiche. Cristo Gesù, ormai con un corpo glorioso e spiritualizzato, ha il potere di aprire quelle porte sigillate, donando la pace ai suoi e liberandoli così da ogni timore.

La pace è il primo dono del risorto alla sua comunità. Essa non ha nulla a che vedere con una pace mondana, fatta di compromessi o negoziati; non è nemmeno uno stato psicologico, né il saluto ebraico "shalom". In questo saluto di pace si contempla un ristabilimento della vita dei discepoli: un'armonia trascendente che ristabilisce l'uomo con sé stesso, con il cielo, con il creato e con il mondo intero. Letteralmente, in questa Pasqua è insita un'ulteriore Pasqua (nel senso di passaggio): dalla paura alla gioia; dal timore alla speranza.

Il Risorto entra, e le tenebre che avvolgono la mente e il cuore dei suoi discepoli retrocedono, mostrando loro i segni della sua passione. Questo gesto ha lo scopo di rivelare la continuità tra il Cristo sfigurato, ferito e il Cristo glorificato, vittorioso. Come scrive il teologo Henri de Lubac: "Il Risorto è la pienezza della vita e della pace che supera ogni intelligenza" (Fil 4,7).

In questa dinamica di trasformazione, possiamo riconoscere l'importanza della misericordia divina, come ricordato da Santa Teresa di Lisieux: "La misericordia è l'unico tesoro del mio cuore". La risurrezione di Cristo ci chiama a essere veri testimoni della speranza, proprio come afferma San Giovanni nella sua prima lettera: "Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede" (1 Gv 5,4).

Concludendo, egli ci invita a vivere non solo nella gioia della risurrezione, ma anche nella varietà delle esperienze umane. Infatti, come si legge in Rm 8,28, "tutto contribuisce al bene di coloro che amano Dio". Rinnoviamo, quindi, il nostro impegno a vivere questa Pasqua non solo come un evento da ricordare, ma come una realtà da incarnare quotidianamente.

Possono crollare tutte le certezze umane; i castelli di sabbia finora costruiti; possono svanire i sogni audaci; crollare le relazioni. Tuttavia, la pace del Risorto è un dono per sempre, un dono da custodire e coltivare.

Ma quella sera, all'appello, manca un apostolo: Tommaso, a cui gli altri narrano ciò che hanno visto e udito. L'atteggiamento di Tommaso è quello di un uomo molto critico, miscredente e carente di fiducia nei riguardi dei suoi fratelli. Addirittura, ha l'ardire di chiedere un segno reale, tangibile, empirico. Se è vero che il Maestro è risorto, lui deve constatare di persona questa realtà, toccando egli stesso le sue piaghe. Chiede, dunque, un segno a prova di fuoco.

E il Signore non si fa attendere: si presenta la domenica successiva, a porte chiuse, nello stesso luogo dove si trovavano i discepoli incluso Tommaso. Subito dopo aver offerto nuovamente il saluto della pace, chiama Tommaso direttamente, senza fronzoli. Ora egli può constatare la verità della resurrezione e del vero corpo di Gesù, invitato da Lui stesso non solo a vedere, ma anche a toccare le sue piaghe, segno della sua continuità con la passione vissuta, ma ora gloriose. Queste ferite sono diventate feritoie di luce, pace e speranza. Dobbiamo la nostra beatitudine all'incredulo Tommaso, perché saremo beati se crederemo in Cristo senza vederlo nel suo corpo glorioso, ma nel corpo mistico della Chiesa, nei sacramenti della fede, in particolare nell'Eucaristia, nella parola vera, nei fratelli e nelle sorelle, e in tutti gli scartati dell'umanità: "Avevo fame e mi avete dato da mangiare" (Mt 25,35).

A Tommaso non resta altro che confessare Gesù Cristo come suo Signore e suo Dio. Le sue incertezze vengono demolite completamente dalla presenza viva di Gesù. Non osa nemmeno toccare; ha solo il fiato per rendere la sua confessione cristologica: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20,28). Il cuore incerto e fragile di Tommaso, fu fugato da ogni ombra di dubbio, dalla luce misericordiosa di Cristo. Il Maestro, mostrò a lui, da risorto e vivente, quelle ferite aperte, pegno e segno del suo eterno amore per il Padre e per noi. Dinanzi alla potenza di tale misericordia, riuscì ad emettere un solo sospiro; il sospiro della fede.

Un altro dato molto bello e interessante riguarda l'exufflatio di Gesù sui dodici, che rappresentano l'intera comunità cristiana. A loro è dato un alito particolare. Questo soffio ci rimanda alla creazione del primo uomo nella Genesi, quando il Signore alita sulla terra inerte, che diviene un essere vivente (Gn 2,7); ma anche al profeta Ezechiele, che per ordine di Dio soffia sulle ossa inaridite perché vivano (Ez 37,9-10). È il soffio dello Spirito Santo che viene a ricreare uno stato di vita nuovo. In questo caso specifico, il dono viene offerto in vista della remissione dei peccati. Da oggi in poi, i dodici discepoli avranno le chiavi del perdono, non come possesso della coscienza altrui, ma come servizio al suo amore e alla sua compassione.

Tuttavia, è importante affermare un altro dato: i dodici rappresentano la comunità di tutti i credenti. Di conseguenza, fino alla fine del mondo, la Chiesa dovrà essere strumento di salvezza per l'umanità intera e segno visibile di misericordia sia al suo interno che all'esterno. In pratica, dovrà rendere percepibile il volto misericordioso di Cristo. La Divina Misericordia sarà il suo vero potere nel tempo, poiché da essa è stata generata e ad essa deve condurre gli uomini e le donne di ogni epoca.

Come affermava Papa Francesco: "La misericordia è la via maestra che deve indicare ai credenti la strada da percorrere" (Misericordiae Vultus, 2). La nostra missione è, quindi, diventare testimoni viventi di questa misericordia che libera e salva, contribuendo a rendere visibile l'amore del Risorto nel mondo postmoderno e postumano.

Vergine Maria, Donna credente e fedele, a te che hai posto tutta la tua speranza in Colui che è onnipotente e santo, aiutaci a vivere i nostri giorni come figli e figlie della risurrezione e come testimoni autentici di misericordia, sapendo che solo in essa è la salvezza della Chiesa e del mondo.