ASCOLTARE IL PASTORE BELLO PER RINASCERE NELLA SPERANZA

10.05.2025

DOMENICA 11 MAGGIO 2025

IV DOMENICA DI PASQUA - ANNO C

Alle mie pecore io do la vita eterna Gv 10,27-30


Questa IV domenica dopo Pasqua, con le letture che ci vengono proposte, è abitualmente definita come la domenica del Buon Pastore, facendo riferimento, ovviamente, a Gesù. È un'allegoria che trae spunto dalla vita quotidiana pastorale, rimarcando non solo l'identità e la missione del Verbo incarnato, ma anche la sua relazione con il gregge. In verità, la traduzione più accreditata sarebbe "Il Bel Pastore" o "il Pastore bello", esaminando attentamente il testo greco che dice: "kalos" (καλός).Molti studi infatti riportano i seguenti significati:

  • Virtù

Nel contesto filosofico e nella cultura greca, il termine "kalos" è intrinsecamente legato alla bellezza morale, alla virtù e a una condotta appropriata. San Gregorio di Nissa osserva che "la vera bellezza è l'eccellenza che proviene dall'anima", suggerendo che la bellezza di Gesù non si limita all'aspetto esteriore, ma è profondamente radicata nella sua divina umanità. Questa bellezza, infatti, si manifesta anche nella sua capacità di vivere secondo piena verità e giustizia, riflettendo l'immagine del Dio amorevole e misericordioso.

  • Qualità positive

In diversi contesti, "kalos" può essere tradotto come "buono" o "bene", rappresentando qualcosa di positivo o appropriato. Questo riconoscimento biblico di qualità si riflette nell'invito di San Paolo agli Romani: "Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché possiate discernere qual è la buona, gradita e perfetta volontà di Dio" (Rm 12,2). Qui, l'apostolo ci esorta a cercare e a praticare ciò che è veramente buono, richiamando così l'idea che la bellezza e la bontà non siano solo qualità esterne, ma virtù profondamente integrate nella nostra vita spirituale e morale.

  • Kalos kai agathos

Il termine greco "kalos kai agathos", che significa "bello e buono", è di particolare rilevanza nella cultura greca antica, poiché rappresenta l'ideale di un individuo che incarna sia la bellezza fisica che le virtù morali. Questo ideale trova un compimento sublime in Cristo, che unisce in sé la bellezza divina e la bontà perfetta, esplicitando così il senso più completo della virtù. La sua vita è una testimonianza di come il bello e il buono siano interconnessi, racchiudendo l'essenza dell'amore e della grazia divina. Il termine καλός καὶ ἀγαθός (kalos kai agathos), che significa "bello e buono", riveste particolare importanza nella cultura greca antica, rappresentando l'ideale di una persona che possiede sia bellezza fisica che virtù morali.

La bellezza di Gesù non si riferisce tanto a quella estetica, quanto alla bellezza divina che illumina la sua umanità in virtù dell'unione ipostatica, come evidenziato in "In principio era il Verbo" (Gv 1,1). Si tratta di una bellezza di santità e di grazia, di giustizia e misericordia, di verità e compassione. Un salmo recita: "Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo; sulle tue labbra è diffusa la grazia; perciò, Dio ti ha benedetto per sempre." (Sal 45,3).

Va inoltre precisato che l'immagine del pastore è presente nell'Antico Testamento. In particolare, la profezia di Ezechiele vede Dio rimproverare severamente i cattivi pastori d'Israele e fare una solenne promessa: "Perché così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine" (Ez 34,11-15).

Queste parole si attuano ora in Cristo Gesù, l'inviato del Padre, disceso a prendersi cura Egli stesso del suo gregge. Sì! Perché il gregge appartiene solo al Signore. I pastori umani devono solo riflettere la bellezza del Buon Pastore, custodendo e guidando, prendendosi cura con tenerezza di ogni pecora del nuovo Israele, che coinvolge non solo i credenti nel Dio di Israele, ma anche i pagani che hanno abbracciato la fede cristiana.

San Giovanni Crisostomo, riflettendo su questa immagine, scrive: "Il Buon Pastore è colui che offre la vita per le sue pecore" (Gv 10,11). Questo suggerisce che la missione del Buon Pastore è caratterizzata da un amore sacrificale, un amore che si manifesta nella sua disponibilità a mettere in gioco sé stesso per il bene del gregge.

Tre parole chiave:

Sono tre le parole che ci fanno comprendere il rapporto tra il Bel Pastore e il suo gregge: ascoltare, conoscere, seguire. Come ha scritto il teologo contemporaneo Henri Nouwen: "Il pastore è colui che conosce il suo popolo, lo ascolta e lo guida". Queste dimensioni del suo ministero richiamano le parole di Sant'Ippolito di Roma: "Nessuno può essere chiamato pastore, se non guida il suo popolo con amore e pazienza". L'ascolto è essenziale nella vita di ogni singola pecora e del gregge: rimanda al comando di Dio all'antico Israele: "Ascolta, Israele: il Signore è l'unico Signore" (Dt 6,4). Ascoltare e obbedire sono quasi sinonimi. Si tratta di rendere gli orecchi del cuore alla voce di Gesù, l'unico che può dare pienezza e abbondanza di vita al gregge. Lui non sfrutta, non disperde e non massacra le pecore, ma offre la sua vita fino alla morte, e alla morte di croce (Fil 2,8).

Ma vi è anche l'altro aspetto da considerare: la conoscenza che il Pastore ha con il suo gregge. Non si tratta di una conoscenza intellettiva, ma del suo puro significato biblico: entrare in relazione, in intimità. Gesù vuole stipulare un rapporto di amicizia con il suo gregge e desidera che il suo gregge senta il suo amore, lo percepisca tangibilmente, perché non vi è dono più grande di chi sa di essere amato, perdonato e giustificato. San Giovanni Crisostomo, commentando Giovanni 10,14, afferma: "Io sono il Buon Pastore; conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me", sottolineando che questa conoscenza si fonda su un legame profondo di amore e cura.

Il Padre celeste non vuole sudditi o schiavi, ma per mezzo del Figlio suo parla a noi come ad amici (Gv 15,15). Ci svela il suo volto di misericordia e infonde in noi la beata speranza di vita nuova, buona, realizzata ed eterna. Da questa consapevolezza nasce la sequela, la quale non è in primo tempo frutto della nostra scelta, ma del Pastore che ci conosce per ciò che siamo e ci ama, offrendo tutto di sé. È il primato della grazia a cui poi, ovviamente, bisogna corrispondere con generosità, accoglienza e disponibilità totale e oblativa. Come afferma San Massimo il Confessore: "L'amore non è mai una coercizione; è un'attrazione irresistibile". Del resto, il Vangelo ci rammenta che non siamo stati noi a scegliere Gesù, ma Lui ha scelto noi affinché andiamo e portiamo frutto (Gv 15,16), il frutto di una vita che possiede in sé tutta la fragranza della speranza teologale, che lega fede e carità.

Vergine Maria, se tuo Figlio è il più bello tra i figli dell'uomo, tu sei la più bella tra tutte le creature. Donaci la grazia di saper ascoltare, di farci conoscere e di seguire il Pastore bello, per diffondere nel mondo il Vangelo della speranza e della pace. Come ci ricorda Santa Teresa di Lisieux: "La mia vocazione è amarti, o Dio, e la mia vita è un segno del tuo amore".   

don Nicola De Luca