Theses ad Doctoratum in S. Theologia

06.11.2021

L'idea di felicità nel "De vita beata" di Seneca e nel "De beata vita" di Sant'Agostino. Comparazione, comprensione, attualità.

Pontificia Universitas Lateranensis, Romae 2009.
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La felicità è una condizione cui da sempre l'uomo aspira, come anelito connaturato e irresistibile. Cos'è che ci rende felici e come poter perpetuare, una volta raggiunto, lo stato di beatitudine e chi è "Colui" il quale ha posto tale desiderio in noi? Sono, questi, alcuni interrogativi che da sempre fanno capolino nella mente degli uomini o meglio costituiscono il motore stesso delle nostre azioni fin da quando abbiamo coscienza di noi stessi. Molteplici sono le risposte date ad essi. Fin dall'antichità, infatti, è un vario disquisire su cosa sia la felicità e molti, non riuscendo a trovare una risposta definitiva, la reputano soltanto una mera utopia. È davvero così, è veramente un miraggio o piuttosto siamo noi a rendere più complessa e difficoltosa la ricerca e il suo raggiungimento, ponendo ostacoli che appaiono insormontabili, solo perché in realtà abbiamo sbagliato direzione?

Certo l'epoca in cui viviamo, disorientata, amorale e relativista, non facilita affatto la comprensione di tutto ciò. Viviamo in una società, infatti, in cui l'apparire ha preso il posto dell'essere, cosicché essere felice, per l'uomo di oggi, significa essere ricco, affascinante, ammirato, di successo, potente, illimitato nei vizi, il che spesso porta allo scoperto egoismo ed edonismo. Può davvero essere questa la strada per la felicità? Non si tratta piuttosto di piaceri effimeri, pronti a svanire non appena verranno meno quei beni terreni e perituri su cui si fa affidamento?

Nel corso di un viaggio si può, talvolta, perdere l'orientamento e, allora, per ritrovare il giusto sentiero, si ripercorre la strada a ritroso, per tornare al punto in cui si è imboccata la via errata e riprendere così il giusto cammino. La nostra società, oggi, sembra essersi persa e, quindi, è opportuno ritrovare l'origine della confusione che ha condotto in una direzione sbagliata.

Questo studio, dunque, si propone come ricerca di punti nodali, di bussole che possano indicarci cosa è andato perduto, cosa si è dimenticato, quali siano stati, lungo tutto il tragitto, i percorsi errati. Di qui l'approfondimento di due opere, dal titolo pressoché identico, il De vita beatae il De beata vita, nelle quali i rispettivi autori, Seneca e Sant'Agostino, alle origini della nostra cultura occidentale, hanno esposto la loro personale idea di felicità.

La prima è sintesi dell'idea stoica di felicità, sebbene con chiari apporti personali dell'autore, l'altra viene scritta all'inizio di un cammino spirituale, illuminato dalla Grazia che porterà lo scrittore a pervenire ad elevate vette teologiche di fondamentale importanza per lo sviluppo della filosofia e della teologia Cristiana.

Lo studio di questi due grandi filosofi, che per molto tempo è stato trascurato, proprio per la forza del loro pensiero o per una cattiva interpretazione di esso, oggi viene ad essere da più parti finalmente rivalutato. Sono certo vissuti in un'epoca ben lontana dalla nostra, eppure, a ben guardare, le loro idee e le loro convinzioni sono più che mai attuali.

Sia da Seneca che per Sant'Agostino la ricerca della felicità va interpretata come un viaggio, lungo il quale si pongono pericoli e ostacoli, quali, ad esempio, le opinioni dei più o le scuole di pensiero ingannevoli e devianti o la convinzione che siano i beni materiali a portare alla felicità. Per entrambi, i beni materiali non portano altro che ansie e, per la loro natura caduca, portano presto o tardi all'infelicità a causa della loro perdita. Essi possono non mancare nella vita dell'uomo, il quale, tuttavia, non deve divenirne schiavo.

Attraverso l'analisi testuale delle due opere, quindi, vengono evidenziati idee e concetti fondamentali, analogie e differenze, che possano rivelarci il pensiero dei due scrittori e che ci aiutino a comprendere che la ricerca della felicità è un iter soprattutto spirituale, che non può prescindere dalla ricerca di una perfezione interiore, morale e tesa a conseguire la saggezza. La virtus occupa in ciò un valore essenziale, ma mentre per Seneca essa deve essere mezzo e fine, per Sant'Agostino esso è solo lo strumento per raggiungere la vera fonte della nostra felicità, la Parola incarnata, in cui è insita la vera sapienza che è conoscenza della perfetta verità che sola rende felici e che è Dio.

Insomma, come vedremo più approfonditamente nel corso della trattazione, Seneca e Sant'Agostino sono essenziali nel riscoprire ciò che manca nella nostra società, ovvero una vita vissuta alla ricerca della perfezione morale, perfezione che deriva dalla riscoperta di una propria interiorità, di uno spirito insito in noi, che va curato, affinché possiamo mettere a frutto i doni concessici, anche e soprattutto per il bene comune e non solo per quello privato. Il Verbo fatto carne è la Via, la Verità, la Vita. Seguire Lui, rendere la nostra vita a Lui conforme è il segreto di una vita piena e felice nel piano teleologico delle virtù teologali: la Fede, la Speranza e la Carità.

Nicola De Luca